[Lecce-sf] Fw: [antiamericanisti] "i Confini della Patria"

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Author: Rosario Gallipoli
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To: forumlecce
Subject: [Lecce-sf] Fw: [antiamericanisti] "i Confini della Patria"
Quando si dice "i nodi vengono al pettine"
Ros.

Dom 6 Mag 2007 7:00 am
"Piera Graffer"

Il punto è che nessuno in Italia è scoppiato a ridere
e ha chiamato la neurodeliri
quando ci hanno propinato il concetto che i Confini della Patria
si difendono sull'Hindu-Kush.
piera

Afghanistan: i nodi vengono al pettine

di Giancarlo Chetoni - 04/05/2007

Il 30 Aprile alle 8.35 (ora italiana), nel quadro dell¹offensiva ³attacca e
distruggi² Achille, è scattata nella provincia meridionale di Helmand e
nella provincia di Farah l¹operazione Silicio.

Forze di Gran Bretagna, Olanda e Danimarca, coadiuvate dall¹esercito di
Kabul, per un totale di 2.000 militari sostenuti da una massiccia offensiva
aerea, stanno rastrellando il territorio alla ricerca e alla distruzione di
nuclei ³terroristi².

Alla 13.25 l¹Ansa con un comunicato da Kabul ci ha fatto sapere che 87
talebani risultavano eliminati da reparti americani e afghani nella
provincia di Herat, aggiungendo che nelle 48 ore precedenti erano stati
annientati , sempre con appoggio dall¹aria, altri 50 ribelli e 2 capitribù.

Le notizie contenute nel dispaccio di Agenzia sono risultate false. La
smentita è arrivata da Peacereporter. A essere falciati dalle armi di bordo
degli elicotteri Usa Black Hawk, Apache e cannoniere volanti sono stati
uomini, donne, anziani e bambini dei villaggi nella valle di Sangin.

I reparti speciali dell¹Isaf si sono limitati a bersagliare con mortai
pesanti quello che è rimasto in piedi. Migliaia di afgani sono scesi in
strada a Herat e a Shindand, al grido di morte agli Usa e alla Nato, per
protestare contro un altro massacro della popolazione nella provincia.

Alle 13.02 sempre un Ansa, ma questa volta da Roma, riassumeva in 130, con
una contabilità all¹ingrosso, i ³nemici² lasciati sul terreno, precisando
che le truppe italiane, come quelle spagnole, non erano state coinvolte nei
combattimenti.

Evidentemente a Palazzo Chigi e alla Farnesina c¹è stata qualche
preoccupazione per la piega presa dagli avvenimenti in un¹area sotto il
³controllo² dell¹Ovest Rest a guida italiana.

Parisi ha chiesto spiegazioni, ma nessuno allo Stato Maggiore ha saputo, o
voluto, dirgli di più di quello che ufficialmente si è riusciti a sapere.
Prodi dal canto suo si è affrettato a precisare che le regole d¹ingaggio
per il contingente italiano da quelle parti non sono cambiate. Ipocrisie in
tutti e due i casi da Repubblica delle Banane. Nel resoconto stenografico
dell¹intervento al Senato del Sottosegretario agli Esteri Vernetti si
precisa a pag. 19 che in applicazione alla clausola ³extremis² il comandante
in capo della Nato può ottenere la mobilitazione sul teatro di guerra delle
truppe italiane senza specifico assenso di Palazzo Chigi. Ed è indubitabile
che, prima o poi, lo farà.

La realtà e che la guerra scatenata dagli Usa e dalla Gran Bretagna in
Afghanistan comincia a venirci incontro e ci farà pagare un prezzo salato,
molto più salato di quello saldato a Nassiriyya e nella provincia di Dhi
Qar.

Da quelle parti, come ha affermato Parisi, si dovrà rimanere almeno fino al
2011. D¹Alema quando parla della necessità di un maggior coordinamento del
contingente italiano con Enduring Freedom e con Isaf per non essere
³esercito di Franceschiello² è servito. E¹ di queste ore la notizia del
ferimento di 3 militari italiani a bordo di un VM colpiti da un esplosione
sulla rotabile che porta a Camp Vianini.

La previsione che facemmo qualche tempo fa, sulla scorta delle informazioni
raccolte, è stata facile.

Secondo quanto riferito dal Generale Satta, anche se non c¹è da giurare
sulla veridicità della versione trasmessa a Via XX Settembre e al Comando
Operativo Interforze di Centocelle, Usa e ³Alleati² si sarebbero limitati a
comunicargli di essere impegnati in attività di ³pattugliamento² nelle aree
affidate al controllo del nostro contingente senza che ci sia stato
richiesto, almeno per ora, un appoggio militare che non potremo rifiutare di
dare per un sottoscritto e vigente accordo tra il Governo Prodi e la Nato.

Sempre secondo Satta, il contributo delle forze italiane schierate a Herat
si è quindi limitato all¹approntamento di un sistema di evacuazione medica
d¹urgenza per il personale dell¹ISAF a mezzo ³piattaforme ad ala rotante²,
lasciando i feriti afghani, colpiti dai raid aerei, ma questo - è sottinteso
- senza possibilità successive di ricovero e cura in strutture sanitarie.

La logica della guerra impedisce di fatto a ³nostri² militari di aiutare il
³nemico². Lo sfratto imposto dal ³governo² di Kabul a Emergency finirà per
produrre nel tempo un¹autentica strage di afghani.

Con i suoi 3 ospedali, 23 centri di pronto soccorso e 5 centri clinici nelle
carceri, l¹organizzazione di Gino Strada era diventata un riferimento
sanitario indispensabile a rendere parziali gli effetti devastanti della
³guerra permanente² avviata nel 2001 in Afghanistan da Usa e Gran Bretagna,
ma anche inevitabilmente punto di osservazione per fonti indipendenti di
quello che succede e non deve assolutamente trapelare fuori dal Paese delle
Montagne.

Su ³Repubblica² del 1 Maggio il Generale Mini osserva che l¹Italia ha fatto
credere all¹opinione pubblica di avere il Comando Isaf su 300.000 Kmq di
territorio e di poter stabilire una ³cornice di sicurezza² su queste aree
con non più di 200-300 militari da avvicendare a rotazione nella
ricognizione armata. In Afghanistan, a partire dall¹espansione della Nato -
ha affermato l¹alto ufficiale - non comandiamo più nulla, a dispetto di
quanto stabilito sulla carta e nelle ricorrenti cerimonie d¹investitura.

Gli Usa sono ³Isaf² ed ³Enduring Freedom². Hanno l¹ultima parola su
qualsiasi operazione militare in tutto l¹Afghanistan e dettano legge a
Karzai e agli ³Alleati², mentre l¹esercito afghano va dove lo manda il
Pentagono solo perché ha sulla testa e alle spalle la protezione aerea a
stelle e strisce. Le perdite che subisce sono proporzionate alla necessità
di evitare la sua liquidazione come forza combattente, anche se ampiamente
demotivata, a sostegno dell¹ex consigliere della Unocal assediato nel
Palazzo Presidenziale di Kabul.

Il 29 Aprile, nel corso di un¹intervista a Radio Parigi, Philippe Douste
Blazy ha affermato che la Francia non ha intenzione di far restare ancora
per molto i suoi scarponi in Afghanistan. ³Non vi è alcun piano - ha
affermato il ministro degli esteri transalpino - per mantenere truppe
francesi su quello che è diventato un disastroso teatro di guerra. Non
vogliamo contribuire ad occupare questo Paese. Rimanere avrebbe per
conseguenza il mancare di rispetto alla sua sovranità, alla sua indipendenza
e alla sua integrità territoriale e venir meno ai valori in cui ci
riconosciamo².

Dubitiamo che a Roma si sia preso voluto prendere atto di una presa di
posizione lucida e coraggiosa.

Una dichiarazione rilasciata, non a caso, a pochi giorni dalle dimissioni
del Governo De Villepin, che impegna la Francia anche con una Presidenza
della Repubblica affidata a Sarkozy o alla Royal a seguire una direttrice di
politica estera non modificabile e che rifila uno schiaffo bruciante
all¹Amministrazione Bush, ai suoi Alleati e alla multinazionale ipertrofica
di Ban Ki Moon. Una multinazionale che produce in Afghanistan un vorticoso
giro di affari per 60 miliardi di dollari all¹anno in ³interventi umanitari²
che non lasciano tracce sul terreno e in esportazione assistita di milioni
di ³profughi².

Quando il Quai d¹Orsay insiste sull¹³integrità territoriale², il messaggio
che s¹intende mandare all¹esterno è esplicitamente chiaro: la Francia
paventa la sparizione dell¹Afghanistan dalla carta geografica dell¹Asia e la
sua frantumazione in feudi tribali e religiosi con assistenza militare,
finanziaria e riconoscimenti diplomatici contrapposti nella ³comunità
internazionale². A Parigi si teme che il Paese delle Montagne possa
imboccare la stessa strada senza ritorno che si sta preparando per l¹Iraq
con gli ³squadroni della morte² e gli attentati a mercati, moschee ed
edifici pubblici. Un già visto in America Latina.