Avigliana: scarpe vecchie e manichini insanguinati alla Azimut
Il 28 marzo del 1997 la nave albanese Kater I Rades affondava nell'Adriatico: era stata speronata da una corvetta della Marina Militare Italiana, la Sibilla.
Morirono 106 persone, colpevoli di fuggire alla guerra civile scoppiata nel loro paese.
Questa notte, a 12 anni dalla strage, alcuni antirazzisti e antimilitaristi hanno appeso alle finestre all'ingresso della Azimut di Avigliana due striscioni con le scritte "No alle produzioni di morte, no all'industria della guerra", "In memoria del 106 morti della Kater I Rades".
Appoggiato all'ingresso un manichino bianco macchiato di vernice rossa, rossa come il sangue dei profughi e degli immigrati morti in mare. Intorno scarpe vecchie, quello che le onde restituiscono dei naufraghi.
Per chi non lo sapesse la Azimut sin dal 2005 ha un accordo con Fincantieri per la costruzione - nello stabilimento di Viareggio - di pattugliatori della Marina Militare. Gli stessi che danno la caccia agli immigrati nel Mediterraneo, un immenso cimitero di guerra. La guerra contro i poveri.
Qui trovate le foto scattate da un anonimo reporter di passaggio:
http://piemonte.indymedia.org/article/4534
Facciamo un passo indietro.
Marzo 1997. In Albania c'era la guerra civile, provocata dal fallimento delle Piramidi finanziarie promosse dal premier Sali Berisha. Migliaia di albanesi fuggivano verso l'Italia prendendo il mare in affollate carrette.
In Italia governava il centro sinistra. Primo ministro di un governo dominato dai DS con l'appoggio di Rifondazione Comunista era Romano Prodi. In parlamento la Camera dei deputati era presieduta da Irene Pivetti, allora in versione beghina leghista, che chiedeva apertamente che si sparasse alle navi dei profughi e li si buttasse a mare.
Ministro dell'Interno era l'attuale presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Napolitano, in accordo con Berisha, emesse un decreto di emergenza per il respingimento e l'espulsione degli albanesi. Da lì al blocco navale il passo fu breve.
Unità della Marina Militare Italiana, le cui regole di ingaggio non sono mai state chiarite, formarono un muro di fronte alle coste albanesi.
C'erano tutte le condizioni per una tragedia.
Il 28 marzo 1997 un'unità della Marina Militare, la Sibilla, intercettò una carretta zeppa di profughi, la Kater I Rades. Il mare era mosso e la Sibilla si avvicinò tanto, troppo, alla nave albanese, sino a speronarla. La Kater I Rades affondò con il suo carico umano. I morti furono 106.
Il governo italiano parlò di incidente, la magistratura quasi dieci anni dopo condannò i due comandanti: Namik Xhaferi, della Kater I Rades, a otto anni, e Maurizio Laudadio, della Sibilla, a tre.
Gli antirazzisti oggi come allora, dicono che è stata una strage.
Una strage di Stato.
Ad Avigliana, all'imbocco di quella Val Susa, dove negli anni Settanta le lotte antimilitariste ed uno storico sciopero alle officine Moncenisio ottennero la riconversione ad usi civili di alcune produzioni belliche, c'è la Azimut Benelli.
In questi ultimi mesi la crisi ha colpito duro anche alla Azimut con licenziamenti e cassa integrazione. Lo scorso novembre sono stati lasciati a casa 200 lavoratori a termine, tra gennaio e febbraio di quest'anno è scattata la cassa integrazione per 950 su 1200 addetti dello stabilimento di Avigliana.
La Azimut produce yacht di lusso, ma, dal 2005, ha differenziato la sua produzione, stringendo un accordo con Fincantieri per la costruzione di pattugliatori per la Marina Militare Italiana.
I pattugliatori servono al contrasto dell'immigrazione clandestina ed operano in tutto il Mediterraneo, un mare che è divenuto un enorme cimitero per le migliaia di disperati che lo attraversano diretti verso l'Europa, in cerca di un futuro, di un'opportunità di vita.
I padroni lucrano sulle vite di tutti i lavoratori, immigrati o nativi. Sono gli stessi che lasciano a casa gli operai quando i profitti calano, gli stessi che producono navi da guerra contro i lavoratori migranti. La solidarietà tra gli sfruttati è il mezzo più efficace contro chi guadagna sulla pelle di ciascuno di noi.
Federazione Anarchica Torinese - FAI
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