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di Luca Miele <
https://www.avvenire.it/redazione/luca-miele-281>
Avvenire 5 dicembre 2025
Simbolo dell'emancipazione proletaria ai tempi di Mao, le due ruote
dagli anni '80 sono state soppiantate dalle auto. Ora sono "cool", e in
alcune città ce ne sono più di una per abitante.
«Traverso le viti di una bicicletta si può anche scrivere la storia
d’Italia», scriveva Gianni Brera, appassionato cantore delle gesta
sportive degli «arpionatori» delle due ruote. Ebbene la stessa «ricetta»
può essere applicata alla Cina. Niente come la bicicletta – il primo
mezzo meccanico che ha esaltato la mobilità umana, anticipando
l’invasione delle automobili e dei mezzi di trasporto di massa –
restituisce la storia sociale, economica, simbolica, culturale del
gigante asiatico degli ultimi due secoli. Basta inseguire l’alveare
degli spostamenti disegnati sulle strade del gigante asiatico per
sagomare un ritratto della Cina di ieri, di oggi e di domani. Perché le
due ruote stanno riemergendo da quella che sembrava un’eclissi
definitiva. E il Paese potrebbe tornare a essere «l’impero delle
biciclette», grazie a un mix di fattori, non ultimo una sempre più
spiccata sensibilità ecologica. *I numeri certificano un ritorno
prepotente. Secondo i dati forniti dalla China Bicycle Association, le
biciclette nel gigante asiatico hanno superato quota 200 milioni. A
queste vanno affiancati altri 380 milioni di veicoli elettrici. Così con
oltre 580 milioni di esemplari, la Cina possiede la flotta più grande al
mondo.* *Come riportato da **/China Daily/**, i cinesi utilizzano
biciclette o e-bike per circa 30 spostamenti su 100.*
Dopo il debutto in Europa, i pedali raggiunsero la Cina nel 1868. In un
primo momento a cavalcare questo strano oggetto «esotico» –
irraggiungibile a causa del suo costo per quasi tutti i cinesi – erano
quasi esclusivamente gli espatriati occidentali, le élite cosmopolite e
le forze armate. Il vero salto di qualità (e di diffusione) avvenne per
volontà delle autorità politiche. Come scrive il sito «Macro Polo»,
l’ascesa al potere nel 1949 del Partito comunista cinese coincise con la
promozione della bicicletta a «simbolo del progresso proletario».
Sotto la direzione di Mao, il governo accorpò i produttori locali in
aziende leader a livello nazionale – come l'iconica Flying Pigeon di
Tianjin, fondata nel 1950 –, aziende che godevano di un accesso
privilegiato a materiali scarsi. Con il primo Piano quinquennale
(1953-1957), vennero fissati obiettivi ambiziosi. Il Paese raddoppiò il
suo parco veicoli, raggiungendo quota un milione di esemplari nel 1958.
Fu un successo spettacolare. La spinta decisiva arrivava direttamente
dalla geografia urbana cinese: i trasporti pubblici erano latitanti, le
automobili rare e inaccessibili, «le biciclette divennero il mezzo di
trasporto essenziale per i pendolari e per spostarsi durante il tempo
libero». Un dominio che rimase incontrastato fino agli anni '80. Poi, a
cavallo del decennio successivo, il primato iniziò a incrinarsi. Grazie
all’urbanizzazione sempre più vertiginosa e all’aumento dei salari,
Pechino mollò le due ruote e puntò tutto sull'industria automobilistica.
Nel marzo 1994, il Consiglio di Stato emanò la «Politica di produzione
dell'industria automobilistica», che ridisegnò la pianificazione
industriale e urbana, legando in un nodo indissolubile lo sviluppo delle
strade ai motori. Insomma, dalle due i cinesi ormai erano passati alle
quattro ruote. Dalla pedalata all’acceleratore.
Dallo sforzo fisico alla velocità alimentata dai motori. Lo status della
bici declinò: il simbolo dell’emancipazione proletaria si abbassò a
mezzo utilizzato «dai cittadini più poveri».
Il nuovo millennio ha però rimescolato le carte. Quella che sembrava una
sparizione (quasi) definitiva si è capovolta in una resurrezione. *Gli
effetti della urbanizzazione e della motorizzazione selvaggia sono
diventati imponenti, tossici. E ingovernabili. Dalla congestione delle
città soffocate dalle auto, alla dipendenza dal petrolio, per finire
all’inquinamento atmosferico.* Le metropoli cinesi rischiano
l’implosione. Lo sviluppo centrato sulle automobili ha iniziato a
mostrare tutti i suoi limiti mentre una nuova sensibilità ecologica e la
necessità di mitigare gli effetti della urbanizzazione hanno promosso un
nuovo stile di vita. *La bicicletta è tornata a essere **/cool/**.* Il
nuovo imperativo – quasi un mantra - delle autorità cinesi è promuovere
una mobilità urbana sostenibile e ridurre, la tempo stesso, la
dipendenza dai combustibili fossili. Il motivo? È presto detto. *Secondo
le stime della China Bicycle Association, «gli spostamenti su due ruote
riducono le emissioni di carbonio in Cina di circa 10.000 tonnellate al
giorno, l'equivalente di un risparmio di circa 6,6 milioni di litri di
benzina».*
Città come Hangzhou, Pechino e Chengdu hanno puntato sullo sviluppo
delle infrastrutture ciclabili. *Hangzhou è stata una delle prime città
al mondo a implementare un sistema pubblico di **/bike sharing/**su
larga scala già nel 2008. La metropoli vanta oltre 1,5 biciclette pro
capite, uno dei tassi più alti in Asia, facendo meglio anche di Pechino
che,* nonostante la congestione del traffico automobilistico, *mantiene
ancora una bicicletta per abitante.* Uno sguardo al panorama asiatico:
T*okyo ha una media di 0,6 biciclette a persona, Seul si attesta a 0,4.*
La storia della bicicletta è anche una storia industriale. O meglio, di
un successo industriale. Tutto cinese. *Come riporta il **/Global
Times/**, «il gigante asiatico oggi è il maggiore produttore mondiale,
con un commercio annuo che rappresenta circa il 60% di quello mondiale».
Nel 2023, nel Paese, sono state prodotte 48,83 milioni di esemplari a
pedali. Ha fatto persino meglio la bicicletta elettrica, con la
produzione schizzata a quota 50,35 milioni.* Nel 2024, la Cina ha
esportato biciclette per 2,7 miliardi di dollari. Le principali
destinazioni? In testa c’è il Giappone (447 milioni di dollari), seguito
da Stati Uniti (428 milioni), Vietnam (240), Russia (157) e Thailandia
(92,8). Il mercato internazionale sta cambiando pelle. Secondo Guo
Wenyu, vicepresidente e segretario generale della China Bicycling
Association, nel primo trimestre del 2025 la Cina ha esportato negli
Stati Uniti 1,902 milioni di veicoli, accusando un calo del 17,1%
rispetto all'anno precedente. Giù anche il valore dei componenti
esportati, diminuito del 6,6% su base annua a causa delle politiche
tariffarie. È emersa, però, una nuova tendenza: l'espansione della
capacità produttiva nel sud-est asiatico ha determinato un aumento della
domanda di componenti, portando a un salto del 44,4% delle esportazioni.
Il gigante asiatico sta riequilibrando e ridisegnando la mappa del
commercio mondiale. Meno Occidente e più Asia e Sud del mondo. *La
bicicletta cinese sembra pronta per nuove volate.*