[RSF] aluvioni e frane già tutto previsto

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Author: pilar
Date:  
To: forumroma
Subject: [RSF] aluvioni e frane già tutto previsto
da greenreport.it

30/05/2008

Alluvioni, prevenzione e rami secchi

LIVORNO. Ha ragione il meteorologo Luca Mercalli a ricordare su Repubblica che
se cadono tra 100 e 200 millimetri di pioggia in circa 12 ore su un suolo già
saturo d’acqua dopo mesi di siccità è quasi normale che i fiumi vadano in piena
e qualche pezzo di montagna cada devastando tutto ciò che incontra nella sua
corsa. E Mercalli ha ragione anche a sottolineare che «ogni casa, ogni strada,
ogni ponte, capannone, linea elettrica, gasdotto… che si aggiunge sulla mappa
diventa un potenziale obiettivo delle acque in piena e va a indebolire ancor di
più territori dove il dissesto idrogeologico è un male antico».

Quello che è successo ieri in Piemonte e Val d’Aosta era già accaduto almeno
nel 2000, nel 1977, nel 1949, nel 1926 perché queste valli alpine sono da
sempre considerate a rischio idrogeologico e sono quelle che risentono più di
altri delle colate di cemento che anno dopo anno vengono riversate per
costruire grandi e piccole opere al servizio dell’uomo e delle catastrofi.Non è
un problema solo italiano, certo: ne sanno qualcosa le assicurazioni di tutto
il mondo alle prese con l’aumento esponenziale degli indennizzi per disastri
climatici, che nella loro casualità complessa vengono intensificati dagli
effetti del riscaldamento globale.

Però in Italia, che appare sempre più il Paese delle emergenze e dei
commissari, proprio ieri si dava conto di quali risorse si è andati a tagliare
per consentire anche ai cittadini con redditi medio-alti di non pagare l’Ici
sulla prima casa, per permettere la detassazione degli straordinari, e infine
per il prestito ponte all’Alitalia. Ebbene, quelli che Tremonti ha considerato
rami secchi sono fondi in gran parte destinati allo sviluppo sostenibile e all’
ambiente, e vengono tagliati anche quei pochi spiccioli che il precedente
governo aveva messo in conto sul fronte della prevenzione e del rischio
idrogeologico.

Così proprio mentre la furia della natura inondava di fango e pioggia le valli
alpine del Piemonte e della Val d’Aosta, si toglievano 15 milioni di euro per
il monitoraggio del rischio sismico, 3,5 milioni per la difesa del suolo dei
piccoli comuni e 150 milioni di euro in 3 anni per la riforestazione.
Riforestare per esempio, ci insegnavano alle scuole medie alle lezioni di
scienze, non è tanto importante perché si abbellisce un parco o un territorio,
e nemmeno per il pur significativo abbattimento della CO2 da parte delle
piante, ma soprattutto perché le radici degli alberi consolidano territori
fragili dal punto di vista idrogeologico, magari anche funestati da
cementificazioni non proprio sostenibili ambientalmente.

Il Consiglio dei ministri di stamani intanto ha dichiarato lo stato di
emergenza per le regioni Piemonte e Valle d´Aosta. Lo ha annunciato il
sottosegretario e capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, che oggi si è
recato a Torino per fare il punto della situazione in prefettura, ma che ha
anche già annunciato che «non dobbiamo abbassare la guardia, siamo ancora in
mezzo alla crisi e sarà tale per le prossime 24 ore». Con lo stato di emergenza
riconosciuto al Piemonte e alla Val d’Aosta arriveranno finanziamenti che
serviranno in primo luogo per ridare un tetto a chi lo ha perduto e in generale
per ripagare parte dei danni subiti dai cittadini.

Quello che purtroppo emerge, che non è una novità e che viene soltanto
perpetuato e probabilmente accentuato con questo governo, è la totale carenza
in questo Paese della cultura della manutenzione, della politica della
manutenzione e della pratica della manutenzione. A proposito di manutenzione.
Tra i rami secchi tagliati da Tremonti e che per Tremonti sono sprechi, ci sono
i 70 milioni in 3 anni che dovevano servire a riammodernare la rete idrica che
nel nostro Paese spreca a causa delle perdite, tra il 20 e il 50% dell’acqua
potabile che trasporta.

Alluvioni e frane, Wwf: «Era già tutto previsto, ma...»

FIRENZE. Certo cambiamenti climatici, sicuramente “bombe” d’acqua improvvise
che riversano in poche ore la pioggia che cade normalmente in un mese, ma anche
amplificazione dei danni per una gestione del territorio non attenta e un
sistema di difesa del suolo che ha raggiunto probabilmente il livello più basso
della sua esistenza. Ovviamente non stiamo parlando dell’emergenza e dell’
innesco del meccanismo di protezione civile che si svolge sempre a buoni
livelli nel nostro Paese, ma di pianificazione incompleta, di gestione
inadeguata e di risorse mai stanziate e se stanziate mai giunte a chi opera sul
territorio: ad esempio, l’Autorità di bacino del Po preposta alla gestione del
più grande fiume italiano, non ha neppure i mezzi adeguati per visitare le zone
colpite. Ci sono purtroppo dei morti in questo caso e i “noi l’avevamo detto”
possono sembrare anticipatici, ma vanno riportati quando sono pronunciati con
parole di rammarico e rabbia per una tragedia mezza annunciata.

«Sono bastati due giorni di pioggia intensa per mettere in ginocchio un pezzo
del nostro territorio: altro che piogge intense, lungo i nostri fiumi si è
costruito, cementificato e canalizzato troppo con conseguenze devastanti che
puntualmente si verificano alle prime piogge – afferma il direttore generale
del Wwf , Michele Condotti - Un paese che vuol pensare in grande deve poter
investire nella più grande opera pubblica che occorre davvero, il ripristino
del nostro martoriato territorio. Ci chiediamo ancora come siano stati spesi i
4300 miliardi di vecchie lire per la difesa del suolo dopo l’alluvione del 1994
e quelli dopo il disastro del 2000. Si interviene ancora con opere, spesso a
forte impatto ambientale, con una logica di emergenza in modo localizzato e non
in ottica di bacino –continua Condotti- La ricetta esiste, si chiama ‘
rinaturalizzazione” dei fiumi, gestione integrata del territorio, come stanno
facendo da anni sulla Loira, in Francia, sulla Drava in Austria o sul Reno in
Germania. Se non si parte subito con decisione seguendo le regole di sana
gestione che altri paesi hanno imparato ad applicare continueremo a contare
vittime, danni alle comunità, danni alle imprese e a tutto il sistema
produttivo», conclude Condotti.

Nel caso specifico l’associazione ambientalista aveva messo in guardia sulle
possibili conseguenze di alcuni interventi a forte impatto eseguiti con vecchie
logiche. Infatti nel 2000, il Wwf insieme ad alcune associazioni piscatorie,
aveva denunciato gli interventi di regimazione idraulica proprio sulla Dora
Baltea, tra la centrale di Montjovet e Verres, sostenendo che le opere
realizzate e previste tendevano ad aumentare la velocità di deflusso delle
acque in un tratto nel quale, semmai, per caratteristiche idrogeologiche ed
ecologiche, bisognava aumentare la capacità di ritenzione delle acque e
dissipazione dell’energia per ridurre il rischio idrogeologico più a valle. Ma
non vi sono stati sviluppi giudiziari e la Regione Valle D’Aosta è andata
legittimamente avanti nella sua opera di regimazione idraulica. Tra l’altro
segnala il Wwf, si è continuato un po’ ovunque a canalizzare, come sul Maira
(affluente del Po), in provincia di Cuneo, altra zona colpita dall’emergenza di
questi giorni, dove, nonostante l’opposizione da anni di Comitato locale e WWF,
sono iniziati nel 2006 i lavori di canalizzazione e restringimento del fiume da
parte dell’Aipo (Agenzia interregionale per il fiume Po).

L’associazione ambientalista ora è preoccupata per come saranno impiegati i
soldi in arrivo: infatti recentemente il Cipe (Comitato interministeriale per
la programmazione economica) nell’ambito dei Fondi aree sottoutilizzate (Fas)
ha stanziato 180 milioni di euro per il “progetto Valle del Po” per
valorizzazioni ambientali e progetti turistici: potrebbe essere una grande
opportunità come l’ulteriore occasione persa e l’ennesimo sperpero di denaro
pubblico. Il Wwf ritiene si debba procedere con un percorso partecipato in modo
da condividere progetti e attività per rivitalizzare e rinaturalizzare il
nostro più grande fiume anche prendendo esempio dall’estero: sulla Loira sono
15 anni che hanno avviato un piano condiviso e partecipato.




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