R: [Hackmeeting] una curiosità

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Author: Di Corinto Arturo
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To: hackmeeting
Subject: R: [Hackmeeting] una curiosità
Credo che non ci sia una cosa più lontana dall’hacking che quella di essere fascisti, e se ce ne sono in lista, cosa che è possibile, come è possibile che ci siano infiltrati e doppiogiochisti, questo può essere irrilevante fintanto che *noi* ci comportiamo da anti-fascisti.

Una famosa hacker donna, un pioniere, Jude Milhon, scriveva che le parole su di uno schermo ti possono fare male solo se e fino a che tu glielo permetti: perciò, fascisti, bastonate virtuali e aggressioni verbali in questa come in altre liste, non ci dovrebbero preoccupare: le possiamo scansare.

Non che i fascisti non mi preoccupino. Mi preoccupano quando assaltano e bruciano i centri sociali, quando accoltellano i compagni, insultano i gay per strada o quando fanno le marcette per i quartieri inneggiando a idee ripescate dal buio della storia. Mi preoccupano anche quando fanno i loro comizietti su patria, suolo, sangue. E non solo loro, chi fa questo è comunque un fascista, pure se non porta la foto di Mussolini nel portafoglio.

Essere fascisti o antifascisti non è un’etichetta: dipende dai comportamenti concreti di ogni giorno. Lo stesso vale per gli hacker. Essere un hacker oppure no, dipende da quello che fai nella vita, ogni giorno, ogni momento.

Sugli hacker e l’hacking si è detto e scritto molto, spesso a sproposito - i tentativi più felici, e sempre in progress, sono quelli che nascono all’interno della comunità, la quale si autodefinisce e si autorappresenta.

Per quanto i suoi confini siano mobili, l’hacking è cooperazione e condivisione, è rispetto, capacità d’ascolto e solidarietà: atteggiamenti tutti improntati a un’etica, anch’essa in continua evoluzione, che però fissa i suoi limiti intorno ai concetti di libertà e di scelta. Un hacker, l’hacking, è antifascista per definizione perché il frutto di un’attività, libera, condivisa, basata sul libero scambio, il dono e la cooperazione tra affini. Tutto il contrario di un’ideologia fascista coi suoi comportamenti violenti, aggressivi, irrispettosi, corporativi e mercantili, monetizzabili. L’hacking è un’attitudine, quindi metodo, comportamento, valori interiorizzati, che dicono altro dall’ossequio a gradi e gerarchie, che non contemplano il culto della personalità e la verità rivelata. L’hacking è scoperta, capacità di rimettersi in gioco, voglia di apprendere dagli altri, dire “scusate, ho sbagliato”.

Un uomo in divisa, divisa militare o ideologica, uno che obbedisce agli ordini altrui, uno che lo fa su comando, non può essere un hacker. Ugualmente non può esserlo chi usa la violenza anzichè la destrezza, o chi usa parole grossolane ed evita le raffinatezze del pensiero, oppure chi è dogmatico e non si confronta, è saccente e non impara ad imparare.

Essere machisti e profondersi in atteggiamenti fallici, questo somiglia da vicino all’essere fascisti, *fascisti dentro* almeno. Se non lo è, credo sia comunque estraneo allo spirito dell’hacking.

Per questo trovo intollerabili certe aggressioni verbali e la gara a chi ce l’ha più lungo e a costoro chiedo di smetterla. Questa lista è un capitale sociale troppo ricco per essere trasformato in immondezzaio. E chiede *rispetto*