Visto che il precedente invio pare essersi perso nei meandri della rete,  
rinviamo, sperando non vi arrivi doppia. Nel qual caso, ce ne scusiamo.
2006.09.22
Intervista su GARA ad Iñaki de Juana Chaos
il 25 Sep 2006 - 02:51 AM
"Tutte le misure che hanno preso sono andate violentando la mia volontà"
·«Il vicedirettore medico della prigione mi chiarì che non avrebbe  
lasciato che passassero i 50 giorni"
Iñaki de Juana Chaos fu ricoverato il passato martedì nell'ospedale di  
Algeciras e dal mercoledì riceve alimentazione per via intravenosa. GARA  
pubblica oggi un'intervista in esclusiva col carcerato, datata il passato  
14 di settembre nella prigione di Algeciras, quando l'abitante di San  
Sebastián era già da 38 giorni senza ingerire alimenti. De Juana chiarisce  
nell'intervista che tutte le misure che le squadre mediche hanno preso con  
lui "e quelle a venire” sono state realizzate contro la sua volontà.
“Non credo che tardino molto." Così si riferiva De Juana la passata  
settimana alla possibilità che fosse alimentato "contro la mia volontà e  
con la forza." In questa intervista, il carcerato di San Sebastián ripassa  
la sua situazione particolare e quella del Collettivo di Carcerati  
Politici Baschi, risaltando che dietro essa si nasconde una strategia  
politica dello Stato spagnolo.
Il passato 7 di agosto incominciò un sciopero di fame indefinita. Quali  
sono state le ragioni principali che l’hanno spinto a ciò?
Sono state quattro: la convinzione che la giurisprudenza che si va a  
creare in questo tema colpirà tutti i carcerati politici e la libertà di  
espressione e non solo a me; la sicurezza che non pregiudico nessuno e che  
le conseguenze positive saranno per tutti e le negative esclusivamente per  
me; l'intima necessità di dire basta a tanta aggressione; ed esigere la  
scarcerazione due anni dopo compiuta la condanna.
Invece di scegliere un altro modo di lotta, optò per la forma di protesta  
più dura...
Le forme di lotta di un carcerato sono molto limitate: serrate, resistenza  
passiva, scioperi della fame ed alcune altre cose puramente testimoniali.  
Disgraziatamente, benché pure con molte limitazioni, la cosa unica che può  
essere presa sul serio come denuncia e pressione è mettere la tua vita  
nelle mani dell'Amministrazione. E di fronte all'esterno è quello che più  
si capisce, precisamente per la sua durezza.
Sta già da un mese senza mangiare. Come è passato questo tempo?
Molto rapido, per l'enorme motivazione che ho. Molto forte ed animato.  
Fisicamente, con l'usura normale, ma psicologicamente con maggiore  
convinzione di quando presi la decisione.
L'Udienza Nazionale spagnola ordinò che fosse portato ad un centro  
ospedaliero per essere sottoposto a differenti esami, come che sia  
alimentato perfino contro la sua volontà. Quale è la sua opinione?
Al giorno d’oggi, 14 settembre, mi hanno portato fuori all'ospedale le due  
prime settimane, a farmi elettrocardiogrammi e diversi esami clinici;  
perché mi rifiuto volontariamente a ciò per non collaborare con una  
squadra medica che è lo stesso disposta ad agire contro la mia volontà e  
con la forza. Dopo quelle due settimane, gli esami stanno facendomeli in  
prigione, ma sempre con la difesa che dà loro l'atto dell'Udienza  
Nazionale.
L'AN ha dettato fino ad ora due atti: uno del Tribunale Centrale di  
Vigilanza Penitenziaria ed un altro della Sala Prima del Penale. Ambedue  
sono affinché mi trasportino nell'ospedale quando vogliono e mi facciano  
ogni tipo di prove.
Fino ad ora non hanno dettato quello dell'alimentazione forzosa, ma hanno  
detto già che lo detteranno e non credo che tardino molto, perché lo  
stesso vicedirettore medico della prigione mi ha informato che in nessun  
modo lasceranno che passino 50 giorni senza alimentarmi con la forza.
Tanto le misure che hanno preso fino ad ora come quelle che vengono stanno  
violentando ingiustamente la mia volontà, per quanto appoggio  
costituzionale abbiano. Non tortura solo psicologica, per quello che  
suppone di violazione della tua volontà, bensì fisica, violazione del tuo  
corpo, perché lo fanno con la forza fisica. Inoltre, queste misure  
prolungano la sofferenza ma non garantiscono la vita, e molto meno una  
vita sana ed in condizioni.
Uno degli atti si giustificava nei suoi precedenti medici di  
"insufficienza renale"...
All'inizio degli anni 90, nella prigione di Salto del Negro si tennero una  
serie di borrokas (lotte, NdT) molto dure. Durante l'anno 92, partecipai a  
tre lunghi scioperi della fame. Altri compagni, Esteban, Mura, Garratz...  
fecero più di me, prima e dopo il mio soggiorno lì.
Nel terzo ed ultimo sciopero della fame cui partecipai, ai quaranta e  
tanti giorni ebbi un'insufficienza renale grave. Mi misero siero con la  
forza e mi tirarono fuori d’urgenza da quella prigione. Dovetti essere  
infastidito perché mi accompagnò un medico durante tutta la traversata in  
barca e, dopo, in ambulanza fino all'infermeria della prigione di Malaga,  
dove mi tennero un mese e mezzo fino a recuperarmi.
Come è risaputo, quando i reni si fermano la lesione è definitiva, ma i  
miei non arrivarono a quel punto. Le lesioni furono reversibili e mi  
rimisi totalmente. Dopo quattordici anni, le Istituzioni Penitenziarie  
hano rispolverato questa situazione passata ed è l'espediente medico che  
ha ordinato all'Udienza Nazionale di giustificare qui le misure adottate  
con tanta celeridtà. Di qui la redazione dell'atto.
Ma voglio mettere bene in chiaro che nel momento di cominciare lo sciopero  
della fame la mia salute era perfetta, senza la benchè minima malattia.
Ha dimostrato una totale determinazione nel proseguire con lo sciopero  
della fame. In che cosa basa la fermezza della sua decisione?
Nel fatto che è l'unica arma che ho. Non so quello che succederà in questa  
situazione. Dipenderà da diversi fattori. Ma ho la sicurezza che l'altra  
alternativa è l'ergastolo e la morte da vecchio in prigione. Preferisco  
lottare e si vedrà. In qualsiasi caso, lottare è già vincere. Ma non  
voglio che questa decisione si prenda come una misura disperata, perché  
non lo è. È un combattimento.
Da quando cominciò la sua protesta si sono realizzati molti atti per  
strade. Che valore hanno questi gesti di solidarietà? Le arriva il caldo  
della strada?
Sì. Mi arriva. Hanno moltissima importanza per il mio stato di coraggio e  
per la possibile, benché difficile, risoluzione di questa situazione. Sono  
immensamente grato. Ma sono anche cosciente che, come deve essere, solo  
una piccola parte è per me. La solidarietà è con tutte e tutti quegli  
imprigionati politici e con ogni vittima di rappresaglia per le sue idee.  
Quello che succede è che la mia situazione è una delle più vistose, perché  
scandalose lo sono tutte. Ed in questo momento sembra che ci sia stato un  
rimestare davanti alla scorpacciata di tanto immobilismo ed aggressione.
Fino ad ora si sono succeduti gli attacchi contro il Collettivo di  
Carcerati Politici Baschi e le sue condizioni di vita. Che lettura  
realizza di questa situazione e come vede l'insieme del Collettivo?
Io non sono chi può opinare del Collettivo nel suo insieme. Quello lo  
possono e devono fare ufficialmente solo i compagni nominati come  
rappresentanti di tutti i carcerati e carcerate politiche basche. Inoltre,  
sinceramente, sarebbe da parte mia un'audacia rispondere a questo perché,  
benché sembri strano, non lo so. Mi riferisco a che, dopo la dispersione,  
sono stato quasi sempre in dipartimenti di isolamento con un numero  
limitato di compagni, cosicché so solo quello che pensano pochi.
Particolarmente, credo che lo Stato anni fa, e specialmente i tre ultimi,  
quello che fa è riempire il sacco degli ostaggi; per dopo, se arriva il  
caso, continuare a slegarlo a poco a poco, col contagocce. E dilatare per  
anni, mantenendo il ricatto, qualunque processo di risoluzione del  
conflitto. Vender come gesti di generosità gli stessi passi repressivi che  
aveva dato e, dopo anni, arrivare alla stessa situazione nella quale  
stavamo quindici ani fa.
Ma, senza parlare a nome di nessuno, quello che so, come qualunque  
osservatore, è che il Collettivo ha resistito ad ogni tipo di aggressione  
da quasi trenta anni, e seguirà resistendo.
Nel suo caso si sono usati due articoli di opinione per reclamare una  
nuova condanna di 96 anni...
Ma per la cosa prima che non mi rilasciaronoo fu perché annullarono  
risoluzioni giudiziarie ferme relative a redenzioni per studi. Quando  
questo non dava loro altro gioco perché stava creando perfino  
contraddizioni tra i giudici, ed ancora non c’era la "dottrina Parot"  
della Corte suprema, si tirò fuori quella degli articoli. Quello che fosse  
necessario per riempire il sacco. Che non esca nessuno. O, almeno, che non  
esca nessuno che non vogliono che esca.
Ultimamente, responsabili politici ed istituzionali baschi hanno fatto  
dichiarazioni chiedendo il rimpatrio o, almeno, l'avvicinamento. Come  
intende queste manifestazioni?
Come fuochi di artificio. Pura ipocrisia. Perché rimangono dichiarazioni,  
i fatti non corrispondono. Non prendono misure effettive che diano  
credibilità. Inoltre, non bisogna dimenticare che tutti quei responsabili  
politici sono comproprietari della dispersione, della sofferenza, delle  
morti nella prigione e di familiari ed amici, degli incidenti, dei carichi  
economici...
L'unica che è stata sempre di fianco ai carcerati è stata la sinistra  
indipendentista basca, e non bisogna dimenticarlo né distrarsi con  
tiritere. Quello che succede è che, in un atteggiamento di immensa  
indegnità, una di più, tutti quei responsabili politici cercano una  
possibile capitalizzazione politica del futuribile fatto che qualche  
giorno si produca il rimpatrio.
Ha speranze che la pressione popolare ottenga qualcosa di fronte al  
Collettivo?
Particolarmente, dai dirigenti spagnoli non aspetto nient'altro che  
repressione. Neanche dai collaborazionisti vascongados e navarristas. Come  
sempre, la sinistra indipendentista basca dovrà affrontare i problemi e  
risolverli in solitario e con le sue proprie forze. Come sempre, lottando  
e sacrificandosi. Lottare e ribellarsi è non lasciarsi assimilare. È  
resistere. Ed alla lunga vincere.
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Irabazi arte!
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