[autorgstudbo] #LottoMarzo, il welfare non è un gioco!

Delete this message

Reply to this message
Author: News AutOrg.anizzazione Stud.entesca BO
Date:  
To: autorgstudbo, no_gelmini
Subject: [autorgstudbo] #LottoMarzo, il welfare non è un gioco!
Oggi gli student*, i lavorator* e i precar* di Santa Insolvenza si sono
dati appuntamento davanti al centro per l'impiego di Via Todaro per un
momento di comunicazione con la città e con tutti coloro che, per ore
in
coda davanti al centro, sperano di trovare un posto di lavoro. Abbiamo
raccontato e ci siamo fatti raccontare quanto sia difficile oggi
trovare un
lavoro e, soprattutto, che gli unici posti che si trovano impongono un
ricatto: un ricatto che si gioca tutto sulle nostre vite e sulla nostra
pelle. Siamo infatti costretti ad accettare qualsiasi contratto, a
qualsiasi condizione e siamo quindi costretti a rinunciare a tutte le
tutele e le garanzie che un lavoro dovrebbe offrire.
Per questo abbiamo distribuito volantini su quali vi erano le
rivendicazioni di Santa Insolvenza: il diritto ad una *casa *per tutt*,
il
diritto ad un *reddito *di base e incondizionato, il diritto alla
*mobilità*e il diritto ai
*desideri*.

Il volantino distribuito stamani:

*#Lottomarzo: il welfare non è un gioco!*

Lasciate che mi presenti. Sono Santa Insolvenza, protettrice delle
precarie
e dei precari. Forse ci siamo già conosciuti a ottobre,
davanti a Banca d'Italia e dentro gli uffici Unep, da dove partono i
pignoramenti. Oppure in corteo a Roma, o a novembre dentro il
Cinema Arcobaleno, che per cinque formidabili giorni è stato il mio
Community Center. O forse a dicembre abbiamo fatto la spesa
assieme, quando la coop non ha voluto farci lo sconto.
Se ci siamo conosciuti mi hai sentito sicuramente parlare del debito,
pubblico e privato, e del sacrosanto diritto di sottrarsi al ricatto e
rifiutarsi di pagarlo.
Ma c'è un altro ricatto che mi fa andare su tutte le furie: quello che
ci
impedisce di scegliere. Di scegliere che lavoro fare e per
quanto tempo farlo, di scegliere di studiare senza lavorare o di
lavorare
senza studiare. Di scegliere chi amare e con chi andare a letto,
se fare dei figli o no, se avere una famiglia, due, cento o nessuna. Di
scegliere la nostra strada nella vita. Insomma, di scegliere.
Prima si sono inventati il lavoro interinale, i co.co.co. e co.co.pro.,
il
finto lavoro autonomo, i contratti a chiamata, a ritenuta d'acconto,
a somministrazione. Ci hanno abitutato, negli ultimi anni, a credere
che
l'unico modo di campare sia accettare qualsiasi lavoro,
qualsiasi contratto, qualsiasi retribuzione, rinunciare a tutte le
tutele,
pur di sopravvivere. Ci hanno abituato a credere che il lavoro
fosse un valore assoluto per il quale sacrificare il nostro tempo, i
nostri
affetti e, a volte, anche la vita. E per le persone migranti avere
un lavoro, qualsiasi, anche alle condizioni più disumane, è addirittura
la
condizione per avere il diritto di esistere nei confini nazionali.
Per loro non lavorare vuol dire perdere ogni diritto, finire reclusi
per
mesi o anni nei Cie, essere deportati.
Ora sono arrivati i tecnici, quelli che sanno-come-si-fa, e si sono
accorti
che chi non ha reddito né certezze non compra e non
consuma, girano pochi soldi e i ricchi guadagnano di meno. Toh! Bisogna
fare qualcosa, dicono i tecnici. Una bella riforma del
mercato del lavoro. Hanno tanti bei progetti ma ce li dicono un po' per
volta: i tecnici sanno che prima o poi ci incazziamo. Meglio
mettere tutto sotto il tappeto, evitare che si crei un vero dibattito
politico e presentare il loro "pacchetto" ad accordi fatti.
Però qualcosa si è capito lo stesso. Vogliono imporci uno scambio:
contratti a tempo lungo, come quello di apprendistato per chi ha
meno di 29 anni, in cambio della rinuncia a quisquiglie come una bella
fetta di stipendio, l'indennità di malattia o la tutela dal
licenziamento senza giusta causa (art. 18). E chi ha più di 29 anni?
Già
ora fatica a trovare anche ai lavori semischiavistici che
occupano molti ventenni: con l'apprendistato "prevalente" si troverebbe
ancor più tagliata fuori dal mercato del lavoro.
I Tecnici vogliono anche farci credere che se si tolgono dei diritti ai
lavoratori "garantiti", i precari ci guadagneranno. Ma quando mai!
Qualsiasi arretramento sul piano delle tutele sul lavoro è una
fregatura
per tutti/e.
Un'altra cosa di cui si vocifera è il sussidio di integrazione al
reddito
per tutti i disoccupati, anche precari. Anche qui si nasconde
una trappola. Pare che il sussidio sarà erogato da un'agenzia privata
che
contemporaneamente sarà incaricata di cercarti un lavoro:
se non accetti il posto che ti propongono, ti tolgono il sussidio. E
siccome pare che a finanziarlo sarà lo Stato ma in parte anche
l'agenzia di tasca sua, potete immaginarvi quanto interesse avrà
l'agenzia
a farvi fare il prima possibile il primo lavoro di merda che
capita.
In Francia nel 2006 il governo socialista propose una riforma simile,
che
si chiamava contratto di primo impiego (CPE). Occupazioni,
cortei e scioperi bloccarono il paese per settimane, finché il governo
fu
costretto a ritirare la proposta. Quel movimento ci mostra
che ribaltare queste riforme con una sollevazione dal basso è
possibile!
Insomma, io non voglio fare la Santa degli insolventi per tutta la
vita. Il
mio sogno è fare la dj o la giornalista, ma anche suonare il
basso o riparare le bicilette mi piacerebbe.
Non sogno il posto fisso. Sogno di poter scegliere, e di non essere più
sotto ricatto.
La via d'uscita dalla precarietà non è trasfigurare in un sogno la
forma
lavoro che ha incatenato la generazione precedente, e che
tutt'ora incatena molti/e, che anno dopo anno sospirano la pensione.
L'unica strada è riconquistare in prima persona la facoltà di
autodeterminare le nostre scelte, riprenderci l'accesso universale ai
servizi fondamentali, ai beni comuni, e reclamare un reddito
di base slegato dal lavoro: settecento euro al mese per tutti/e, cioè
quanto basta per superare la soglia di povertà calcolata dall'Istat.
Ciò non significa che nessuno lavorerebbe più, ma soltanto che ci
sarebbero
meno persone disposte ad accettare lavori faticosi,
alienanti e malpagati. Allora l'alternativa per le imprese sarebbe o
pagarli meglio, o trovare soluzioni tecniche alternative. Non è
un'utopia, ma qualcosa che esiste già in molti paesi europei.
Sempre quelli che sanno-come-si-fa dicono che non ci sono i soldi:
mentono
sapendo di mentire, e intanto comprano novanta
caccia F35 e insistono sulla TAV. Tocca a noi far loro rimangiare le
menzogne, a partire da oggi.


Santa Insolvenza
www.santainsolvenza.noblogs.org

facebook: Santa Insolvenza
twitter: @SantaInsolvenzaOggi gli student*, i lavorator* e i precar* di Santa Insolvenza si sono dati appuntamento davanti al centro per l'impiego di Via Todaro per un momento di comunicazione con la città e con tutti coloro che, per ore in coda davanti al centro, sperano di trovare un posto di lavoro. Abbiamo raccontato e ci siamo fatti raccontare quanto sia difficile oggi trovare un lavoro e, soprattutto, che gli unici posti che si trovano impongono un ricatto: un ricatto che si gioca tutto sulle nostre vite e sulla nostra pelle. Siamo infatti costretti ad accettare qualsiasi contratto, a qualsiasi condizione e siamo quindi costretti a rinunciare a tutte le tutele e le garanzie che un lavoro dovrebbe offrire. 



Per questo abbiamo distribuito volantini su quali vi erano le rivendicazioni di Santa Insolvenza: il diritto ad una casa per tutt*, il diritto ad un reddito di base e incondizionato, il diritto alla mobilità e il diritto ai desideri.



Il volantino distribuito stamani:#Lottomarzo: il welfare non è un gioco!Lasciate che mi presenti. Sono Santa Insolvenza, protettrice delle precarie e dei precari. Forse ci siamo già conosciuti a ottobre,



davanti a Banca d'Italia e dentro gli uffici Unep, da dove partono i pignoramenti. Oppure in corteo a Roma, o a novembre dentro ilCinema Arcobaleno, che per cinque formidabili giorni è stato il mio Community Center. O forse a dicembre abbiamo fatto la spesa



assieme, quando la coop non ha voluto farci lo sconto.Se ci siamo conosciuti mi hai sentito sicuramente parlare del debito, pubblico e privato, e del sacrosanto diritto di sottrarsi al ricatto erifiutarsi di pagarlo.



Ma c'è un altro ricatto che mi fa andare su tutte le furie: quello che ci impedisce di scegliere. Di scegliere che lavoro fare e perquanto tempo farlo, di scegliere di studiare senza lavorare o di lavorare senza studiare. Di scegliere chi amare e con chi andare a letto,



se fare dei figli o no, se avere una famiglia, due, cento o nessuna. Di scegliere la nostra strada nella vita. Insomma, di scegliere.Prima si sono inventati il lavoro interinale, i co.co.co. e co.co.pro., il finto lavoro autonomo, i contratti a chiamata, a ritenuta d'acconto,



a somministrazione. Ci hanno abitutato, negli ultimi anni, a credere che l'unico modo di campare sia accettare qualsiasi lavoro,qualsiasi contratto, qualsiasi retribuzione, rinunciare a tutte le tutele, pur di sopravvivere. Ci hanno abituato a credere che il lavoro



fosse un valore assoluto per il quale sacrificare il nostro tempo, i nostri affetti e, a volte, anche la vita. E per le persone migranti avereun lavoro, qualsiasi, anche alle condizioni più disumane, è addirittura la condizione per avere il diritto di esistere nei confini nazionali.



Per loro non lavorare vuol dire perdere ogni diritto, finire reclusi per mesi o anni nei Cie, essere deportati.Ora sono arrivati i tecnici, quelli che sanno-come-si-fa, e si sono accorti che chi non ha reddito né certezze non compra e non



consuma, girano pochi soldi e i ricchi guadagnano di meno. Toh! Bisogna fare qualcosa, dicono i tecnici. Una bella riforma delmercato del lavoro. Hanno tanti bei progetti ma ce li dicono un po' per volta: i tecnici sanno che prima o poi ci incazziamo. Meglio



mettere tutto sotto il tappeto, evitare che si crei un vero dibattito politico e presentare il loro "pacchetto" ad accordi fatti.Però qualcosa si è capito lo stesso. Vogliono imporci uno scambio: contratti a tempo lungo, come quello di apprendistato per chi ha



meno di 29 anni, in cambio della rinuncia a quisquiglie come una bella fetta di stipendio, l'indennità di malattia o la tutela dallicenziamento senza giusta causa (art. 18). E chi ha più di 29 anni? Già ora fatica a trovare anche ai lavori semischiavistici che



occupano molti ventenni: con l'apprendistato "prevalente" si troverebbe ancor più tagliata fuori dal mercato del lavoro.I Tecnici vogliono anche farci credere che se si tolgono dei diritti ai lavoratori "garantiti", i precari ci guadagneranno. Ma quando mai!



Qualsiasi arretramento sul piano delle tutele sul lavoro è una fregatura per tutti/e.Un'altra cosa di cui si vocifera è il sussidio di integrazione al reddito per tutti i disoccupati, anche precari. Anche qui si nasconde



una trappola. Pare che il sussidio sarà erogato da un'agenzia privata che contemporaneamente sarà incaricata di cercarti un lavoro:se non accetti il posto che ti propongono, ti tolgono il sussidio. E siccome pare che a finanziarlo sarà lo Stato ma in parte anche



l'agenzia di tasca sua, potete immaginarvi quanto interesse avrà l'agenzia a farvi fare il prima possibile il primo lavoro di merda checapita.In Francia nel 2006 il governo socialista propose una riforma simile, che si chiamava contratto di primo impiego (CPE). Occupazioni,



cortei e scioperi bloccarono il paese per settimane, finché il governo fu costretto a ritirare la proposta. Quel movimento ci mostrache ribaltare queste riforme con una sollevazione dal basso è possibile!Insomma, io non voglio fare la Santa degli insolventi per tutta la vita. Il mio sogno è fare la dj o la giornalista, ma anche suonare il



basso o riparare le bicilette mi piacerebbe. Non sogno il posto fisso. Sogno di poter scegliere, e di non essere più sotto ricatto.La via d'uscita dalla precarietà non è trasfigurare in un sogno la forma lavoro che ha incatenato la generazione precedente, e che



tutt'ora incatena molti/e, che anno dopo anno sospirano la pensione. L'unica strada è riconquistare in prima persona la facoltà diautodeterminare le nostre scelte, riprenderci l'accesso universale ai servizi fondamentali, ai beni comuni, e reclamare un reddito



di base slegato dal lavoro: settecento euro al mese per tutti/e, cioè quanto basta per superare la soglia di povertà calcolata dall'Istat.Ciò non significa che nessuno lavorerebbe più, ma soltanto che ci sarebbero meno persone disposte ad accettare lavori faticosi,



alienanti e malpagati. Allora l'alternativa per le imprese sarebbe o pagarli meglio, o trovare soluzioni tecniche alternative. Non èun'utopia, ma qualcosa che esiste già in molti paesi europei.Sempre quelli che sanno-come-si-fa dicono che non ci sono i soldi: mentono sapendo di mentire, e intanto comprano novanta



caccia F35 e insistono sulla TAV. Tocca a noi far loro rimangiare le menzogne, a partire da oggi.