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  Inseparabili dai computer, la minaccia che non vediamo
Juan Carlos De Martin 
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I raccapriccianti atti di terrorismo avvenuti nei giorni scorsi in 
Libano attraverso cercapersone e ricetrasmittenti sono una eclatante 
manifestazione di uno degli aspetti meno compresi della rivoluzione 
digitale.
Relativamente poche persone, infatti, hanno messo a fuoco il fatto il 
mondo si sta computerizzando, processo che sta causando, oltre al resto, 
alterazioni profonde nei rapporti con l’ambiente in cui viviamo, oggetti 
inclusi.
La prima fase della computerizzazione del mondo è stata palese perché è 
stata semplicemente la fase della diffusione dei computer tradizionali, 
dai cosiddetti mainframe agli attuali desktop e notebook. Negli ultimi 
20-30 anni, però, la miniaturizzazione dei componenti e il drastico calo 
dei costi (anche della connessione a Internet) ha avviato una seconda 
fase, meno visibile e soprattutto meno compresa, che sta portando a 
computerizzare un numero crescente di esseri umani, di spazi e di cose.
Gli esseri umani si stanno computerizzando – volontariamente, ma in 
larga parte senza essere pienamente consapevoli delle implicazioni – 
innanzitutto tramite l’adozione e l’uso molto intenso dello smartphone, 
ormai posseduto da oltre quattro miliardi di persone. Allo smartphone in 
anni recenti si stanno aggiungendo – in attesa di impianti sottopelle – 
orologi, braccialetti, occhiali e anelli smart, dove smart è sinonimo di 
«con computer a bordo dotato di sensori e connesso a Internet». Le 
persone godono delle spesso notevoli funzionalità degli oggetti smart, 
che spesso portano con sé anche quando dormono, ma allo stesso tempo si 
prestano a una raccolta dati, anche estremamente sensibili, su di loro e 
sull’ambiente in cui si trovano, una raccolta dati assolutamente senza 
precedenti per vastità e capillarità, con conseguenze – per gli 
individui e per la società – ancora tutte da mettere a fuoco.
Per gli spazi, invece, basta pensare alla smart city, dove smart vuole 
innanzitutto dire la disseminazione di computer connessi a Internet 
negli spazi pubblici. Innanzitutto le migliaia di telecamere smart che 
stanno distopicamente presidiando le strade e le piazze delle nostre 
città (oltre che scuole, università, ospedali, uffici pubblici…), ma 
anche computer (dotati di sensori, ovvero, microfoni, telecamere, 
geolocalizzatori…) sui mezzi di trasporto (sia pubblici, sia quelli 
gestiti da privati come auto, scooter, biciclette e monopattini in 
condivisione), computer nei cassonetti dell’immondizia per controllare 
la raccolta differenziata, computer ai semafori e agli attraversamenti 
pedonali, e molto altro ancora.
Una computerizzazione degli spazi che riguarda anche moltissimi spazi 
privati, non solo molti luoghi di lavoro, ma anche le stesse case delle 
persone, sempre più popolate di oggetti computerizzati che ascoltano e 
magari anche vedono, come, per esempio, gli assistenti personali tipo 
Alexa e le televisioni smart. In generale, sta diventando sempre più 
difficile passare del tempo in spazi non computerizzati, ovvero, spazi 
che non ci spiano, un cambiamento fondamentale del nostro rapporto con 
lo spazio.
E infine, appunto, gli oggetti. Tutti quelli che abbiamo già citato, a 
partire dagli smartphone, ma anche molti altri che in questi anni si 
sono progressivamente computerizzati: frigoriferi, lavatrici, 
termostati, lampade, bilance, forni, allarmi, televisori e molti altri 
ancora, tra cui le automobili e in generale i mezzi di trasporto, dai 
monopattini elettrici a elicotteri e aeroplani. Tutti oggetti che, 
dotati di computer (per quanto rudimentali nel caso degli oggetti più 
semplici), e di una connessione con l’esterno (quasi sempre senza fili), 
hanno mutato in maniera radicale la loro natura.
Sono, infatti, diventati – quasi sempre all’insaputa di chi ingenuamente 
pensa di esserne il padrone – da una parte, oggetti che posso spiare il 
comportamento di chi li utilizza (eventualmente anche tramite microfoni 
o telecamere) e, dall’altra, oggetti che possono in linea di principio 
essere comandati dall’esterno per mutarne le funzionalità (per esempio 
rallentando o fermando un’automobile in corsa), fino al caso estremo – 
ma purtroppo di tragica attualità – della deliberata attivazione di una 
carica esplosiva nascosta come è avvenuto in Libano.
La computerizzazione del mondo finora è avvenuta in larga parte 
sottotraccia, con al limite qualche preoccupazione per la privacy delle 
persone. In realtà, è un processo di importanza capitale per il futuro 
delle nostre società, un processo di cui – senza minimizzarne i 
potenziali benefici – vanno problematizzati tutti gli aspetti. In 
particolare, invece di vedere solo gli aspetti positivi, lasciando mano 
libera alle imprese, peraltro tendenzialmente le solite Big Tech, 
dovremmo democraticamente decidere se, quando, come e a beneficio di chi 
computerizzare persone, spazi e oggetti, dando massima priorità alla 
trasparenza e alla libertà – non solo di scelta – delle persone. 
Naturalmente per fare ciò è necessario, oltre al resto, padroneggiare le 
tecnologie della computerizzazione lungo tutta la filiera produttiva. 
Una sfida, e tra le più importanti, per l’Europa del presente e dei 
prossimi anni.
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