Sprar Carfizzi, Cara Crotone e un messaggio da Alessio Spata…

Delete this message

Reply to this message
Author: fraticello
Date:  
To: retecosenza
Subject: Sprar Carfizzi, Cara Crotone e un messaggio da Alessio Spataro
Il messaggio di http://alessiospataro.blogspot.it/ agli attentatori e
dedica una vignetta alle vittime ->
http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2015/01/09/charlie-hebdo-spataro-non-si-parla-con-fascisti-continuiamo-a-ironizzare-su-religioni_d57bb743-f1e0-4142-86ce-7901c0f3211f.html


Riparte (male) lo SPRAR di Carfizzi (KR)
Chi autorizza queste strutture?
Chi ne verifica i requisiti?
Che accoglienza e' questa?
Dopo aver ricevuto numerose telefonate - indirette - di aiuto da parte
di alcuni ospiti e dopo alcuni vani tentativi di richiesta di
informazioni e sopralluogo fatto ad amici del crotonese, ci avviamo da
Cosenza, e facciamo oltre 125 km.
Il Centro di Accoglienza SPRAR "Jerusalem" si trova nel piccolo comune
di 600 anime di origini arbereshe (profughi albanesi del '500)
incastonato nelle colline crotonesi. La strada e' lunga e tortuosa per
arrivare dalla parte del mare. Il soggetto gestore e' la cooperativa
AGAPE il cui presidente e' l'avvocato Francesco Vizza.
La struttura - un ostello della gioventu' - e' posta al di fuori del
paese e soffre anche'essa di abbandono come nella stragrande maggioranza
dei piccoli paesi della Calabria, uno di quei tanti progetti calati
dall'alto, con finanziamenti ricevuti per mano di chissa' chi e poi
miseramente abbandonati a se stessi.
Arriviamo a sera inoltrata e pasto distribuito crediamo intorno alle
18.30 ed increduli entriamo subito in contatto con gli ospiti che ci
chiedono aiuto sotto diversi aspetti: cibo scarso, ritardo documenti,
isolamento sociale, scarsa assistenza medica, senza riscaldamento,
pochissima acqua calda. Nessun operatore era con loro. Crediamo che
nessuno dorma assieme ai 33 ospiti presenti nella struttura.
Dopo circa 20 minuti dal nostro arrivo - all'interno della sala
soggiorno - notiamo una persona che ci osserva a distanza senza
intervenire. Ci presentiamo e lui si qualifica prima come Consigliere
del Comune e poi come operatore del centro: Antonio. Non senza quel
solito velato razzismo strisciante ci racconta dei diversi ospiti e
delle problematiche della struttura: "hanno rubato 134 termosifoni di
ghisa", "se mettiamo gli scaldabagni grandi si fanno le docce troppo
lunghe, vanno bene gli scaldini da 30 litri".
Abbiamo visitato un'ala del dormitorio, la sala soggiorno e qualche
bagno. Dal punto di vista costruttivo/strutturale l'edificio e' ben
tenuto ma lasciano alquanto a desiderare i bagni. Nel senso che con una
manutenzione periodica non si troverebbero in quelle condizioni.
La struttura ha spazi molto ampi e difficili da riscaldare con due
condizionatori piccoli come quelli che si trovano nelle abitazioni. I
migranti ci raccontano che vengono tenuti accesi due ore al giorno. Come
saranno stati in questi giorni le cui temperature sono andate sotto lo zero?
Moltissimi ospiti hanno radicato i loro documenti a Varese e tanti ci
hanno fatto vedere la documentazione per la richiesta di asilo con
appuntamenti gia' scaduti. Successivamente veniamo a sapere che il
gestore dichiara che non ha i soldi per acquistare loro il biglietto.
Le comunicazioni consegnate dalla Questura portano solo la firma
dell'interessato e dell'ispettore di turno, lo spazio riservato
all'interprete e' sempre vuoto e le comunicazioni sono effettuate tutte
in lingua italiana. E' evidente che la comunicazione multiculturale non
e' il forte di questo soggetto gestore che in alcuni documenti pubblici
addirittura scrive: englesh!
Siamo sicuri che la formula RIFUGIATI NEI NOSTRI PICCOLI PAESI
ABBANDONATI funzioni senza un progetto che nasca dal basso da persone
che vivono il paese?
No, perche' questa formula sa tanto di ennesimo assistenzialismo
istituzionale/politico erogato nei confronti di coloro i quali
gestiscono queste strutture, che altrimenti non resterebbe che emigrare
anche loro.
Quindi chiudiamo con le domande iniziali: Chi autorizza queste
strutture? Chi ne verifica i requisiti? Che accoglienza e' questa?
PERCORSO DELLA DELEGAZIONE https://goo.gl/maps/i8UK1
UBICAZIONE STRUTTURA D'ACCOGLIENZA https://goo.gl/maps/Fpwhb
Centro Sociale Rialzo, Comitato Prendocasa, Fucina Anarchica - COSENZA
LA PRESENTE COMUNICAZIONE E' INVIATA IN COPIA A:
ANSA CALABRIA ansa.calabria@???
TGR RAI CALABRIA tgrcalabria@???
ESPERIA TV redazione@???
QUOTIDIANO IL CROTONESE direttore@???
IL QUOTIDIANO DEL SUD ilquotidiano.kr@???
ilquotidiano.cz@???
IL GARANTISTA catanzaro@???
IL MANIFESTO redazione@???


INVISIBILI TRA GLI INVISIBILI AL CARA DI CROTONE
L'INGRESSO
Una delegazione di LasciateCIEntrare accede al CARA di Crotone il 22
Dicembre alle ore 10.30. E’ composta da Francesco Noto, Ahmed Baraou e
Yasmine Accardo. Dopo aver presentato documenti e foglio di
autorizzazione all’entrata ci lasciano entrare senza scorta. Restiamo
straniti, abituati ad entrare sempre scortati da poliziotti ed addetti.
Immaginiamo che il sistema di sorveglianza sia qui, probabilmente, molto
sicuro. Ci guardiamo intorno alla ricerca delle telecamere.
Effettivamente ce ne sono molte.
I CAMPI DOVE SI COLTIVANO SOLDI
Ci dirigiamo subito verso il Campo A, la Baraccopoli di container gialli
e blu dove i migranti stanno svolgendo le loro attività quotidiane:
mercatini improvvisati, vendita al dettaglio di bibite, lavaggio vestiti
che appendono sulle funi montate tra un container e l’altro. Abbiamo
modo di parlare con diversi di loro. Alcuni sono arrivati da poco altri
sono qui da oltre un anno. Nessuno inizialmente vuole parlarci. Sono
guardinghi e si girano intorno come a valutare la presenza di altri.
Gli diciamo che rappresentiamo una campagna che si pone l’obiettivo di
salvaguardi dei diritti. Non si fidano e molti restano in silenzio.
Alcuni ci dicono che non possono parlare con i giornalisti, perché
altrimenti il rischio è quello di non avere il permesso di soggiorno.
Qui non vogliono che loro parlino e loro preferiscono non farlo. “Siamo
qui, intanto. Siamo obbligati ad accettare tutto. Voi uscirete e noi
resteremo con loro”. Nei container dormono fino ad otto persone. In
ognuno c’è un fornelletto, che i migranti comprano da se. I container
sono sporchi e malmessi. Ci chiediamo come si riscaldino lì dentro. Un
container ha la porta aperta e mostra macerie di un incendio. C’è un
gatto dentro che si lava. Molti dei migranti sono in città dove si
recano anche per cercare un piccolo lavoretto o per fare una
passeggiata. Ci raccontano che con i crotonesi, però, non hanno alcun
contatto. Ci avviciniamo ai bagni dove alcuni addetti hanno appena
terminato le pulizie. Le docce sono otturate e quindi l’acqua ristagna
alla base e le pareti sono quindi ammuffite. Cambiamo area e cui
dirigiamo al campo B, per la strada incontriamo altri migranti. Loro ci
salutano e riusciamo a scambiare qualche parola in più. La scena è
sempre la stessa: si guardano intorno preoccupati. Qualcuno di loro ci
incalza dicendoci che lì non sono trattati bene: vanno dal medico e non
vengono assistiti. Uno di loro ha un problema agli occhi e continua
ripetutamente a chiedere assistenza, ma gli viene detto che non ha
niente e non ha bisogno di nessuna terapia. Eppure lui continua a non
vedere bene. Si strofina gli occhi e si chiede se sia giusto essere
trattati così. Il suo compagno ha dolori alterni all’addome ma anche per
lui la risposta è stata la stessa: non hai niente. Vogliamo sperare che
sia davvero così. Continua a parlarci dicendoci che nessuno qui riceve
soldi. Hanno soltanto un pacchetto di sigarette a settimana. Internet lo
pagano due euro all’ora e se lo sono fatti da se. Esiste anche il
barbiere, dato che quello del campo non deve funzionare un granchè, un
euro il taglio capelli, cinquanta centesimi la barba. Mentre parliamo
con alcuni migranti, altri a gruppi ci guardano da lontano. Vorrebbero
probabilmente avvicinarci ma non lo fanno.
GLI AVVOCATI SCIACALLI
Proseguiamo verso l’area B, dove c’è anche una moschea. le abitazioni
non sono baracche ma moduli abitativi bianchi. Più migranti ci si
avvicinano qui. Confermano tutti quanto ci hanno già detto altri. In
particolare ci raccontano che nel caso qualcuno ricevesse negativo dalla
commissione, un avvocato dell’interno li manda da un collega a Crotone,
che si prende 200 euro per i ricorsi. Non tutti hanno questa cifra. E
devono averla però entro 15 giorni dal diniego. Altrimenti niente
ricorso e nessun documento. Quindi devono procurarsi soldi e lo fanno
cercando piccoli lavoretti a Crotone, facendo l’elemosina ai
supermercati o cercando vestiti nei rifiuti da rivendere una volta
puliti. Soldi anche per telefonare ai propri cari. Perché non gli danno
nemmeno le schede telefoniche.
COSI' DOVREBBERO ESSERE LE VISITE NEI CENTRI DI DETENZIONE
In quest’area c’è una donna che ha partorito da poco, dentro al centro.
Dice che non hanno voluto portarla in ospedale e che ha sofferto pene
indicibili. Avrebbe voluto fare il parto cesareo. Ma niente da fare ha
partorito lì. Siamo al campo da circa due ore e mezza. Nessuno a parte i
migranti si è avvicinato a noi. Entriamo nelle palazzine dove ci sono
gli ambulatori per le visite, i saloni dove si fa scuola. Giriamo tutto
l’edificio e ridiscendiamo. Stanno chiamando i migranti al pranzo ed
assistiamo alla distribuzione. Le porzioni di cibo sono minuscole: Riso
e carne, di cui non si conosce la provenienza. Molti qui sono musulmani,
lamentano che vorrebbero carne halal, ma ci hanno rinunciato: o questo o
niente. Il pasto è composto da: una fettina di carne, una porzione di
riso, una mela, una bottiglia d’acqua. Mentre siamo lì, avremmo potuto
fare la fila per prendere il cibo, ma non avevamo la tessera. Qui non ti
guardano nemmeno in faccia.
IL CAPANNONE DEL BENVENUTO
Verso le 13 e 15 arriva un autobus ed un folto gruppo di poliziotti e
militari. Ci avviciniamo al capannone. Salutiamo poliziotti e militari
ed entriamo senza alcun tipo di ostacolo. Nel capannone ci sono circa 50
migranti, siriani, appena arrivati. Sono seduti sui letti e gli viene
dato il pasto, che consumano in maniera poco dignitosa, mentre un
mediatore di lingua araba spiega in fare piuttosto severo qualcosa. Ci
avviciniamo ai migranti per sapere da dove vengono: dalla Turchia. Ci
sono donne e bambini. Lasciamo un nostro contatto telefonico. Mentre
parliamo ad un tratto il mediatore punta il dito verso Ahmed.” Lui non
l’ho identificato”. Ahmed risponde dicendo che lui ha già i documenti.
C’è il responsabile della prefettura che comincia ad urlare, dicendo lui
lì cosa ci fa e chi l’ha autorizzato ad entrare. Rispondiamo tutti
insieme che siamo la delegazione di LaciateCIEntrare. E siamo
autorizzati dalla prefettura, cioè da lui. Continua ad urlare e ci
ordina di uscire. Vuole sapere da dove siamo entrati: “dalla porta
centrale. Abbiamo lasciato i documenti e mostrato l’autorizzazione”: Non
ci crede e continua a sbraitare. Arrivano i poliziotti cui mostriamo il
foglio di autorizzazione. Ci guardano sgomenti: non sapevano che fossimo lì!
IL BUONSENSO
Ci invitano ad uscire,dicendoci che comunque noi lì non possiamo stare,
perché ci sono migranti appena arrivati. Gli diciamo che proprio da
Crotone, ci erano giunte segnalazioni su pestaggi ai migranti per
prendere le impronte. E che l’on Intrieri ne fece un’interrogazione
parlamentare. Ci accompagnano verso l’uscita, mentre continuiamo ad
incalzarli su quanto accaduto a Crotone pochi mesi fa. Ci assicurano che
loro accolgono i migranti e li trattano bene. Il poliziotto ci chiede se
abbiamo scattato foto, confida nel nostro buon senso. Gli diciamo che ci
opponiamo al non prendere foto all’interno. E quindi ci lascia all’uscita.
Dopo un'ora riceviamo una telefonata da un siriano all’interno: vogliono
costringerli a prendere le impronte. Diamo loro nome di avvocato e
numero di telefono. Cominciano uno sciopero della fame. Chiamiamo
l’avvocato, che si dirige verso il cara. Proviamo a rientrare. Ce lo
permettono. Incontriamo nuovamente il poliziotto che ci aveva
accompagnato all’uscita. Incalziamo nuovamente . chiedendo di poter
entrare lì dove sono i siriani, per garantire il diritto di non
rilasciare le impronte, con procedura indicata da documento ASGI (che
inviamo per mail). Il poliziotto telefona ci lascia a lungo in attesa.
Dopo una mezz’oretta torna. Ci dice che non possiamo andare ma che ai
migranti non prenderanno le impronte. Gli diciamo che c’è un avvocato e
che la parola “Forzate” non significa a suon di botte. Ci accompagna
nuovamente all’uscita. Più tardi entrerà nuovamente un’altra persona,
Simona Martini, sempre come LasciateCIEntrare per assicurarsi delle
condizioni dei migranti: i bambini giocano e non ci sono problemi. I
migranti siriani se ne andranno il giorno dopo. Noi per tre ore siamo
stati invisibili tra gli invisibili.
LA PUZZA DEI SOLDI
Ovviamente rimane l'amaro in bocca, per la nostra impotenza di fronte a
queste strutture-mostro che fagocitano esseri umani e macinano soldi. Ma
lo Stato e il parastato sa dove piazzarle. Tutto il tempo della visita
ha spirato un vento che oltre ad abbassare le temperature profumava
l'aria di quel tanfo che senti quando sei vicino ad una discarica. Sono
le discariche dei Vrenna. Qui tutto intorno è un via vai continuo di
camion che trasportano, smistano, triturano, trasformano i rifiuti in
soldi. Esattamente con il Centro di Crotone, al posto dei rifiuti
provenienti dagli oggetti, esseri umani.

Il racconto di AHMED
La mia visita lampo al"cara" di Crotone è stata una sorpresa per
me Ahmed Berraou. Vivo in Italia da 20 anni e sono un imam. Sono stato
presidente della comunità islamica dal 1997 fino al 2011 ed oggi
sono presidente di un’ associazione di volontariato nel'ambito
immigrazione oltre che mediatore culturale da anni e sindacalista nel
direttivo della CGIL. Sono stato chiamato dalla Campagna
LasciateCIEntrare per far parte della delegazione in visita al CARA il
girono 22 Dicembre c.a. Siamo arrivati la mattina a Crotone, passando
per una strada ben nota per il degrado ambientale e le discariche.
Intorno alle 10.30 siamo arrivati al CARA di Santa'Anna io, Francesco e
Yasmine. Abbiamo presentato l'autorizzazione ad entrare del prefetto,
lasciato le nostre carte d'identità ed abbiamo percorso soli il lungo
vialone che conduce all’interno. Ci siamo diretti verso il Campo A che
da più di 10 anni si trova lì e si compone di container di ferro
sistemati in fila al cui interno “dimorano” un minimo 8 persone per lo
più asiatici e maliani in condizioni igieniche del tutto insane e dove
il sistema elettrico non possiede alcun sistema di sicurezza..In alcuni
containers sono stati allestiti anche dei negozietti fai da te di
migranti che si trovano lì da oltre un anno. L’assistenza sanitaria è
penosa, così mi riferiscono tutti i migranti con cui riesco a parlare,
soprattutto perchè è difficilissimo incontrare i medici, visto che per
lo più vengono visitati da infermieri o stagisti. Il cibo
è insufficiente e senza né gusto nè sapore, oltre che non avere nessuna
indicazione se sia o meno helal, nel caso si tratti di carne. Tutte le
persone con cui ho parlato si lamentano di tutto ma sono costretti ad
accettare le condizioni del campo per paura o per ricatto, visto che gli
si dice. “o così o niente permesso di soggiorno”. La storia più triste è
quella di una donna marocchina che ha partorito nel campo dopo una lunga
sofferenza e che adesso ha una figlia malata di 4 mesi nata dopo un
intervento dentro al cara e senza aver mai visto l’ospedale.
Continuando a visitare il campo siamo giunti al posto di prima
identificazione dove abbiamo trovato più di 50 persone tra uomini, donne
e bambini tutti siriani appena arrivati dalla sicilia. Stavano tutti
dentro un capannone, un posto davvero poco degno per una prima
accoglienza. Mi sono avvicinato a un giovanotto, che aveva la stanchezza
tracciata pesantemente sul viso, a lui ho lasciato il mio biglietto da
visita con numero di telefono per chiamare in caso di necessità. Stavamo
scambiando due chiacchiere quando, dopo un po’, è arrivato un
funzionario della polizia e dell'accoglienza che ha cominciato a gridare
gridando e bestemmiare, usando parole molto volgari e senza motivo.
Diceva che noi non potevamo stare lì e chiamato la polizia, l'esercito,
i carabinieri e la guardia di finanza per impedirci di restare lì.
Quindi siamo stati “scortati fuori” e dopo un po’ siamo stati richiamati
dal siriano cui avevo lasciato il mio numero. Volevano costringerli a
prendere le impronte con la forza. Così siamo entrati di nuovo, però la
polizia ci ha impedito di parlare con loro, che all’interno erano già in
sciopero della fame. Abbiamo però spiegato loro che non potevano
prendere le impronte per forza e che esiste un’altra procedura e non
solo, che già da l’ erano arrivate segnalazioni di “botte” ai siriani,
nei mesi precedenti. Abbiamo chiamato un avvocato di zona perchè li
potesse difendere, ma non è stato fatto entrare. Poi è arrivata
un’altra ragazza del volontariato della zona, che aiuta molti siriani.
E’ entrata anche lei, ma non le è stato permesso di vedere i siriani del
gruppo. Comunque è proprio il campo della Vergogna!