Author: Rosario Gallipoli Date: To: forumlecce Subject: [Lecce-sf] Fw: [noomc-it] Le "notti italiane" di Genova 2001
INTERESSANTE, DA ALTRE LISTE.
ROSARIO.
24/03/2008
Le "notti italiane" di Genova 2001
A sette anni dalle torture poliziesche
di Claudio Mastrogiulio
L'Italia si è "evoluta", ha aperto le frontiere del proprio mercato, ha
fatto razzie degli immigrati considerandoli come un cancro, ha
disarticolato i diritti dei lavoratori in nome dell'ingresso nel "grande
mercato unico europeo", ha oggettivato i desideri del Vaticano portando
avanti imponenti attacchi contro i diritti delle donne, ha privatizzato
le pensioni, l'acqua, il servizio pubblico, ha precarizzato le vite di
ogni lavoratore. Accanto a tutte queste grandi "conquiste", esempio
imperituro di civiltà, tolleranza e democrazia resteranno le notti
italiane di Genova. Le settantadue ore che vanno dal 20 al 22 luglio del
2001 avvalorano, qualora ce ne fosse ancora bisogno, le posizioni di chi
non dissipa le proprie capacità critiche nel vano tentativo di riformare
un sistema iniquo alla radice. Da quel giorno anche l’Europa ha la
propria versione riveduta e aggiornata delle notti cilene.
La mattanza a Bolzaneto
In Italia non esiste il reato di tortura. Quello che invece esiste in
Italia è, e lo dimostrano una serie innumerevole di casi di cui la
caserma di Bolzaneto e la scuola Diaz rappresentano soltanto la punta
dell’iceberg, il puntuale ricorso all’esercizio della tortura.
Quanto seguirà descriverà in modo necessariamente approssimativo ciò che
accadde nella caserma di Bolzaneto. Se, infatti, l’assalto alla scuola
Diaz ha avuto più eco mediatica per via della presenza di immagini che
attestassero l’irruzione e le dittatoriali conseguenze sui corpi di
quelli che debbono essere considerati prigionieri politici, i fatti
accaduti a Bolzaneto sono stati volontariamente dimenticati da quella
pletora di servi sciocchi del potere che erroneamente qualcuno chiama
giornalisti.
Compito di chi ha l’obiettivo di svegliare le coscienze per poi lottare
nel tentativo di cambiare le cose è quello di porre l’accento,
rischiando di divenire martellante, sulla verità e sulla denuncia di
tutte le ingiustizie strutturali che questo sistema unilateralmente
imposto vorrebbe farci accettare come un dato naturale e immutabile.
Nel dibattimento del processo-farsa che si sta svolgendo sono state
depositate numerose testimonianze di manifestanti vittime inermi delle
torture avvenute a Bolzaneto. La polizia penitenziaria, uno dei cani da
guardia più fedeli nell’applicare le metodologie repressive ordinate
dall’alto, utilizzò nella “caserma dell’orrore” numerose tecniche di
tortura; le più dolorose che sono venute a galla sono la “posizione del
cigno” consistente nella posizione a gambe divaricate, in piedi, con le
braccia alzate e la faccia al muro a cui vanno sommati l’afa e la calura
del luglio genovese. Un’altra modalità di tortura è consistita nel
costringere il prigioniero a mantenersi per ore in ginocchio, davanti al
muro con i polsi ammanettati dietro la schiena; ancora fu utilizzata la
cosiddetta “posizione della ballerina”, attraverso cui si obbligavano i
manifestanti a sostare in punta di piedi per molte ore. Considerando che
prima di ricevere questo trattamento i manifestanti furono tutti
scientificamente massacrati di calci, pugni, manganellate, la tortura
ebbe certamente un effetto decuplicante nel raggiungimento del proprio
obiettivo. Nelle celle del lager di Bolzaneto tutti furono picchiati,
manganellati ai fianchi, schiaffeggiati in testa; ogni malcapitato
manifestante subì angherie verbali di tutti i tipi (ovviamente
secondarie ma propedeutiche a comprendere la base motivazionale che
faceva agire questi carcerieri) partendo da insulti a sfondo sessuale,
passando per il banale turpiloquio fino ad arrivare al rozzo ma
significativo insulto a sfondo politico. Molti manifestanti furono
infatti obbligare a gridare, rantolando dal dolore, frasi come “viva il
duce” oppure “viva la polizia penitenziaria”. Non mancarono gli stracci
bagnati sulla schiena, lo spruzzo del gas urticante-asfissiante, i
passaggi nel cortile tra due ali di poliziotti che sgambettano e
picchiano a tutta carica. Vi furono prigionieri che subirono lo
spappolamento della milza, la rottura dei piedi, la frattura delle
costole e delle mascelle del viso. Durante il dibattimento, un testimone
ha ricordato l’immagine di un ragazzo poliomielitico che implorava i
suoi aguzzini di non picchiarlo sulla gamba sana con la pronosticabile
risposta priva di umanità di chi ha indifferentemente continuato a
picchiarlo. Molti compagni sono stati costretti a strapparsi da soli i
propri piercing, orecchini, chi chiedeva di poter andare in bagno subiva
un supplemento di torture con rottura di denti e bruciature di accendini.
Raccontare questi eventi è paragonabile alla lettura di un romanzo
esemplificativo circa la descrizione di regimi opprimenti che è 1984 di
George Orwell. Se non stessimo parlando di servi la cui intelligenza non
supera quella di un primate mal ammaestrato avremmo anche potuto pensare
ad una preliminare dotta lettura volta a pianificare meglio la mattanza.
Le responsabilità politiche e la situazione processuale
Di chi le responsabilità apicali di questo massacro? Certamente di un
sistema in cui chi manifesta la propria opposizione sociale viene
immediatamente additato come responsabile di azioni penalmente rilevanti
e perciò imputabili e punibili con i termini massimi (leggi condanne Sud
Ribelle, gli stessi manifestanti di Genova e quelli del 12 marzo 2006 di
Milano), di un sistema che reprime chi lotta per l’emancipazione di
quelle fette del mondo che vivono una condizione d’oppressione e
sfruttamento dettata dall’insita dicotomia classista vigente in un
sistema capitalistico. Assodata questa responsabilità larga, riteniamo
necessario rintracciare i responsabili in carne ed ossa, quelle autorità
politiche e di polizia autrici di quanto accaduto. Rispetto a questo
punto la responsabilità è, come da pronostico per due compagini attente
agli equilibri dello status quo borghese e imperialista, bipartisan. Nel
luglio del 2001 al governo si trovava il centrodestra guidato da
Berlusconi ma da soli pochi mesi (l’investitura del nuovo governo
avvenne solo l’11 giugno 2001) per cui la preparazione del G8 e il
posizionamento ai vertici delle operazioni di ordine pubblico furono
appannaggio quasi totale dell’arbitrio decisionale dei governi di
centrosinistra D’Alema II e Amato II. Come è ovvio che sia, è giusto
pensare ai seviziatori come esecutori materiali di direttive emanate da
luoghi di potere situati in posizione dominante nella gerarchia delle
istituzioni borghesi. Personaggi come il leghista Castelli (altro
esempio insigne dello squadrismo di stato in salsa italiana) che
ispezionò la caserma di Bolzaneto s’ostina ancora ad innalzare il muro
di falsità e mistificazioni che permea l’intera vicenda. Gianni De
Gennaro (allora capo della Polizia) è un’altra figura solo sfiorata dal
processo-farsa, restando impunemente al proprio posto e ricevendo
addirittura promozioni in grado. Infatti il governo Prodi, appoggiato da
tutta la compagine socialdemocratica della Sinistra Arcobaleno, ha
pensato bene di permettere a De Gennaro di replicare la propria
metodologia fascista anche nell’ambito della repressione dei movimenti
popolari campani (colpevoli del solo fatto di essere in balia di
politici ed imprenditori collusi con la camorra) affidandogli il
commissariamento straordinario della regione. Senza dimenticare quel
personale medico-militare che “curò” i torturati senza proferire una
sola parola di dissenso circa l’inumana mattanza che si prospettava
dinnanzi ai loro occhi, incrementando anzi la dose di sevizie nei
confronti dei manifestanti. Il responsabile medico di Bolzaneto, Giacomo
Toccafondi (accusato peraltro di diversi episodi di percosse, ingiurie e
violenza privata) è stato promosso e inviato in Kosovo con la Croce
Rossa Italiana!.
Nell’assordante silenzio della grande stampa borghese e del teatrino
della politica istituzionale sono state emesse le richieste di condanna
per i 44 imputati nel processo per le torture di Bolzaneto. I
destinatari di queste condanne sono ufficiali, funzionari, poliziotti
medici, carabinieri, agenti di polizia penitenziaria. Nessuno di loro
passerà una sola nottata nelle patrie galere, infatti il termine del
processo è previsto per il 2009 quando scatterà la prescrizione per
tutti i reati grazie ai termini di modifica stabiliti dalla legge “ex
Cirielli”. A totale tranquillità per gli interessati interviene
l’indulto dell’ex guardasigilli Mastella, poiché per i reati chiamati in
causa (può sembrare assurdo ma sono soltanto la violenza privata,
l’abuso d’ufficio, l’abuso di potere e non la tortura) la pena massima è
di tre anni. Allo stesso tempo venticinque manifestanti sono accusati
del reato di devastazione e saccheggio (contro cose) e rischiano fino ad
undici anni di reclusione per aver resistito agli assalti dei reparti
speciali dei carabinieri per le strade di Genova.
Considerazioni finali
Quanto scritto dimostra la veridicità degli elementi che ci consentono
di constatare di trovarci in un regime dittatoriale (dittatura della
borghesia), forse più sottile rispetto a quelli passati, ma certamente
più subdolo ed efficace. Un regime che ha la forza di far passare tutto
in secondo piano; di far considerare alla pubblica opinione queste
situazioni inaccettabili come delle semplici oliature dell’ingranaggio
migliore possibile; di costruire un sistema giuridico che è debole con i
forti ed è forte con i deboli, che ha la sola funzione di rendere immuni
le ingiustizie strutturali del sistema dall’opposizione sociale che
inevitabilmente esso partorisce.
A queste considerazioni deve accompagnarsi, essenziale per dei
rivoluzionari, la tenacia nel nostro lavoro di denuncia di uno status
quo iniquo ed inumano, lo smascheramento di quelle forze politiche (vedi
Sinistra Arcobaleno) che dietro una fraseologia ambigua e dissonante con
la realtà dei fatti si sono lasciate abbracciare mortalmente da questo
sistema, diventandone interessati ed opportunisti complici. Forze
politiche che hanno appoggiato un governo che non ha nemmeno avuto la
volontà di creare una commissione parlamentare d’inchiesta sui fatti di
Genova. Sappiamo bene, non essendo ingenui e non credendo nelle
istituzioni che la socialdemocrazia tanto santifica, che la strada per
rendere realmente giustizia a chi a Genova ha lasciato la pelle o a chi
è cambiata irreversibilmente la vita non è quella della contiguità con
le rappresentanze di questo sistema, ma ciò è sintomatico del grado di
compromissione della Sinistra Arcobaleno con un governo della borghesia
che più reazionario non poteva essere (su tutti i terreni, dai diritti
civili all’immigrazione passando per il lavoro). L’unica via per
realizzare un reale cambiamento nella società italiana è quello di
riaccendere il conflitto sociale, da troppo tempo imbrigliato e
soffocato dalle burocrazie, attraverso il ritorno nelle piazze, nei
luoghi di lavoro, nei luoghi inumani di assoggettamento degli immigrati,
nelle scuole al fine di creare un grande movimento di lotta radicale e
unitario che sappia dimostrare che il plagio che questo potere vorrebbe
esercitare sulle menti di chi opprime mai potrà avere luogo.
Il Partito di Alternativa Comunista attraverso le sue militanti e i suoi
militanti sta cercando in ogni movimento embrionale di mobilitazione di
portare queste parole d’ordine; in modo che nessuno possa abituarsi alle
infami storture che gli oppressi di questo Paese sono oggi costretti a
subire.