[Forumlucca] Sull'ardire utopico dei pensieri lunghi

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Author: Massimiliano Piagentini
Date:  
To: forumlucca
Subject: [Forumlucca] Sull'ardire utopico dei pensieri lunghi
http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2012/08/17/sullardire-utopico-dei-pensieri-lunghi/

SULL'ARDIRE UTOPICO DEI PENSIERI LUNGHI
- di Alessandro Gilioli

Credo che le molte ironie scritte in questi giorni sul vendoliano
«ardire utopico dei pensieri lunghi» – decisamente la sciocchezza
dell’estate – siano abbastanza giustificate: a fronte di un casino
come quello dell’Ilva e soprattutto di un autunno che già si
preannuncia di merda per tutti, l’«ardire utopico dei pensieri lunghi»
fa pensare che il governatore della Puglia si sia fatto una gigantesca
canna, e ciao.
Del resto un po’ la parabola di Vendola risente di questo recente ma
radicale cambiamento dei tempi: quando a Palazzo Chigi c’era
Berlusconi, si poteva legittimamente sognare un passaggio rapido verso
tempi radiosi – la famosa ‘ora X’ di cui già discutevano i
rivoluzionari tedeschi un secolo fa. Adesso che invece siamo nel
concreto, razionale e asciutto presente dei tecnici (e del loro gelido
governare la cosa pubblica a suon di decreti liberisti) nessuno si fa
più illusioni, nessuno ha più voglia di sognare, si pensa tutti a
sopravvivere nei prossimi due mesi e non a costruire un modello per i
prossimi due decenni: con buona pace dell’«ardire utopico dei pensieri
lunghi».
Eppure non c’è bisogno di aver studiato filosofia della storia per
sapere che la politica – il fare politica – deve nutrirsi nella stessa
misura di ideali lontani e di pragmatismo immediato, altrimenti è
comunque zoppa. Lo è se vive solo di solo di sogni, ma lo è
altrettanto se vive solo di gestione del presente, senza un modello a
cui ispirarsi. Un modello che si sa non sarà mai raggiunto – la realtà
è imperfetta per definizione – ma che serve appunto a modellare un po’
il presente, a poco a poco.
La nebulosa vendoliana di cazzate agostane è stata tremenda non solo
per la ridicolaggine del linguaggio, ma soprattutto perché
paradossalmente ottiene l’effetto opposto: quello di farci guardare
sempre di più verso i nostri piedi e sempre meno verso il luogo dove
stiamo andando.