[NuovoLab] VEN 8 LUG - rassegna filmdoc a palazzo ducale (so…

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Author: carlo
Date:  
To: forumgenova
Subject: [NuovoLab] VEN 8 LUG - rassegna filmdoc a palazzo ducale (sottoporticato)
16,00

      sala video
     APOCALISSE NEL DESERTO di Werner Herzog - 52' - 1992



     Fotografia di Paul Beriff, montaggio di Rainer Standke, musiche di Grieg, Mahler, Pärt, Prokof'ev, Schubert, Verdi. Finita la Guerra del Golfo - mai nominata, così come sono assenti date, nomi di luoghi o di persone - Herzog si reca 2 volte con una troupe minima nel Kuwait (estate 1991, gennaio 1992) per filmarne, in 13 brevi capitoli, le tracce, le ferite, le cicatrici. Radi commenti in voce off: parlano i rumori della civiltà, il silenzio del deserto, le luci dei pozzi petroliferi in fiamme e, con poche parole, due madri. Antirealistico, pessimista, apocalittico, è, come sempre in Herzog, un documentario "inventato" che non si limita a rispecchiare l'esistente, ma a svelarne la verità nascosta e a far riflettere lo spettatore, lasciandolo libero di interpretare. La scritta iniziale, attribuita a Pascal, dice: "Al pari della creazione, anche la morte del sistema solare avverrà con maestoso splendore". È di Herzog.


      17,30             


      sala video
     OCCUPATION: DREAMLAND di Ian Olds, Garrett Scott - 78 - USA 2005



     Occupation: Dreamland è il ritratto melanconico di un drappello di soldati americani di base nella città irachena votata alla distruzione di Falluja nel corso dell'inverno 2003. Mentre pattugliano un ambiente in cui il conflitto si avvia lentamente verso la catastrofe, conosciamo le personalità dei soldati. Attraverso le attività del gruppo il documentario fornisce uno sguardo vitale sugli ultimi giorni di Falluja. Il film testimonia l'apparente stabilità della città, iniziando dalla descrizione che ne dà la milizia americana che la definisce un "paradiso senza terroristi", e terminando con la serie di assalti militari che la distrussero. Molto lontano, nella forma e nella sostanza, dai documentari di successo che sono stati recentemente proposti al cinema, Occupation: Dreamland colpisce per il rigore e l'asprezza con la quale vengono presentate le scene di ordinaria quotidianità vissute da soldati americani in missione. Lo iato presente tra l'evidente ed il percepito, tra l'azione e l'immobilismo, la consapevolezza della totale ed apparentemente immodificabile precarietà della pace, le enormi difficoltà nel gestire una situazione tutt'altro che risolta, la certezza che il ritorno in America non garantirà medaglie ma solo altri problemi, rendono la visione epifanica ed utilissima per capire realmente cosa sta succedendo oggi in Iraq e nel MedioOriente. Spogliate da ogni intento propagandistico, i dialoghi e le battute, vere, spontanee, fresche, dei protagonisti, passano dallo schermo allo spettatore senza filtro, com'è giusto che sia. La complessità della guerra emerge in modo doloroso e lancinante: nessuna risposta è data, ma una riflessione s'impone. Il film, è, tra l'altro, il testamento artistico di Garrett Scott, uno dei due registi, morto prematuramente, pochi mesi fa.


      19,00             


      sala video
     STANDARD OPERATING PROCEDURE di Errol Morris - 117 - USA 2007



     Tutto il mondo nel 2004 vide le foto scattate da alcuni militari statunitensi (uomini e donne) nel carcere di Abu Ghraib. Documentavano le vessazioni e le umiliazioni (anche di carattere sessuale) a cui venivano sottoposti i prigionieri da parte dei difensori della libertà a stelle e strisce. Lo scandalo fu enorme e fece riflettere anche molti degli iniziali sostenitori dell'intervento in Iraq. Facile fu però rimuovere in tempi rapidi l'accaduto, da parte dell'Amministrazione Bush, come opera di alcune 'mele marce' contro le quali vennero presi severi provvedimenti. A distanza di quasi 4 anni dai fatti (e dopo due anni di ricerche e di interviste) il documentarista Errol Morris ci propone l'incontro con i protagonisti di quegli avvenimenti che lascia parlare utilizzando inquadrature simili per ognuno di loro. L'operazione può essere valutata da due punti di vista. L'esiguità del materiale documentario originale a disposizione (con l'eccezione di un breve e inedito filmato) non offriva materia sufficiente per un lungometraggio. Ecco allora che Morris interviene con una struttura linguistica che alterna ai reperti del tempo e alle interviste materiale di finzione che (supportato dalla colonna sonora di Danny Elfman) viene proposto come tale. Questo costringe lo spettatore a operare distinguo e a intervenire personalmente sulla materia proposta. Se l'impatto di Standard Operating Procedures risulta decisamente inferiore rispetto a The Road to Guantanamo di Michael Winterbottom il suo impianto è però estremamente interessante perchè obbliga chi guarda a chiedersi se quei militari, che ancora oggi si permettono di sorridere riferendo su quanto accaduto, possano essere superficialmente liquidati come 'anomali' o non siano invece il prodotto di una ben più grave e collettiva perdita dell'innocenza della società americana.


      20,30             


      sottoporticato
     Comitato Via Camp Darby - dibattitto con i rappresentanti del Comitato NO-HUB di Pisa che si oppongono dell'espansione della base militare USA di Camp Darby


      21,30             


      sottoporticato
     STANDING ARMY di Thomas Fazi e Enrico Parenti - 75' - Italia 2010 


      alla proiezione seguirà un incontro con i registi Thomas Fazi e Enrico Parenti



     Ci sono, si vedono e si fanno sentire. Ma il motivo per cui sono così tante al mondo si perde nell'omertà di un silenzio disciplinato. Sono le basi militari americane; più di 700 insediamenti per i quali il governo Obama ha stanziato oltre 680 miliardi di dollari, una cifra enorme che, spesa in altro modo, farebbe fronte alla crisi economica mondiale dell'età che viviamo. Ma come suggerisce il prezioso documentario di Thomas Fazi e Enrico Parenti, il controllo del traffico con l'estero si poggia proprio sull'installazione strategica, in continua espansione, delle basi statunitensi su territori dove il petrolio detta le regole di mercato. Mentre gli oleodotti si allungano e i civili protestano. Dopo tre anni di ricerche sul campo, i due registi ci presentano uno scenario preoccupante che ha radici nella seconda guerra mondiale e ramificazioni nel complesso economico-militare statunitense odierno. Documentano tre casi emblematici dell'abuso di potere che ha permesso l'instaurarsi di un'egemonia assolutista, totalmente estranea alla pace o all'anti-belligeranza. La popolazione indigena dell'isola di Diego Garcia nell'Oceano Indiano, deportata alle Mauritius per lasciare spazio alla costruzione di una delle più importanti basi militari della Marina statunitense, conduce una massacrante battaglia legale per riavere le proprie terre. La piccola Okinawa convive con i 25.000 americani di Camp Hansen, addestrati a combattere e a dare sfogo alla propria aggressività (con la conseguenza di numerosi casi di stupri e risse violente), e convinti sostenitori della cultura del 'fast food', imposta in luoghi di tradizione gastronomica molto diversa. Esperienza meno gravosa ma ugualmente allarmante è quella di Vicenza, dove si sono avviati i lavori per la riqualifica dell'aeroporto "Tommaso dal Molin" come campo militare americano. Una scelta ampliamente contestata dagli abitanti della città veneta ma messa ugualmente in atto grazie all'appoggio politico nazionale. I manifestanti, più che determinati sostenitori della pace, di cui sembrano comprenderne l'utopia, si mostrano contrari alla guerra. Esprimono la rabbia contro un militarismo indiscriminato e snaturato della componente umana. Non usano mai la violenza e uno di loro lo dice chiaro: "Siamo la resistenza. Non siamo terroristi". Sono vittime di un sistema potentissimo che, nell'attesa dell'arrivo dei barbari, inganna non solo gli indigeni, ma anche gli stessi soldati pronti alla carriera militare. La campagna pubblicitaria per invogliare i giovani a partire per il campo a Diego Garcia sembra uno spot per villaggi vacanze. Ma a cosa vanno incontro questi diciottenni immaturi, spesso solamente abbagliati da un futuro di guadagni assicurati? Grandi intellettuali e attivisti pacifisti (tra i quali spiccano Noam Chomsky, Gore Vidal, Chalmers Johnson) cercano la risposta a questa domanda.