Author: nessuno via Hackmeeting Date: To: hackmeeting Subject: Ci siamo sbagliati, la cultura wok è di destra. La sinistra torni
universale
La sinistra woke in realtà appartiene alla destra, ragiona come la destra, ma, poverina, nemmeno lo sa.
Susan Neiman, filosofa statunitense allieva di John Rawls, un passato nelle aule di Harvard, Yale e Tel Aviv, un presente come direttrice dello “Einstein Forum” di Potsdam, ha scritto un feroce manifesto contro la cultura woke.
Un saggio provocatorio – La sinistra non è woke (Utet) – per provare a ricostruire un genuino pensiero di sinistra in un mondo che, da Trump a Meloni, sembra andare nella direzione opposta.
Intervista a Susan Neiman di Francesco Bei de la Repubblica
Partiamo da una cosa semplice: che significa woke?
«Lo scopo del mio libro non è definire cos’è woke, ma cos’è la sinistra oggi».
«Il concetto di woke non è coerente, è basato su un incontro tra emozioni di sinistra e idee reazionarie. Ci sono emozioni tradizionalmente associate alla sinistra, come stare dalla parte degli oppressi, ma questi sentimenti sono contraddetti da un sacco di idee che, nei fatti, sono molto di destra».
Qual è invece un’idea che appartiene inequivocabilmente alla sinistra?
«La prima idea in comune a sinistra è l’universalismo, ovvero la certezza che per quante differenze ci siano tra le persone – etniche, sessuali, di linguaggio – c’è una dignità umana di base che condividiamo tutti e che bisogna rispettare. Se vogliamo è un’idea cristiana, ma per essere cristiani devi anche avere la fede, mentre per credere in un umanesimo universale basta la ragione».
Destra e woke sono accumunati, al contrario, da un’ostilità verso l’universalismo?
«Per la destra tu puoi avere connessioni reali, e quindi obblighi morali, solo verso i membri della tua tribù. È sempre stata un’idea di destra, ma stranamente il movimento woke l’ha resuscitata e fatta propria. Viene da qui il concetto di “appropriazione culturale”, ovvero l’idea che una persona bianca non possa scrivere di persone di colore o farci un film. Quindi il primo punto di distinzione è che la sinistra è genuinamente universalista, mentre i woke sono tribalisti, come la destra».
Le idee woke vengono dalla destra?
«La sorgente è quella. Spesso i woke non ne sono consapevoli, ma stanno formulando idee di destra. Prendiamo il caso di Michel Foucault, un autore che non è considerato certo di destra e che ha ispirato molti principi woke. Foucault esprime un nichilismo di destra, come la visione che tutto è potere e che non ci sia un’aspirazione verso la giustizia. Le persone di sinistra sono unite dalla convinzione che il progresso sia possibile, non inevitabile ma almeno possibile. Mentre sempre Foucault, insieme a molti autori reazionari, crede che non ci sia alcuna reale possibilità di progresso, a parte in paradiso per chi ci crede».
Il movimento woke non crede nel progresso?
«Molti woke dicono di agire per il progresso, ma è difficile farlo se pensi che nessun progresso nella storia sia mai avvenuto. Se dici che negli Stati Uniti non è cambiato nulla dai tempi della schiavitù, che siamo rimasti razzisti come allora, questo significa negare il progresso. Attenzione, non sto dicendo che il razzismo non ci sia ancora, è ovvio che c’è, ma è diverso affermare che non sia cambiato nulla».
Quando la sinistra ha iniziato a confondersi con il woke?
«Penso che tutto sia iniziato nel 1991, con il collasso del socialismo di Stato. Invece di una discussione su quello che era andato storto con quel sistema, in Occidente prevalse la convinzione che il neoliberismo fosse l’unica strada, perché ogni forma di socialismo avrebbe portato nel peggiore dei casi al gulag e nel migliore agli scaffali dei supermercati vuoti».
Lei sostiene che la sinistra dovrebbe tornare ai suoi principi fondamentali, come la giustizia e l’universalismo. Ma cosa si può fare in concreto per provare a recuperare quegli elettori popolari che si sono spostati a destra?
«Intanto provare a capirli. Penso che quelli che hanno votato per Trump non esprimessero altro che rabbia. Io capisco quella rabbia, una rabbia contro un sistema che ha ignorato del tutto i loro bisogni».
Cosa ha portato milioni di elettori a voltare le spalle ai democratici? Davvero può essere tutto ricondotto all’inflazione?
«Non credo. Molti hanno dichiarato di aver votato Trump per l’inflazione, anche se i democratici rispondevano che “non era così alta”. In effetti credo che non centri l’inflazione, quanto il fatto che le persone non si sono viste riconosciute nei bisogni primari».
Un esempio?
«Persino durante la pandemia, se non ti presentavi al lavoro potevi essere licenziato su due piedi».
Perché molti elettori hanno pensato che Trump, un bugiardo seriale, potesse dare le risposte che il partito democratico non aveva dato?
«Bella domanda. Per me nessuno davvero ha pensato che Trump potesse fare meglio dei democratici, ma almeno lui dava voce alla loro rabbia, al loro risentimento. Era un modo di gridare “no” all’attuale stato delle cose. E la destra è stata abile a indirizzare a suo favore l’ostilità verso il woke».
Su alcuni temi la destra fornisce le sue risposte, sbagliate o persino orribili come sull’immigrazione illegale, mentre la sinistra sembra spesso non riconoscere nemmeno il problema. È anche questa una conseguenza del wokismo?
«Diciamo che il woke si è focalizzato molto su questioni simboliche tralasciando il resto. Hanno pensato che bastasse cambiare i pronomi per cambiare il mondo. È stato poi un grande errore concentrarsi sulle politiche identitarie, lasciando credere che la nostra identità plurima sia riducibile alla nostra razza o al genere sessuale».
Non è così?
«No! Abbiamo tutti un range di identità complesse, non siamo solo quello che eravamo alla nascita. Il movimento woke ha provato a creare alleanze fra le diverse tribù identitarie – neri, lgbtq+, donne, minoranze – ma queste alleanze non funzionano se non per periodi brevi. Pensate a Usa e Urss, erano alleati finché avevano un nemico in comune, ma sono ridiventati avversari durante la guerra fredda».
Cosa funziona invece?
«Lavorare insieme per un principio, la giustizia per esempio».
Un capitolo del suo libro è dedicato al rapporto tra giustizia e potere. Lei suggerisce, invece di pensare alle battaglie sui simboli, di guardare a chi ha in questo momento il vero potere, per redistribuirlo. Chi detiene il potere?
«Naturalmente le corporation tecnologiche hanno un enorme quantità di potere. Ma il potere oggi è diffuso, è più difficile individuarlo rispetto al tempo in cui c’era un re e si poteva abbatterlo».
Adesso il re sta su X. Combatterlo è più difficile?
«Vero, ma guardate cosa è successo a Tesla, con il boicottaggio che ha danneggiato molto la società. È la dimostrazione che, se le persone agiscono insieme, in maniera non violenta, possono reagire agli abusi del potere. Quello che abbiamo oggi negli Usa è una presa diretta del governo da parte delle corporazioni, ma la gente sta reagendo. Guardate le elezioni in Canada».
La marea sta cambiando? È ottimista?
«Non faccio previsioni politiche, resto una filosofa. Diciamo che è il peggior periodo che io ricordi da quando sono nata, ma si può applicare quello che il vostro Gramsci chiamava l’ottimismo della volontà».