[Forumlucca] A marcantonio

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Author: Aldo Zanchetta
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To: forumlucca
Subject: [Forumlucca] A marcantonio
Caro Marcantonio



Secondo me……



Ma prima di sproloquiare un abbraccio non rituale anche se virtuale a Ilaria
e a te.



Vedo che condividiamo un amore: Istambul. E anche quello per la sua gente.
Quella in basso naturalmente, non chi la governa. Raramente ho ricevuto
gesti di ospitalità da semplici cittadini come in questo meraviglioso paese.



Approfitto dell’amicizia per rubarti un po’ di tempo esplicitando il mio
“secondo me…”.



Si, anche secondo me esistono similitudini con Genova, come con tante altre
città dove due mondi inconciliabili di tanto in tanto vengono a scontrarsi.
Ultimi in ordine di tempo Stoccolma e Francoforte per limitarsi all’Europa.
E sono fatti che devono essere compresi nel loro significato profondo se
vogliamo capire i tempi che viviamo, non potendo fermarci alla sola
indignazione, certo necessaria. Fatti che se si spengono da una parte si
riaccendono in un’altra, quindi non occasionali, ma parte di un più ampio
fenomeno.



Come sai per me l’America Latina è sempre fonte di riflessione anche sulle
vicende di casa nostra e mi perdonerai se parto di lì per interpretare i
fatti di Istambul.



Poche settimane or sono Buenos Aires ha subito una disastrosa alluvione con
alcune decine di morti. La furia della natura, purtroppo. O piuttosto la
conseguenza di politiche urbanistiche folli, come molti hanno detto? Le
città, preda della speculazione, vengono cementificate selvaggiamente e i
fiumi e canali di scolo ridoptti a fogne fangose, con i quartieri della
povera gente lasciati alla sorte. Così i portegni non si sono limitati a
alzare le braccia al cielo ma hanno protestato vivacemente contro questo
modello della modernità.



Due o tre settimane dopo a Buenos Aires si è proceduto alla demolizione di
un’intera ala di un ospedale psichiatrico, il Borda, per fare spazio ad
altre cementificazioni. E la gente è scesa nelle piazze: giovedì 25 aprile
si sono verificati 22 blocchi stradali simultanei, alle sei del pomeriggio.
Sono stati promossi da altrettante assemblee urbane riunite con la sigla di
Assemblea di Difesa del Pubblico. Nell’appello di convocazione si legge:
“Shopping invece di spazi verdi, megatorri invece di urbanizzazione, feste
private invece di arte e cultura popolare, complessi per uffici invece di
ospedali”. E la polizia non ha perso l’occasione di mostrare ciò di cui è
capace.



Altro rimarcabile esempio di distruzione selvaggia in corso in una città
altrettanto bella di Istambul è Rio de Janeiro, sconvolta dalle opere per il
prossimo mundial e per le successive olimpiadi. Un vero festival di
speculazioni edilizie, di megacorruzioni, di stravolgimento del volto di una
città meravigliosa. E anche lì resistenze dal basso e manganellate dure
dall’alto.



Casi isolati fra loro? No certamente. Sono i segni che si moltiplicano del
nuovo corso intrapreso dal capitale mondiale, che per l’accumulazione ormai
non ricorre più all’impossessamento del plusvalore del lavoro della gente ma
va diritta allo spossessamento dei beni naturali e patrimoniali, come ben
spiega Harvey nella sua analisi del nuovo volto del capitalismo. Ma, come ci
ha detto nell’affollato incontro lucchese Gustavo Esteva, non è pertanto più
capitalismo, ma rapina a mano armata. E questo richiede mutamento di analisi
e di modalità di contrasto.

Ma come, potresti dirmi, il capitalismo non accumula più mediante
l’espropriazione del plusvalore? Certo, lo fa ancora, ma questo non è più il
meccanismo principale. Come ben si vede il lavoro è in sofferenza ovunque e
i vampiri avranno sempre meno sangue da succhiare.



Secondo me di questo occorrerebbe parlare di più, se non fossimo troppo
spesso chiusi nel proprio ‘particulare’, per capire meglio come opporsi, ora
che dovrebbe essere più chiaro a tutti che le elezioni sono uno strumento
inservibile per il cambiamento.



Perché mi interessa l’America Latina? Perchè è sempre stato il terreno di
prova delle politiche che poi si estenderanno all’Europa. Vedi le teorie
neoliberiste dei Chicago boys di Friedman con Pinochet in Cile:
liberalizzazione, privatizzazione, precarizzazione. E perché da lì vengono
copiosamente esempi di reazione che qualcosa hanno da insegnare anche a noi.



Ora la “accumulazione per spossessamento” analizzata da Harvey ci illustra
il nuovo corso del capitale,che di nuovo ha come banco di prova l’America
Latina dove lo “spossessamento” ha assunto dimensioni abnormi, grazie
all’alleanza fra governi nazionali e corporations strapotenti, entrambi
affamati di denaro anche se per motivi diversi, a danno della parte povera,
ma oggi anche della classe media, dei vari paesi.



Da noi si presenta ancora con il volto ben rasato e suadente dei membri
della troika (in realtà Draghi non riesce a nascondere le sue inquietanti
mascelle quando sorride a mo di iena) come sta accadendo qui da noi. Ma
quando necessario anche con i manganelli in pugno. Come a Istambul, appunto.




Lo spossessamento in A.L. è così esteso e profondo da avere meritato una
definizione specifica:<estrattivismo>. In cosa consiste? E’ l’<estrazione>
(con annessa appropriazione illegittima) di ricchezze dal sottosuolo
(petrolio, gas, minerali), ma anche <estrazione> dal suolo agricolo, con
esaurimento delle proprietà produttive del terreno, sottoposto a stressanti
monocoltivazioni accompagnate da uso smisurato di agrochimici e di
pesticidi, lasciando in pochi anni i terreni sterili. Non per nulla in
Argentina le multinazionali li affittano per 6 o 7 anni, e poi spostarsi.



Quanto accaduto a Buenos Aires ha fornito l’occasione di estendere questo
concetto a ciò che avviene nelle città. Scrive Enrique Viale, avvocato
ambientalista del Colectivo por la Igualdad, “L’estrattivismo è arrivato
alle grandi città. Non si tratta dei proprietari terrieri della soya e
nemmeno delle mega-miniere, è la speculazione immobiliare che qui espelle e
provoca deportazioni della popolazione, che agglutina ricchezza e
territorio”. Quel modello, conclude Viale, provoca “degradazione
istituzionale e sociale”. E si accompagna ovviamente a resistenze sempre più
vive dal basso ed a repressione sempre più feroce dall’alto.



Non mi dilungo oltre, perché una analisi più approfondita ci porterebbe
lontano, oltre lo spazio di questa rete. Quello che accade a Istanbul è un
episodio importante di una lotta più ampia e più lunga. Ecco perché è un
fatto che ci riguarda e ci addolora, ma non ci sgomenta. Finchè c’è gente
che resiste c’è speranza. In attesa che le speranze si coagulino in un
impegno comune.