[NuovoLab] *SPAM* Omaggio di Saviano alla Makeba

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Author: Mgow
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Subject: [NuovoLab] *SPAM* Omaggio di Saviano alla Makeba
Miriam, morta nella Soweto d'Italia.
Il suo ultimo canto è stato tra gli africani della diaspora, arrivati
qui a migliaia
*Omaggio di Saviano alla Makeba*
rappresentava la voce della libertà. Ci ha insegnato la rabbia della
fratellanza
di ROBERTO SAVIANO
http://www.repubblica.it/2008/11/sezioni/spettacoli_e_cultura/makeba-muore/saviano-commento/saviano-commento.html

Cosa è il blues?, si chiede lo scrittore afroamericano Ralph Ellison. Il
blues è quello che i neri hanno al posto della libertà. Dopo aver saputo
della morte di Miriam Makeba, mi è subito venuta in mente questa frase.
Mama Africa è stata ciò che per molti anni i sudafricani hanno avuto al
posto della libertà: è stata la loro voce. Nel 1963 ha portato la
propria testimonianza al comitato contro l'apartheid delle Nazioni
Unite. Come risposta il governo sudafricano ha messo al bando i suoi
dischi e ha condannato Miriam all'esilio. Trent'anni d'esilio.

Da quel momento la sua biografia si è fatta testimonianza di impegno
politico e sociale, una vita itinerante, come la sua musica vietata.

Nelle perquisizioni ai militanti del partito di Nelson Mandela vengono
sequestrati i suoi dischi, considerati "prova" della loro attività
sovversiva. Bastava possedere la sua voce per essere fermati dalla
polizia bianca sudafricana. Ma la potenza delle sue note le conferisce
cittadinanza universale fa divenire il sudafrica terra di tutti. E
soprattutto l'inferno dell'apartheid un inferno che riguarda tutti.
Negli anni Sessanta, approdata negli Stati Uniti, Miriam Makeba si
innamora di Stokley Carmichael, leader delle Pantere Nere e i
discografici in America le cancellano i contratti, perché Mama Africa
non combatte con i mezzi della militanza politica ma con la voce. E
questo fa paura. Lei arriva alla gente attraverso la sua musica,
attraverso successi mondiali come Pata Pata che tutti ballano, che
piacciono a tutti, con una forza dirompente e vitale che il governo
dell'apartheid come i razzisti di tutto il mondo non sanno come arginare
o combattere.

Così, a 76 anni, è venuta a cantare persino in un posto che sembra
dimenticato da dio, dove persone solerti hanno organizzato un concerto
per portare un po' di dignità a una terra in ginocchio. E l'altra sera
mi hanno chiamato di notte. Checco che aveva seguito l'organizzazione
del concerto, mi ha detto che Miriam Makeba non si sentiva bene, "ma la
signora vuole cantare lo stesso, vuole il tuo libro nell'edizione
americana nel camerino, Robbè, è tosta!". Quando mi avevano detto che
Miriam Makeba aveva accettato di cantare a Castel Volturno nel concerto
in mia vicinanza che chiudeva gli "Stati generali della scuola del Sud",
al primo momento stentavo a crederci. Invece lei che per anni aveva
lottato e aveva viaggiato cantando per tutta l'Africa e il resto del
mondo, voleva venire anche in questo angolo sperduto dove quasi due mesi
prima c'era stata una strage di sette africani. Ché per lei erano
africani, non ghanesi, ivoriani o del Togo.

In questa idea panafricana che fu di Lumumba e che mai come oggi sembra
per sempre purtroppo sepolta. Mama Africa si è esibita a pochi metri da
dove hanno ammazzato l'imprenditore Domenico Novello, un morto
innocente, nativo di queste terre, che invece è morto solo, senza
partecipazione collettiva, rivolta, fratellanza. La morte di Miriam
Makeba, venuta a portarmi la sua solidarietà e testimoniarla alla
comunità africana ed italiana che resiste al potere dei clan, è stato
per me un enorme dolore. Enorme come lo stupore con cui ho accolto la
dimostrazione di passione e forza di una terra lontana come quella
sudafricana che già nei mesi passati mi aveva espresso la sua vicinanza
attraverso l'arcivescovo Desmond Tutu. Invece, grazie alla loro storia,
persone come Tutu o come Miriam Makeba sanno meglio di altri che è
attraverso gli sguardi del mondo che è possibile risolvere le
contraddizioni, attraverso l'attenzione e l'adesione, il sentirsi
chiamati in causa anche per accadimenti molto lontani. E non con
l'isolamento, con la noncuranza, con l'ignoranza reciproca.

Il Sudafrica vive una pressione dei cartelli criminali enorme, ma i suoi
intellettuali e artisti continuano ad essere attenti, vitali e
combattivi. Desmond Tutu stesso definì il Sudafrica "rainbow nation",
nazione arcobaleno, lanciando il sogno di una terra molto più varia e
ricca e colorata di un semplice ribaltamento di potere fra il bianco e
il nero. Miriam Makeba era e rimane la voce di quel sogno. Se c'è un
conforto nella sua tragedia si può dire che non è morta lontano. Ma è
morta vicina, vicina alla sua gente, tra gli africani della diaspora
arrivati qui a migliaia e che hanno reso propri questi luoghi,
lavorandoci, vivendoci, dormendo insieme, sopravvivendo nelle case
abbandonate nel Villaggio Coppola, costruendoci dentro una loro realtà
che viene chiamata Soweto d'Italia. È morta mentre cercava di abbattere
un'altra township col mero suono potente della sua voce. Miriam Makeba è
morta in Africa. Non l'Africa geografica ma quella trasportata qui dalla
sua gente, che si è mescolata a questa terra a cui pochi mesi fa ha
insegnato la rabbia della dignità. E, spero pure, la rabbia della
fratellanza.