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Author: Aldo Zanchetta
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To: forumlucca
Subject: [Forumlucca] no comment
Giuseppe si impicca vicino alla Costituzione


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Disoccupato, aveva scritto a Camusso e Napolitano. Aveva raccolto i nomi di
tutti i suicidi per lavoro, alla fine aveva messo il suo

La Costituzione italiana, con dentro un foglietto: l'elenco dei suicidi per
lavoro degli ultimi due anni. E l'ultimo della lista, scritta di suo pugno,
è il suo stesso nome: Giuseppe Bulgarella. Muratore e sindacalista Cgil, 61
anni, di Guarrato, paesino del trapanese, Giuseppe ha deciso di togliersi la
vita, impiccandosi nella notte tra sabato e domenica scorsi. Non riusciva
più a vivere senza lavoro, prima ancora per un senso di dignità e di utilità
sociale, che per un bisogno economico: «Se non lavoro non ho dignità. Adesso
mi tolgo dallo stato di disoccupazione», le due frasi scritte nel foglio che
ha lasciato nella Carta che detta i fondamenti della nostra Repubblica.

E tra questi, il primo e più importante, è l'articolo uno: «L'Italia è una
Repubblica democratica fondata sul lavoro». Questa frase, così bella, negli
ultimi anni deve essere rimbombata come un incubo martellante nella testa di
Giuseppe. Soprattutto da quando era entrato in uno stato di profonda
depressione, perché non c'era proprio modo di trovare un lavoro.

Giuseppe aveva lavorato fin da bambino come muratore, prima segando il
marmo, poi costruendo mattoni. Aveva svolto anche attività sindacale, nella
Fillea Cgil, la categoria che segue gli edili. L'ultimo contratto che riesce
ad avere risale al 2000. Da quell'anno in poi la cooperativa Celi di Santa
Ninfa, nata dopo il terremoto che nel 1968 aveva colpito la Valle del
Belice, lo aveva lasciato a casa perché non c'era più lavoro neanche per i
soci. Per due anni Giuseppe riceve così l'indennità di disoccupazione, di
700 euro al mese, e poi niente altro. Magari lavoretti, per arrangiarsi e
arrotondare: non essendo sposato e non avendo figli quel sussidio basta,
almeno all'inizio. Ma la mancanza di un'occupazione gli fa comunque male:
non riesce a stare senza fare nulla. «Era l'unica cosa che lo faceva sentire
realizzato - raccontava ieri alla Repubblica il fratello maggiore, Giovanni
- Viveva la disoccupazione come una situazione di oppressione».

Giuseppe non era stato fermo, negli ultimi anni, anzi aveva cercato di
reagire. Andava al sindacato, faceva parte del direttivo provinciale della
Fillea: parlava con i suoi colleghi, e a una delle ultime assemblee del
2012, alla Cgil, aveva preso la parola. Aveva parlato di quelli come lui,
che «sono rimasti a casa», e sembrava non arrendersi. Si era perfino speso
per il rinnovo del contratto degli edili, anche se in realtà, nel suo stato
di prolungata disoccupazione, era come se non lo riguardasse più. E
ultimamente aveva scritto due lettere: una alla segretaria della Cgil,
Susanna Camusso, e l'altra a Giorgio Napolitano, il primo cittadino, garante
della Costituzione. I carabinieri hanno trovato le missive nella sua tasca,
domenica mattina, allertati dal fratello.

Nelle lettere aveva espresso il suo profondo disagio: «L'articolo 1 della
Costituzione dice che l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. E allora
perché lo Stato non mi aiuta a trovare lavoro? Perché non mi toglie da
questa condizione di disoccupazione? Perché non mi restituisce la mia
dignità?». Fino alla minaccia, infine realizzata. «E allora se non lo fa lo
Stato lo debbo fare io...».

«Vedo ogni giorno negli occhi dei lavoratori la paura di perdere il proprio
posto - dice Walter Schiavella, segretario generale della Fillea Cgil - Ma
nella maggior parte dei casi vedo la disperazione di non sapere come tirare
avanti senza un'occupazione, o con 700 euro di cassa integrazione o vendendo
la propria fatica per 20 euro al giorno nei mercati illegali delle braccia.
E allora ti chiedi che ci stai a fare, come mai non riesci a fermare questa
valanga impazzita». Per il segretario del Pd Pierluigi Bersani, il suicidio
di Giuseppe «è stata una coltellata»: «Ci occuperemo di questo problema del
lavoro - aggiunge - senza promettere miracoli, ma facendo capire che si
parte da chi è in difficoltà». «Credo che oggi tutti i partiti dovrebbero
parlare solo di Giuseppe Burgarella - dice Antonio Ingroia, candidato
premier di Rivoluzione civile - Bisogna dare una risposta a tutti gli
italiani che subiscono gli effetti della crisi».