[NuovoLab] *SPAM* DOMANDE ALLE SINISTRE

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Author: Mgow
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Subject: [NuovoLab] *SPAM* DOMANDE ALLE SINISTRE
*DOMANDE ALLE SINISTRE*
Rossana Rossanda
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/11-Ottobre-2008/art1.html

Non credo che una sinistra possa dirsi esistente se di fronte alla più
grossa crisi del capitalismo dal 1929 non sa che cosa proporre. Questi
erano i lumi che la cittadina sprovveduta chiedeva di avere dai leader
delle sinistre e dell'opposizione e dagli amici economisti, ma non ne ha
avuti. Stando così le cose, mi azzardo ad avanzare alcune osservazioni e
proposte elementari che, se sono infondate, spero vengano vigorosamente
contraddette. Prima osservazione. Perché le sinistre non si chiedono la
ragione per cui non solo le destre thatcheriana e reaganiana ma
anch'esse si sono e restano persuase che non c'è altra via economica da
percorrere che non sia la privatizzazione (spesso liquidazione) di tutti
i beni pubblici e di gran parte dei servizi, quelli di interesse sociale
inclusi? E perché era giusto incitarli alla concorrenza dentro e fuori i
confini nazionali ed europei? La destra ha detto che i privati li
avrebbero gestiti meglio e che le tariffe si sarebbero abbassate, ma
questo non è successo affatto e in nessun luogo. Seconda osservazione.
Perché le sinistre hanno accettato, talvolta mollemente opponendosi, la
detassazione delle imprese, delle successioni e delle grandi fortune,
togliendo entrate allo stato, nella previsione che i capitali,
rimpinguati, sarebbero stati investiti nella produzione? Non è stato
affatto così, la produzione non è mai stata così bassa, fino all'orlo -
per esempio in Francia - della recessione. Terza osservazione. Perché le
sinistre, che fino a ieri rappresentano il lavoro dipendente, hanno
accettato che per facilitare la crescita si dovessero abbassare,
rispetto al passato, i salari mentre lo Stato doveva restringere nella
spesa sociale quel tanto che c'era di salario indiretto (vedi, in
Italia, finanziaria e protocollo sul welfare dell'anno scorso)? Con
l'ovvia conseguenza di una caduta generale del potere di acquisto in
tutti i ceti dipendenti? Stando così le cose non occorrono grandi
discussioni filosofiche sulla crisi della politica. Quarta osservazione.
Non so se dovunque, ma è certo che in Italia questa strada ha condotto
non solo a una produzione bassa ma non puntata sull'innovazione di
prodotto, bensì al basso costo del lavoro, in questo dando la testa al
muro, o cercando le condizioni per delocalizzare, perché sia nell'Est
del nostro continente sia fuori di esso i salari sono ancora più bassi
che da noi. Quinta osservazione. Perché le sinistre e le loro stesse
teste d'uovo non si sono accorte che i capitali, invece che in
produzione se ne andavano sia in modo legale sia in modo fraudolento,
nella speculazione finanziaria, dandosi a tali demenze che stanno
sbaraccando l'intero sistema?
Ultima osservazione. Perché le sinistre non sanno dire altro, a mezza
bocca o con grandi sorrisi, che i buchi formati dalle banche, dalle
assicurazioni e dagli hedge fund, mandati a picco per demenza dei loro
dirigenti, vengano sanati col denaro pubblico, cioè quello dei
contribuenti, senza chiedere nessuna proprietà pubblica effettiva in
cambio? Suppongo la risposta: non si può reimmaginare un intervento
pubblico perché si sa che lo stato gestisce malissimo. Già. Perché, il
privato gestisce bene? Nell'epoca dei «trenta gloriosi», cioè della
partecipazione pubblica e statale, nessuno di questi immensi guasti si è
verificato. Dunque in nome di che cosa, che non sia il pregiudizio, non
viene oggi riproposta una politica di intervento pubblico? Certo esso
implica darsi non solo una linea economica ma un metodo di gestione
pubblica pulito, fatto di diritti chiari invece che ottativi. Perché è
vero che questo è mancato dando luogo a quelli che sono stati chiamati
boiardi di stato e a clientelismi di vario tipo. Un intervento pubblico
non sarebbe il socialismo, come qualche ignorantissimo afferma, ma
darebbe luogo a una forma di contrattazione partecipata fra cittadini e
istituzioni assai diversa dall'attuale riduzione della democrazia a
fiera quinquennale del voto. Chi ci impedisce di metterci a ripensarlo?
Nessuno. Chi lo propone? Nessuno. Salvo qualche isolato pensatore
americano come Krugman con la riproposizione di un new deal. Chi dirige
la musica in Italia è ancora Berlusconi, con la sua speranza che la
«scarsa» modernizzazione delle banche italiane ci salvi dal terremoto.
Con maggior ragione si può obiettare che una politica di intervento
pubblico non si fa da soli, tantomeno in tempi di globalizzazione e dopo
che lo stato nazionale si è consegnato mani e piedi alla Costituzione
europea che, sotto il profilo politico, è flebile, come si è visto nel
caso dei rom e, sotto quello economico, è superliberista. Da parte mia,
obietto che lo spazio europeo può essere invece una carta da giocare,
per la sua dimensione e la sua moneta unica; vi si potrebbero mettere in
atto i processi macroeconomici che oggi un intervento pubblico
comporterebbe. Che cosa impedisce che una sinistra possa e debba
muoversi su questo terreno su scala continentale? Non penso che
mancherebbero le resistenze, e potenti. Ma questo è il momento per
aprire il conflitto con qualche possibilità di vincere. I lavoratori
europei non sarebbero con noi, invece che darsi alla disperazione o
consegnarsi alla Lega o al primo Haider che passa perché gli salvi
protezionisticamente l'azienda? La verità è che si tratta di una scelta
non «economica», ma «politica». Ecco quanto. Naturalmente sono pronta a
riflettere su tutte le critiche demolitrici che mi si vorranno inviare.