Don Gallo: in giocola Costituzione
Il sindaco Vincenzi: fare luce. L'ex ministro Scajola (Fi): tutto chiaro
Genova. In piazza De Ferrari, dopo le 18, dal palco allestito davanti al palazzo della Regione don Andrea Gallo riprende la lettera di Alex Zanotelli. Èâ??il suo modo per chiudere la manifestazione dei cinquantamila giunti a Genova per chiedere una commissione d'inchiesta sul luglio 2001, sui giorni del G8.
«Giustizia, verità, antifascismo, siamo qui per difendere i valori fondamentali della Costituzione italiana - gesticola don Gallo rivolto alla folla -Nel 2001 eravamo qui per difendere la democrazia. Oggi siamo qui a ribadire questo pensiero». «Quanto ai processi, a quelli che non io ma Zanotelli definisce i "25 capri espiatori", - continua - mi vengono in mente le frasi di De André». È"canzone di Maggio": «E se credete ora che tutto sia come prima perché avete votato ancora la sicurezza, la disciplina, convinti di allontanare la paura di cambiare verremo ancora alle vostre porte e grideremo ancora più forte per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti». Poi è la volta di Haidi Giuliani. «C'era un sasso, che colpì la testa di Carlo moribondo, ma il poliziotto che lo scagliò disse che non aveva visto nessuno scagliare alcunché. Era stato lui. E un sasso volevano tirarlo fuori anche ad Arezzo per la morte di Sandri. Siamo qui per dire che di sassi non ne vogliamo più».
Sul terreno della commissione d'inchiesta, il più scivoloso per il Governo Prodi, scende anche il sindaco di Genova Marta Vincenzi: «Chiedo alla politica di non trasformare il G8 in uno dei misteri irrisolti d'Italia. Credo che la commissione di inchiesta sia lo strumento giusto e per questo continuo a chiederne l'istituzione come sindaco che interpreta il sentire collettivo della città». E che terreno accidentato per Prodi lo dimostrano le parole di Riccardo Messina, coordinatore della Fgci rivolto a Clemente Mastella e Antonio Di Pietro: «I ministri della giustizia e delle infrastrutture anziché sciacquarsi la bocca con falso legalismo si uniscano a questo popolo per fare finalmente chiarezza sui quei giorni bui e sulla sospensione dei diritti costituzionali che alcuni vollero scientemente praticare in questo Paese».
Alle voci si aggiungono voci, quella del sottosegretario all'Economia Paolo Cento (Verdi) e quella Graziella Mascia, vice presidente dei deputati di Rifondazione comunista-SE, autrice della proposta di legge per l'istituzione di una commissione di inchiesta sui fatti del G8 nel 2001: «La politica si assuma le proprie responsabilità e sappia rispondere ad una richiesta che viene dai cittadini».
Qualche apertura nei confronti della commissione d'inchiesta arriva da Italia dei Valori da parte di Nello Formisano, capogruppo a Palazzo Madama e dal suo collega alla camera, Massimo Donadi: «Quello che abbiamo chiesto e continuiamo a chiedere è che questa sia una commissione che cerchi davvero la verità indagando a 360°. E non dovrà avere i poteri di un'autorità giudiziaria perché sono ancora in corso i processi».
All'invocazione della commissione d'inchiesta, replica Claudio Scajola, presidente del Copaco e all'epoca del G8 ministro dell'Interno: «Tutti sanno che sono stati gli estremisti e i no-global a mettere a ferro e fuoco Genova e che la polizia ha cercato di difendere la cittadinanza e il summit - ha ricordato - C'è stato qualche singolo comportamento non corretto che è stato perseguito, ma non bisogna cambiare la storia». E il senatore leghista Roberto Castelli, ministro della Giustizia nel luglio 2001, ribadisce: «Non posso fare a meno di pensare a come nel nostro Paese la verità non interessi a nessuno, preferendo sentire e raccontare la versione dei fatti della sinistra politically correct».
Infine il bilancio della manifestazione secondo il questore di Genova, Salvatore Presenti: «Siamo stati ottimisti e abbiamo avuto ragione. C'erano quasi 1.200 uomini in piazza pronti ad intervenire, ma non c'è stato bisogno. «Tutto è dovuto all' organizzazione corale: al prefetto Giuseppe Romano e al sindaco Vincenzi».
Alessandra Costante
Daniele Grillo
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Protagonisti sei anni fa, sono ancora "in trincea"
i personaggi
Nel 2001 i volti della protesta furono tre portavoce e due preti. Agnoletto e Caruso
oggi sono parlamentari
18/11/2007
Genova. Luca Casarini, Vittorio Agnoletto, Francesco Caruso: i volti ufficiali del movimento noglobal al G8 genovese, nel luglio 2001. Gli interlocutori delle forze dell'ordine e delle istituzioni. Parlavano a nome del movimento ma non riuscirono a rappresentare tutti, scavalcati dai black-bloc e dallo scacco violento che le frange più estremiste del "no" alla globalizzazione imposero alla città.
Vittorio Agnoletto, medico, pacifista era portavoce del Genoa Social Forum. Di Casarini si ricorda la dichiarazione di guerra prima della manifestazione, era la più dura delle voci ufficiali. Le "sue" tute bianche, dopo i fatti di Genova, cambiarono nome diventando i "Disobbedienti". Caruso incarnava il volto dei noglobal napoletani, uno dei tre leader della contestazione ai potenti della Terra. Ancora si ricorda il volto tirato e indignato di Agnoletto nelle tragiche ore dell'irruzione alla scuola Diaz. Indignato e incredulo di fronte alla violenza della polizia.
E poi dei giorni della battaglia genovese tornano in mente le tonache di due preti, quella di don Andrea Gallo, il sacerdote genovese fondatore della comunità San Benedetto per il recupero dei tossicodipendenti, che si mette sempre dalla parte degli ultimi rischiando di urtare, con il suo vangelo personale, la posizione ufficiale della chiesa. E poi la tonaca di don Vitaliano Della Sala, avellinese, il sacerdote noglobal, anch'egli sul filo della "scomunica" da parte della gerarchia ecclesiale che lui considera troppo distante dalla vita delle persone comuni. Della Sala riceve due "ammonizioni" prima di essere allontanato dalla parrocchia di Sant'Angelo a Scala nel 2002, un anno dopo il G8 genovese. Sospeso a divinis, è stato reintegrato dal nuovo vescovo Marino ma non ha più ottenuto la sua parrocchia.
Sei anni dopo non è cambiata invece la vita di don Gallo, il prete che cammina sulle grondaie dell'ortodossia cattolica senza mai cadere ma anche suscitando le proteste di una buona parte dei cattolici che ne disapprovano le scelte radicali. Don Gallo è sempre lì. Anche ieri, più che mai: prima della manifestazione esponendosi in prima persona per garantire un corteo "contro" ma pacifista, senza violenza. E poi fisicamente, sul palco, a scandire i tempi della protesta.
È cambiata invece la vita di Francesco Caruso e Vittorio Agnoletto: il primo è stato eletto deputato nelle fila di Rifondazione Comunista suscitando forti dissensi sia da parte dei suoi ex compagni del social forum sia dell'ala moderata dell'Unione che gli rimproverava la militanza nei noglobal. Agnoletto ha scelto la via del parlamento europeo, candidato da Rifondazione comunista ed eletto a Starsburgo nel 2004. Entrambi non si sono allontanati dal movimento noglobal ma il solo Luca Casarini non si è"mosso": lui è ancora a capo del movimento dei disobbedienti.
Vittorio De Benedictis
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In 50 mila a gridare «Verità»
G8, grande corteo pacifico a Genova. Agnoletto: il no alla commissione d'inchiesta è stato indecente
GENOVA. Della commissione parlamentare d'inchiesta, al novanta per cento di questo popolo variopinto, non interessa nulla, tant'è il disgusto per la politica politicante. Di più interessa la sorte dei 25 sotto processo, sui quali rischia di abbattersi uno tsunami di pene terrificanti, a partire da 16 anni di galera, per le "devastazioni" e i "saccheggi" del luglio 2001. E allora non sarebbe davvero una buona politica devastare e saccheggiare per dimostrare il contrario. Quindi fila tutto liscio. E quando fa buio e i cinquantamila del corteo s'incamminano docilmente verso piazza De Ferrari, traguardo della giornata, tutti tirano un sospiro di sollievo. Passa lo spezzone anarchico, passano gli autonomi, non succede nulla. Non c'è la fuga in massa per invadere piazza Alimonda, non c'è l'attacco al palazzo di giustizia superblindato, alla procura della Repubblica.
Tutti insieme, vicini vicini, anche perché fa un freddo cane e il gelo strozza gli slogan in gola. Gli ultras, temutissimi candidati infiltrati della vigilia? Se ne sono rimasti a casa o nei loro club. I black bloc? Hanno fatto vacanza. Andare a caccia di qualche episodio violento è un esercizio accademico, tanto per dire che qualcosa è successo e invece non è successo nulla. «Fossero tutte così, le manifestazioni», sospira il questore vicario Pasquale Zazzaro. C'è una piccola zuffa, nell'approssimarsi a piazza De Ferrari, tra alcuni portuali e un gruppetto di anarchici che cerca di impedire, staccando l'amplificatore, a don Gallo e ad Haidi Giuliani di parlare. C'è una bandiera americana bruciata, per non farsi mancar nulla di un campionario vetero vetero. C'è qualche scritta sui muri: nei pressi del Porto Antico la scritta ''10-100-1000 Raciti e Nassiriya" e "Polizia assassina". "Morte a tutti gli eserciti. Nassiriya docet", con lo spray nero, sulla caserma Liguria, nel quartiere di Carignano. Un gruppetto di ragazzi passa in Via Venti Settembre e lancia qualche insulto al cordone di carabinieri che presidia il Tribunale. Un manifestante con la mano fa il segno della pistola e urla: «E adesso spara, servo, spara». Il gruppetto si allontana rapidamente , i carabinieri non sembrano terrorizzati. Tutto qui e solo per dovere di cronaca. Poteva essere una giornata di caos e invece è stato veramente un ricordo, composto oltre il possibile, per la tragedia del 20 luglio 2001 e la morte di Carlo Giuliani.
Così arriva sera e si tirano i bilanci. «È stata una festa della democrazia, una manifestazione composta, pacifica, come avevamo detto», commentano gli organizzatori. «È uscito il sole, è calato il vento, questa è una bufera pacifica con migliaia di ragazzi non strumentalizzati», spiega un allegorico don Gallo, il prete di strada, il fondatore della comunità di San Benedetto al porto che ha voluto i suoi ragazzi in testa al corteo: "La storia siamo noi". Dietro allo striscione un corteo lungo due chilometri e mezzo che canta all'unisono, finché l'ugola regge, "Carlo è vivo e lotta con noi, le nostre idee non moriranno mai". La palma del più piccolo? In corteo c'è anche Nicola, sedici mesi. Davanti alla stazione Principe è insieme al padre e alla madre. Anche lui, spiega papà Paolo, «chiede giustizia, ma soprattutto chiede di potere vivere in un mondo migliore». Non è il più anziano, ma porta ferite profonde nella memoria, Arnaldo Cestaro. Ha un cartello: «Scuola Diaz, arrestato numero 18, anni 62, italiano» Nel blitz alla Diaz le manganellate della polizia gli provocarono varie fratture.
I politici ci sono, ma se ne stanno defilati. Il segretario del Prc, Franco Giordano, spiega: «Alla fine sarebbe paradossale se a pagare per quanto accaduto a Genova fossero solo i manifestanti. E sembra francamente esagerata anche la richiesta di pena dei pm». Chi sembra più nervoso è Vittorio Agnoletto: ««È indecente - sibila l'europarlamentare, all'epoca del G8 portavoce del Social Forum - che il Parlamento non abbia approvato la commissione di inchiesta. Una vera vergogna». Al bar incrocia anche il candidato sindaco del centrodestra a Genova Enrico Musso, che sorseggia un caffè. Nessun botta e risposta registrato. Luca Casarini e Francesco Caruso sono soddisfatti: «Una grande dimostrazione di maturità, avevamo detto che sarebbe stata una protesta durissima ma che non ci sarebbero stati incidenti».
Arriva sera. In coda al corteo sfilano striscioni, bandiere, sigle, al ritmo della musica, dal rock allo ska, dal punk al reggae. Ci sono anchei Pink Floyd di The Wall. L'Unione Studenti inalbera uno striscione, "Chi rompe paga, chi uccide no" e un altro con la scritta "Colpevoli di sognare". Il gruppo di Sinistra Critica balla la musica degli Inti Illimani e scandisce "El Pueblo unido...". Dietro di loro i gruppi della Sinistra Europea, della Sinistra Democratica, di Arcilesbica, di Emergency e della Rete 28 Aprile - Cgil. Chiudono il corteo la Fiom, il Partito dei comunisti italiani, gli iscritti di Rifondazione comunista. La polizia c'è. Tanta e invisibile. Più di mille uomini. Nascosti ovunque, ma mai sul tracciato del corteo.
Papà Giuliani va a portare dei fiori in piazza Alimonda. Lì vicino il testo della canzone di Francesco Guccini: "Genova non sa ancora niente, lenta agonizza, fuoco e rumore, ma come quella vita giovane spenta, Genova muore". La madre, Haidi: «Sono qui in nome della democrazia che mancò sei anni fa e che talvolta ancora oggi manca».
marco menduni
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Città chiusa, i genovesi non si sono fidati
Nonostante le rassicurazioni di polizia e amministratori ha prevalso il ricordo dei tragici giorni di sei anni fa
Genova. L'eco del «vaffanculo» di don Andrea Gallo «ai profeti di sventura» resiste nelle strade deserte attraversate dal corteo. Resta nell'aria come uno degli slogan urlati in piazza e scritti sugli adesivi attaccati ai muri, vergati con la vernice spray nel sottopasso di Caricamento, scarabocchiati con il pennarello sui cartelloni della pubblicità. E dà il ritmo alla manifestazione più dei woofer scatenati dalla band "Assalto frontale".
È il messaggio che la città blindata, impaurita ha atteso chiudendo i negozi, sbarrando banche e uffici pubblici. E ha visto dispiegarsi nelle vie del centro insieme ai 50 mila del "ritorno a Genova". Che ha ascoltato prestando l'orecchio alla colonna sonora del movimento di protesta, nato da una delle ultime udienze del g8. L'udienza dei 224 anni di carcere e sei mesi chiesti dai pubblici ministeri Anna Canepa e Andrea Canciani per 25 no global, 25 «capri espiatori», così definiti in un messaggio inviato alla piazza da Alex Zanotelli, il padre comboniano che è tra i leader nazionali della contestazione non violenta e del pacifismo.
La città temeva di rivivere i giorni del luglio 2001. Aveva torto. La scommessa di don Gallo è stata vinta. Per strada sono scesi tutti: dagli anarchici più radicali ai Cobas più arrabbiati; dagli studenti che la mattina avevano fatto il percorso inverso per manifestare su altri argomenti, ai no global che sono alla sbarra e aspettano il giudizio; dai tifosi senza bandiere, con il pensiero a Gabriele Sandri e al poliziotto che lo ha freddato con un folle colpo di pistola, ai ragazzi rasta dei centri sociali. Non è volata una sola di quelle bottiglie di vetro vendute persino dagli ambulanti, alla faccia della prevenzione. Poteva andare peggio.
E il peggio si aspettavano i negozianti che hanno tenuto le saracinesche abbassate quasi fosse una normale domenica di deserto metropolitano e non un sabato. Qualcuno lungo il percorso toccato dal corteo ha resistito alla tentazione di un giorno di festa. E ha fatto affari d'oro, a forza di thé caldi, caffè, tramezzini e birra.
Il timore dei commercianti, con il senno del dopo manifestazione, ha deluso il sindaco Marta Vincenzi, che li aveva invitati a tenere aperto e ad avere coraggio: «Dispiace che i negozi siano rimasti chiusi. Spero che questa sia l'ultima volta e che la giornata di oggi (ieri per chi legge, ndr) contribuisca a ricreare un clima di fiducia da parte degli operatori economici. L'appello a tenere le saracinesche alzate era stato lanciato perché avevamo una ragionevole certezza sul corretto svolgimento della manifestazione - ha aggiunto Marta Vincenzi - ma evidentemente le ferite erano ancora aperte e c'era ancora troppa paura che il corteo potesse trasformarsi in un saccheggio».
I genovesi che non sono scesi in piazza sono rimasti in casa e persino quelli del centro hanno seguito alla radio e in televisione quanto avveniva in strada, magari proprio davanti alle loro finestre. «Ho visto sventolare bandiere cubane, bandiere comuniste, bandiere americane in fiamme - protesta via telefono un abitante di Albaro - ho cercato almeno un tricolore ma non l'ho trovato». Segni. Come le scritte comparse sui muri lungo il percorso della manifestazione, contro la polizia, l'esercito e le banche. Al porto antico è stato scritto ''10 - 100 - 1000 Raciti", a Carignano, vicino alla caserma del comando regionale dell'Esercito, "Morte agli eserciti - Nassiriya docet", mentre in via Dante sulla sede della Banca d'Italia e della direzione delle Poste sono comparsi slogan contro gli istituti di credito e inviti a non votare.
Il corteo ha attraversato la città dalla Stazione marittima fino a De Ferrari, quasi ignorato dalle forze dell'ordine, schierate a distanza di sicurezza, per non dare un obiettivo ai più violenti. Il traffico, deviato con efficacia, non ha subito grossi contraccolpi. Grazie all'impiego di cento vigili, 25 auto e 30 moto. Sono rimasti i graffiti, che l'Amiu ha cominciato subito a rimuovere, quando ancora si cantava, grazie agli sforzi di sessanta addetti con 2 autogru, 6 spazzatrici, 15 porter e 4 compattatori. Già oggi, le campane della raccolta differenziata e i cassonetti rimossi per ragioni di sicurezza torneranno al loro posto. E sarà ripiegata la tenda gialla dell'unità di decontaminazione nbcr (nucleare, batteriologico, chimico e radiologico), montata dagli uomini del 118 di Genova nel piazzale dell'ospedale San Martino per soccorrere le persone eventualmente colpite da gas lacrimogeni durante la manifestazione. Non è servita a niente. Se non a rendere ancora più forte l'eco del grido di don Gallo rivolto «ai profeti di sventura».
Graziano Cetara
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Pisapia: il decreto anti ultràvuol fermare anche i pacifisti
l'avvocato dei giuliani
Genova. L'applauso più lungo lo strappa Giuliano Pisapia, avvocato della famiglia Giuliani e presidente della Commissione di riforma del codice penale, quando alza il tono della voce e dice: «La Commissione d'inchiesta sul G8 può servire, almeno, a chiedere al ministro Amato sotto giuramento perché l'ex capo della polizia De Gennaro è diventato il suo capo di gabinetto». Pisapia parla davanti a circa 200 persone riunite, ieri mattina, nell'auditorium San Salvatore di piazza Sarzano per il convegno che ha preceduto la "marcia dei 50 mila" per le vie di Genova. I decreti sulla sicurezza dell'esecutivo di centro sinistra, lo stop alla Commissione d'inchiesta sul G8, l'atteggiamento dei media di fronte agli eventi del 2001, il processo ai 25 no global accusati di devastazione e saccheggio, il no all'organizzazione alla Maddalena del G8 nel 2009. Ecco i temi toccati al convegno di ieri. Titolo: "Genova 2001: un altro mondo è possibile".
Pisapia ha ricordato il corteo dei migranti del 19 luglio 2001 e la grande voglia di cambiamento che si respirava in quella occasione. «Ora il 90 per cento di quei migranti - ha detto l'avvocato - rischia di essere espulso con le famiglie: guardate a che livelli di discriminazione è giunto anche il centro sinistra». «E' indispensabile - ha continuato Pisapia - ritrovare l'unità del movimento che, dopo il G8, si è cercato in tutti i modi di dividere». Di più: «Dal 2001 a oggi ogni decreto contiene strumenti finalizzati a colpire il movimento. Ad esempio, quello contro la violenza negli stadi punisce anche la resistenza passiva garantendo il carcere anche a chi manifesta pacificamente». Dunque: «Gli abusi di Genova non possono essere passati sotto silenzio, esiste un serio rischio di autoritarismo». Appello all'unità anche da Giorgio Rinaldini, segretario nazionale della Fiom: «Questa manifestazione è l'inizio di una ricucitura».
«La sicurezza sta diventando la parola magica per utilizzare il diritto a proprio piacimento, bisogna scongiurare il pericolo di una svolta reazionaria nel nostro Paese», scandisce dal palco Raffaella Boldini, dell'Arci. Laura Tartarini, uno dei difensori dei 25 no global sotto processo, si concentra sugli aspetti giudiziari: «Il processo Diaz è quello più in ritardo perché coinvolge alti vertici della polizia». Tartarini reputa sostanzialmente inutile la commissione sul G8 ma denuncia: «Il governo rifiuta qualsiasi assunzione di responsabilità. Lo dimostra il fatto che vengono impugnate dall'avvocatura anche sentenze su piccoli risarcimenti civili». «Con la promozione di tutti i responsabili dell'ordine pubblico a Genova nel luglio 2001, il governo ha lanciato un preoccupante messaggio di impunità», attacca Vittorio Agnoletto, parlamentare europeo ed ex portavoce del Genoa Social Forum: «La commissione non piace neppure a una parte del Pd, che non ha nessun interesse a riaprire la pagina del G8 di Napoli». Ultima stoccata: «La gestione dell'ordine pubblico è sempre più affidata a corpi separati che non rispondono al dibattito democratico». Aleandro Longhi, deputato del Pcdi, propone al sindaco Marta Vincenzi di consegnare il Grifo d'oro, alto riconoscimento del Comune, a Marco Poggi, «l'infermiere di Bologna che ha avuto il coraggio di denunciare gli abusi compiuti nella caserma di Bolzaneto».
Marcello Zinola, segretario dell'Associazione giornalisti di Genova, infine, fa autocritica: «Le cronache sui processi relativi al G8 sono state sporadiche. A un certo punto, anche su input degli editori e per ragioni di vendite, si sono spenti i riflettori».
Vincenzo Galiano
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G8, corteo pacifico
la manifestazione di genova
Sfilano in 50 mila. Molti i negozi chiusi. Nessuna violenza
GENOVA. Alla fine è filato tutto liscio. Nessun incidente, nessuna particolare tensione. Cinquantamila per le vie di Genova dal primo pomeriggio a sera. E don Andrea Gallo, il prete di strada vicino ai noglobal, che aveva garantito "assoluta nonviolenza", lancia un sonoro «vaff... ai profeti di sventura». Non si sono visti gli ultrà del calcio, di cui si temevano le infiltrazioni dopo la tragedia di Arezzo. Niente black bloc, niente vetrine rotte. Solo i writers in azione, con scritte "10, 100, 1000 Raciti e Nassiriya» che in serata erano già cancellate. Per tutto il pomeriggio il corteo ha sfilato. Con i protagonisti di sempre: Vittorio Agnoletto, Luca Casarini, Francesco Caruso. Tra i manifestanti anche Franco Giordano, segretario di Prc. Qualche tensione in mattinata, per le difficoltà di raggiungere Genova con i treni e un piccolo tafferuglio alla stazione di Pisa. Poi, con l'arrivo in città, la tensione si è stemperata. I mille uomini delle forze dell'ordine sono stati quasi invisibili. Lungo il percorso la maggior parte dei negozi ha tenuto le saracinesche abbassate, innescando anche una polemica con il sindaco Marta Vincenzi, che aveva invitato i commercianti a fare il contrario. La Vincenzi ha poi ribadito: «Non trasformiamo il G8 in uno dei tanti misteri d'Italia». Soddisfatti questore e prefetto: «Le previsioni della vigilia sono state rispettate».
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Come a una paratadi reduci
maurizio maggiani
A VOLTE va tutto bene. E siccome alla fine ogni cosa è a posto è come se non fosse successo niente. Lo vedo da come scalpita insofferente la giornalista tv che ha passato mezz'ora a discutere con il cameraman il taglio di ripresa che le sta meglio, e ora è lì che non ha da dire niente di "forte".
Già, non è stata una giornata forte questa. Niente incidenti e dunque in definitiva una giornata insoddisfacente, almeno per i media. Eppure qualcosa mi sembra di aver visto accadere andando su e giù per una quieta manifestazione di protesta, girovagando per una città silenziosa dove una buona parte dei negozianti si è convinta a tener giù la saracinesca, e un sacco di genovesi a farsi un fine settimana in disparte. Sì, qualcosa di forte mi sembra che sia successo.
È successo che se in quello che è accaduto nei giorni del G8 c'era un disegno, e il disegno era debilitare, o demolire, i movimenti, questa intenzione ha raggiunto uno straordinario successo. I movimenti non esistono più. Non quella moltitudine di voci, di intenti, di energie, di linguaggi, di attese e di speranzosa creatività che ho conosciuto negli anni e ho vissuto in quei giorni del 2001. I movimenti - così genericamente definiti perché troppo diversi da qualunque roba politica meglio classificabile - sono fatti delle persone, non delle organizzazioni; le persone, quelle persone, sono ancora vive e vegete, ma sono silenziose, o altrove.
Ho incontrato qualcuno, ma non le sue energie, non quelle che hanno fatto sperare in un modo diverso e gioiosamente attivo di vivere la vita e le sue responsabilità, la propria vita e quella del mondo; il destino dei "sei miliardi di figli dello stesso Padre", come era scritto nelle magliette che distribuivano le suore di Boccadasse, e ho visto sporche di sangue e di lacrime sul petto di ragazze manganellate ben bene sabato 21 luglio 2001 all'altezza di via Casaregis. Ciò che è accaduto quel giorno, e il giorno prima, e la notte dopo, ha traumatizzato centinaia di migliaia di persone, di giovani cittadini soprattutto; ha distrutto un immenso patrimonio di energie promettenti e ha creato dei reduci.
Lungo la manifestazione ho incontrato molti reduci. E non c'è molto di promettente e creativo nella forma mentis di un reduce, soprattutto se ha poco più di vent'anni. Il trauma non è stato assorbito; non credo che lo sarà, non certo in una manciata di anni. Così le voci che si sentono, quelle che si fanno sentire, sono le meno interessanti: quelle dei partiti politici, dei loro rappresentanti nei movimenti. Niente da dire, tutte brave persone, ma li ascolto e mi sento portato altrove, lontano da quel territorio magmatico, libero, non ideologico, dove si stava formando un pensiero, quello sì veramente nuovo, che se oggi ancora c'èè un pensiero sottomarino.
E è successo che neppure questa città ha superato il suo trauma. Se lo cova dentro silenziosa, sentendosi guardinga, "smenata", disillusa. Non è solo una questione di serrande abbassate, ma di atmosfera, di sentimento, di ciò che si percepisce ogni volta che per qualche ragione di torna a dare un'occhiata alle ferite che si è curata da sola. Se c'è stato un disegno e parte del disegno era quello di dare una lezione a questa città, anche questo obiettivo è stato raggiunto.
I molti che come me nei giorni del G8 sono stati testimoni hanno la certezza, intima e radicata, che ciò che è successo è quantomeno da spiegare e da capire ancora. Che senza una verità e una ragione non potremo mai riabilitarci da reduci in cittadini nuovamente promettenti. Verità e ragioni che non riguardano solo questa città e chi in quei giorni ci ha vissuto, ma che gli uni e l'altra hanno il diritto di pretendere come primo risarcimento. Non sono così convinto che una commissione parlamentare è di per sé in grado di darmi ragioni e verità, di risanare i traumi rendere giustizia delle vittime, ma so che è il minimo che devo pretendere. Il fatto è che non ci sarà mai una commissione d'inchiesta sui "fatti" del G8 del luglio 2001, e se mai si dovesse istituire, accadrà troppo tardi perché possa ancora servire a sanare la ferita che resterà infetta per il resto della storia mia, della mia città, di questo Paese.
maurizio maggiani
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Questa volta bravi tuttima è bocciata la politica
dalla prima pagina
Invece non ci sono stati incidenti di rilievo: al punto da far apparire eccessive le preoccupazioni della vigilia. Ma soprattutto l'intera città, in tutte le sue componenti, è uscita bene dalla prova: cosa che, di questi tempi, non succede tutti i giorni.
I protagonisti della giornata, naturalmente, sono stati i manifestanti: i cinquantamila partiti da tutta Italia e arrivati a De Ferrari senza incidenti. Per fortuna, gli appelli-provocazione a mescolare la legittima protesta per i fatti del G8 con la rabbia ultrà non sono stati raccolti: al corteo si sono uniti tifosi, non teppisti. Viene persino da chiedersi perché al G8, sei anni fa, le cose non siano andate allo stesso modo: perché le centinaia di migliaia di manifestanti pacifici di allora siano stati infiltrati da provocatori sui quali non è mai stata fatta piena luce.
Subito dopo i manifestanti vanno ricordate le forze dell'ordine e anche le autorità cittadine, sindaco e prefetto in testa. Se le autorità hanno avuto il merito di escludere sin dall'inizio la possibilità di vietare la manifestazione, le forze dell'ordine hanno mostrato come sia possibile gestire la piazza anche senza mostrare i muscoli; e pure qui sorge irresistibile il rimpianto che gli stessi uomini, con la stessa professionalità e lo stesso rispetto dei diritti dei cittadini, in altre situazioni e sotto altri governi non abbiano avuto lo stesso sangue freddo.
Personalmente, ai protagonisti della giornata aggiungerei anche i giudici: sì, quegli stessi giudici contro i quali la manifestazione è stata convocata, e ai quali, in certi commenti, è stata rinfacciato di non aver ancora fatto giustizia. In realtà ci voleva molto coraggio, e molto senso dello Stato, per portare avanti le indagini contro i vertici della polizia; invece, le imputazioni per devastazione e saccheggio contro alcuni dei manifestanti del 2001 erano per certi versi obbligate: ora toccherà alla magistratura giudicante accertare le responsabilità individuali, evitando i capri espiatori.
Lo stesso orgoglio, invece, non può essere condiviso da molti altri: e una volta tanto, si tratta solo di non genovesi. Qualcosa ha rischiato di andare storto nei trasporti: e non è una novità, quando di mezzo c'è Trenitalia. L'informazione è stata puntuale soprattutto da parte de La Sette e da Primocanale di Mario Paternostro, che sempre più spesso fanno anche la parte che toccherebbe al servizio pubblico. Poi, naturalmente c'è la politica nazionale: che non è uscita bene neppure da questa prova.
La maggioranza non sta rispettando uno degli impegni presi nel programma di governo: la Commissione d'inchiesta sui fatti del G8 magari non servirà a niente, proprio come ritiene Piero Ottone, ma era un impegno preciso, e gli impegni si rispettano. Quanto all'opposizione, basta aver seguito cinque minuti della trasmissione che La Sette ha dedicato all'evento per farsene un'idea: fra l'ex radicale Taradash che si arrampicava sugli specchi, e la portavoce Gardini che, al solito, pensava soprattutto a magnificare il suo datore di lavoro, veniva solo da pensare come, nella patria di Machiavelli, la politica abbia potuto cadere così in basso.
mauro barberis
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Carlo
Forum Per La Sinistra Europea - Genova
http://versose.altervista.org/
Coordinamento Genovese contro l'Alta Velocità
http://notavgenova.altervista.org/
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