Author: Aldo Zanchetta Date: To: forumlucca@inventati.org, gas Subject: [Forumlucca] buon appetito
*Veleni nel piatto, la frutta continua ad essere un'insidia per la salute.
I risultati di una ricerca Legambiente *
In Puglia è stato trovato un campione di uva con 15 diverse sostanze
chimiche; otto ne sono state rinvenute sulle fragole analizzate a Bolzano;
in Liguria un campione di basilico aveva sette residui di sostanze
chimiche. Sono i casi più eclatanti fotografati dal dossier di Legambiente
“Stop Pesticidi” sulla presenza di residui chimici nei prodotti
ortofrutticoli e derivati in commercio in Italia. I campioni irregolari
sono pochi ma aumentano i casi con multiresiduo e i campioni contaminati da
più sostanze. I principali risultati del dossieri dicono che solo lo 0,7%
dei campioni di prodotti agricoli e derivati analizzati dal laboratori
pubblici regionali risultano fuorilegge per la presenza di determinate
sostanze chimiche, oltre il limite permesso o per tracce di sostanze
vietate dalla normativa attuale.
“In Italia l’uso della chimica in agricoltura è sempre elevato (siamo i
primi consumatori europei di fitofarmaci e molecole chimiche per
l’agricoltura secondo l’ultimo rapporto Eurostat) ma va rilevato – spiega
Legambiente – il costante aumento della superficie coltivata con metodo
biologico (+23,1% dal 2010 al 2013) e la sempre maggiore diffusione di
pratiche agricole alternative e sostenibili”. Il quadro però non è
rassicurante perché dai dati emerge che il 42% dei campioni analizzati (su
un totale di 7132) risulta contaminato da uno (18,8%) o più (22,4%)
sostanze chimiche. Il multiresiduo (presenza concomitante di più residui
chimici in uno stesso campione alimentare), è salito di cinque punti
percentuale dal 2012 al 2014, passando dal 17,1% al 22,4%, con campioni da
record: cinque residui nelle mele, otto nelle fragole, quindici nell’uva da
tavola, cioè in alimenti dalle note proprietà nutrizionali che però
finiscono sulle nostre tavole carichi di pesticidi. La percentuale totale
di campioni irregolari (ortofrutta, prodotti derivati e miele) analizzati
si ferma allo 0,7% (era lo 0,6% nel 2012) ma la percentuale di campioni
regolari e privi di alcun residuo di pesticida è scesa dal 64% al 58%, un
ribasso che è legato al corrispondente incremento, fino al 42%, della
percentuale di campioni regolari ma contenenti almeno un residuo. In
particolare, il 18,8% del campione presenta un solo residuo di pesticida,
il 22,4% rientra nella categoria del multiresiduo, dove soprattutto la
frutta mostra le concentrazioni più rilevanti – sul totale dei campioni di
frutta il 43,3% è regolare ma contiene più un residuo chimico. In generale
le sostanze attive più frequentemente rilevate sono ancora oggi il
Boscalid, il Captano, il Clorpirifos, il Fosmet, il Metalaxil,
l’Imidacloprid, il Dimetoato, l’Iprodione.
Sostiene Legambiente: “L’esposizione ai pesticidi, assunti con il cibo è
sicuramente più bassa rispetto ad altri tipi di esposizione, come ad
esempio quella diretta dei lavoratori agricoli. Ma gli studi scientifici
dimostrano che i pesticidi possono produrre effetti negativi sulla salute
anche a basse dosi. Poiché manca ancora oggi una piena conoscenza dei loro
meccanismi d’azione e interazione, la ricerca scientifica deve proseguire,
sostenuta da un maggiore investimento. Nel frattempo, dovrebbe essere
applicato il principio di precauzione per garantire la tutela della salute
dei consumatori”.
“La normativa vigente – ha dichiarato la direttrice di Legambiente Rossella
Muroni – ha portato nel tempo a controlli più stringenti sull’uso corretto
dei pesticidi in agricoltura, tuttavia i piani di controllo dei residui di
fitosanitari negli alimenti, predisposti a livello europeo e nazionale, non
dedicano la giusta attenzione al fenomeno del multiresiduo e delle sue
possibili ripercussioni sulla salute dei consumatori. La normativa infatti,
continua a considerare sempre un solo principio attivo, fissandone i limiti
come se fosse l’unico a contaminare un prodotto. Come abbiamo visto però, i
residui possono essere anche più di dieci e dunque è fondamentale che
l’Efsa si attivi per valutare e definire i rischi connessi ai potenziali
effetti sinergici sulla salute dei consumatori e degli operatori e quelli
sull’ambiente”.