[NuovoLab] Un "cantiere" sul clima Sei idee per cominciare

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Author: brunoa01
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To: ambiente_liguria
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Subject: [NuovoLab] Un "cantiere" sul clima Sei idee per cominciare
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Un "cantiere" sul clima Sei idee per cominciare

Le responsabilità della vecchia economia

Mirko Lombardi*
Siamo dentro il mutamento climatico. Il riscaldamento del Pianeta accelera con rotture continue dei precedenti equilibri termici. La termodinamica spiega molto, quasi tutto, anche quel "socialismo o barbarie" oggi drammaticamente declinabile in "o si riducono i consumi o si riducono i consumatori".
Serve indagare lo scenario internazionale perché i rischi neocoloniali ci sono. Un esempio: l'affaire dei biocarburanti che nel sud del mondo diventano le monoculture che spiantano le produzioni di cibo, che desertificano e predano le risorse idriche sottraendole alle popolazioni.
Se si guarda all'America latina, come giustamente segnalava Giovanni Berlinguer nella sua bella intervista, si devono vedere i processi contraddittori fra il petrolio di Chavez e i biocarburanti dell'accordo Lula-Bush, o le joint-venture italobrasiliane, benedette da Prodi, per la coltivazione in Angola di biomasse. Oppure le agricolture, sempre dei sud del mondo, impiantate solo per l'esportazione, senza ricadute locali se non lavoro miserrimo, che riempiono invece le tavole dei paesi industrializzati i quali, intanto, abbandonano la coltivazione della terra per indirizzare l'acqua che scarseggia non più alla produzione di cibo, ma alle richieste dell'industria. E il suolo alla speculazione immobiliare.
Bene che anche Montezemolo, ieri sul Corriere, si accorga della crisi idrica, ma il suo allarme sembra voler mettere le mani avanti per imporre una nuova gerarchia nella distribuzione dell'acqua, prima all'industria e all'energia e poi all'agricoltura, e senza dire niente dell'inefficienza energetica e spreco idrico degli apparati produttivi dell'industria italiana. Tra i peggiori al mondo.
Le responsabilità della crisi ambientale sono interamente a carico della vecchia economia e degli stili di vita conseguenti. Anche in Italia. La politica è in grave ritardo. Non può affidarsi alla danza della pioggia. Servono fatti concreti, e subito. D'altronde non si può continuamente descrivere estati d'aprile, il grano che imbiondisce come a giugno, gli invasi alpini che aspettano disgeli di ghiacciai inesistenti, pesci balestra e barracuda nel delta del Po..... Così è, e sarà per lungo tempo. E' più facile che sia peggio; certo non meglio. Serve una nuova economia. Le parole chiave sono: niente spreco, risparmio, salvaguardia, riuso, manutenzione. E cooperazione. Tutte parole sconosciute al mercato e aborrite dalla competition. Qui sta l'afasia del neoliberismo, ma anche la crisi dei riformismi. Siamo al fare.
Il cambio del clima ci consegna una sostanziale riduzione dei volumi d'acqua disponibili. L'acqua è metafora di tutto il nostro quotidiano, dagli usi domestici, all'agricoltura, all'industria, all'energia. Fin che abbondava la si è sprecata, sporcata, inquinata; res nullius, il contrario di bene comune. La si è persino considerata una merce qualsiasi, privatizzabile. Il primo fare è dare all'acqua lo status giuridico di bene comune e una gestione pubblica in grado di definire quantità e modalità degli usi. Dunque lotta agli sprechi, risparmio, tecniche di riuso, di approvvigionamento e stoccaggio. Fuor di ideologia: ma davvero, in tempi di crisi idrica durevole, qualcuno pensa seriamente che privatizzando la gestione dell'acqua si possano governare le pressioni, gli interessi contrapposti, i conflitti che già ci sono (e diventeranno acutissimi) dei cittadini per gli usi domestici, degli agricoltori assetati, dell'industria, della produzione energetica?
Solo un nuovo ed autorevole spazio pubblico può farlo, anzi deve perchè questa è la scelta della modernità in tempi di magra.
Quindi serve lo stato di emergenza se accelera piani, programmi stabili. Il secondo fare è adeguare l'agricoltura con interventi colturali meno bisognosi d'acqua, con tecniche irrigue non dispersive, con definizioni di cicli corti, dal produttore al consumatore, risparmiando energia, ricostruendo il rapporto fra città e campagna. Ma anche l'allevamento ha bisogno di interventi radicali. Il terzo fare è lo stop al consumo e alla cementificazione del territorio, non più solo buona pratica antispeculativa e di difesa del paesaggio, ma pratica utile per contrastare l'impermeabilizzazione del terreno e consentire all'acqua di raggiungere le falde e alle piante di fissare co2.
Il quarto fare è sull'energia, imponendo efficienza e risparmio, fuoriuscendo dai combustibili fossili, modificando anche le produzioni idrovore come le turbogas estendendo le produzioni da energie rinnovabili, solare, eolico. Eppoi il quinto fare: acquedotti, fognature e recuperi d'acqua con alte efficienze. E ancora il sesto fare riguarda l'industria che consuma e spreca enormi quantità d'acqua buona, senza riciclo così come spreca enormi quantità di energia utilizzando motori a bassa efficienza. Ce n'è per fare un cantiere a sinistra.
* Responsabile ambiente di Rifondazione


27/04/2007



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