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Diaz, ciclone dopo Fournier ora tutti vogliono parlare
Dubbi sulla ricostruzione, altri imputati in aula
Anche i capisquadra del nucleo antisommossa chiedono di essere ascoltati
Ma i legali avevano già chiuso la partita, la decisione tocca al giudice
MARCO PREVE
Anche i capisquadra del nucleo sperimentale antisommossa, adesso, vogliono parlare e raccontare cosa accadde - secondo loro - all´interno della scuola Diaz, nel luglio 2001. E´ questa la clamorosa novità che arriva - per ora ancora ufficiosamente, attraverso voci provenienti dal nutrito collegio di difesa e da indiscrezioni romane, milanesi e genovesi interne alla stessa polizia - dal processo nei confronti dei 29 imputati per le violenze commesse nell´irruzione nella scuola Diaz, e per i falsi che ne seguirono.
La decisione che sta maturando è un´altra delle conseguenze delle dichiarazioni fatte da Michelangelo Fournier, il vicequestore che quella notte era a capo dei 70 celerini romani del Nucleo sperimentale antisommossa poi sciolto. Fournier ha tardivamente confessato («per spirito di appartenenza, per non infangare oltre il corpo, perché vengo da una famiglia di poliziotti... mi sono portato per sei anni questa croce») di aver visto 4-5 agenti accanirsi brutalmente («una macelleria messicana») contro i manifestanti inermi e di essere addirittura intervenuto per far cessare, con fatica, il pestaggio.
Ha aggiunto che i picchiatori non erano agenti del suo reparto.
Cosa è cambiato con le sue rivelazioni?
Intanto che appaiono sempre più scricchiolanti le tesi degli alti funzionari che negli interrogatori dissero di non aver mai assistito ad abusi e neppure di essersi insospettiti di fronte a tutti quei feriti. Ma è anche vero che le confessioni ritardate di Fournier non combaciano, almeno in un aspetto, con quanto sostenuto dalle decine di vittime della Diaz, e cioè che calci, pugni e manganellate non arrivarono solo da agenti in borghese o con i cinturoni bianchi, ma anche e soprattutto dai celerini del Nucleo antisommossa. Quindi i resoconti dei capisquadra, che fino ad oggi avevano solo ammesso di essere stati protagonisti di sporadiche colluttazioni o di aver visto i colleghi di altri reparti picchiare gli occupanti della scuola, appaiono sempre meno realistiche.
Ecco cosa scrissero nel 2001 nelle loro relazioni al comandante Vincenzo canterini gli 8 capisquadra imputati: Fabrizio Basili, Ciro Tucci, Carlo Lucaroni, Emiliano Zaccaria, Angelo cenni, Fabrizio Ledoti, Pietro Stranieri, Vincenzo Compagnone, difesi da Silvio Romanelli e Piero Porciani e anche, ma solo in un primo momento, dall´onorevole di An Ignazio La Russa.
Lucaroni ricorda Fournier che «si ferma a soccorrere due manifestanti nel corridoio»; Compagnone agenti in divisa atlantica «accanirsi e picchiare come belve dei ragazzi, uno di questi era a terra in una pozza di sangue»; per Ledoti, i colleghi «in divisa atlantica e con i fratini (le pettorine con la scritta polizia, ndr), ci scansavano a forza per poter entrare per primi nello stabile»; e sempre loro secondo Tucci «pestavano con lo sfollagente alla rovescia di santa ragione i giovani che si erano nascosti».
Dopo quanto raccontato da Fournier i capisquadra vogliono ammettere di aver picchiato o aggiungere altri particolari su azioni compiute dai soliti "altri"? Nelle prossime ore se ne saprà di più. Sempre che poi il presidente del tribunale Gabrio Barone accolga la loro richiesta. Nell´ultima udienza, infatti, i legali avevano comunicato che nessun altro degli imputati aveva intenzione di sottoporsi all´esame in aula (solo 2 su 29 lo hanno fatto, Fournier e Canterini).
Sarà il presidente a decidere se la porta è ancora, tecnicamente, aperta.
Certo è che le dichiarazioni di Fournier hanno creato scompiglio.
E non poteva non accadere quando un poliziotto definisce "nazista" il comportamento di suoi colleghi.
Un termine, uno spettro inquietante, che ritroviamo anche nella deposizione di una delle vittime dei pestaggi, il belga Michael Gieser, oggi 42enne. Così risponde alle domande dei pm Francesco Albini Cardona ed Enrico Zucca: «Li ho visti venire verso di me (i poliziotti, ndr), e picchiavano più persone, una dopo l´altra. Si provava a rimanere lucidi... la mia famiglia è ebraica e mi è stato raccontato come sopravvivere "all´arbitrio totale", cioè alla camera a gas, al nazismo.
Ho ricevuto il messaggio "sopravvivere"; così guardavo la situazione e pensavo "devo sopravvivere", soprattutto perché vedevo colpire alle teste, non una volta, non per castigare, ma per ammazzare».
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