Author: Silverio Tomeo Date: To: social forum Subject: [Lecce-sf] arci su afghanistan
La bussola del nostro pacifismo sono gli occhi delle popolazioni civili, le prime e vere vittime delle guerre.
I loro bisogni, le loro aspirazioni ci orientano nella ricerca di soluzioni intorno alle quali costruire consapevolezza, mobilitazione civile, solidarietà, interlocuzione con le istituzioni e la politica.
Anche nel caso dell'Afghanistan, il nostro unico interesse è fare sì che il nostro paese contribuisca a una pacificazione fondata sui diritti umani e la giustizia, a partire dalle indicazioni che arrivano dalle componenti democratiche della società civile afghana.
Non è un percorso facile.
Per decenni USA e URSS hanno combattuto senza esclusioni di colpi per il controllo di un paese strategico per gli equilibri politici dell'area e per l'approvvigionamento di risorse energetiche.
Lo hanno fatto attraverso guerre di invasione, colpi di stato, sostegno a fazioni e potentati violenti, repressivi, armati.
I signori della guerra, schierati a seconda delle convenienze con l'una o l'altra delle superpotenze, hanno potuto godere di appoggio e protezione, e consolidare un potere immenso.
Tutto ciò è stato pagato a caro prezzo dalla popolazione afghana, costretta a vivere fra guerra, violenza, corruzione, mafia, oppressione dei diritti umani e civili.
Una iniziativa di pace per l'Afghanistan deve in primo luogo porre le basi per rompere l'alleanza fra tutti gli interessi stranieri e tutti i signori della guerra.
Ciò deve avvenire mentre nel paese è in corso un conflitto armato.
Per questo sosteniamo le componenti di società civile afghana che ritengono necessaria nel paese la presenza di una forza militare dell'ONU con il mandato esplicito di proteggere la popolazione civile.
Per lo stesso motivo, riteniamo che la presenza di tale forza possa operare positivamente solo se sarà chiara la discontinuità con l'invasione del 2001.
La presenza della Nato in Afghanistan è, nonostante la formale distinzione di compiti, commista alla strategia degli Stati Uniti ancora oggi impegnati nella guerra al terrorismo con la missione militare Enduring Freedom.
La debole legittimazione dell'ONU non è sufficiente a mutare, agli occhi di gran parte del popolo afgano, la convinzione che ISAF abbia una contiguità con l'occupazione e con le operazioni militari Usa.
Bombardamenti di villaggi con decine di vittime civili vengono eseguiti dai caccia Usa. Le truppe Nato hanno il mandato di difendere se stesse, e non reagiscono di fronte alle violazioni dei diritti umani operati anche da signori della guerra che siedono nel governo afgano, e non solo dai Talebani.
L'Italia relazionerà all'ONU in marzo sulla presenza civile e in ottobre sulla missione militare in Afghanistan. Crediamo sia una opportunità unica per aprire una nuova fase, che preveda un maggiore impegno della comunità internazionale e una netta discontinuità rispetto alle scelte finora compiute.
La situazione è cambiata. Per questo la discontinuità è necessaria e credibile.
Nel 2001, le Nazioni Unite diedero il via libera a una azione internazionale in Afghanistan facendo riferimento al diritto all'autodifesa sancito dall'art. 51 della Carta dell'ONU.
Erano passati pochi giorni dall'attentato alle Twin Tower. Noi credevamo che non si dovesse rispondere al terrorismo con la guerra. Eravamo già allora convinti che la guerra non avrebbe risolto i problemi, ma che li avrebbe aggravati.
Non fu questa la valutazione della maggioranza del Governo Italiano, che diede sostegno alla operazione Enduring Freedom promossa dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna per distruggere le basi di Al Qaeda in Afghanistan, protette e sostenute dal regime talebano.
Gli Usa e i loro alleati, nella occupazione del 2001, si avvalsero del sostegno di fazioni altrettanto malviste dalla popolazione e dalla società civile democratica per le loro posizione antidemocratiche e reazionarie -prima fra tutte l'Alleanza del Nord.
Il regime talebano è caduto, ma ha nel tempo riorganizzato le sue forze e combatte per il controllo del paese.
Nel governo in carica, legittimato con il voto di tanta popolazione che sperava nella pace e nella democrazia, siedono molte forze che hanno sostenuto l'invasione del paese, ottenendo in cambio legittimità politica e impunità sui crimini commessi.
Esse usano il governo per rafforzare il proprio potere, l'arbitrio e il dominio sulla popolazione civile e sulle risorse del paese. Tanta parte della popolazione si sente tradita, e sconfitta.
A sei anni di distanza dall'occupazione occidentale, in Afghanistan si sta configurando una competizione per il controllo del territorio fra fazioni armate, signori della guerra e dell'oppio, sulla pelle di un intero popolo e in particolare delle donne.
La situazione si è aggravata con la offensiva lanciata dalla Nato. Il rischio che tutte le forze militari presenti siano coinvolte in un conflitto aperto è altissimo.
Crediamo che la comunità internazionale debba riconoscere la nuova situazione, dunque modificare il proprio ruolo e la propria presenza militare:
1. l'ONU dovrebbe ristrutturare profondamente la missione militare, dando ad essa il compito di garantire protezione alla popolazione civile contro i soprusi operati da qualsiasi parte nonché al personale impegnato nella democratizzazione, nell'aiuto umanitario e nella ricostruzione.
2. la nuova missione militare dovrebbe essere sotto controllo politico e militare delle Nazioni Unite, e operare una cesura con l'occupazione del paese anche attraverso la partenza almeno dei contingenti più coinvolti.
3. la nuova missione dovrebbe essere legittimata ad agire solo con gli strumenti utili a realizzare il proprio mandato. Dovrebbero essere vietati i bombardamenti aerei, e dato spazio alle operazioni di polizia impegnando corpi ad hoc (ad esempio un contingente di polizia internazionale sotto egida UE).
Una missione ONU che rispetti davvero il diritto internazionale può aiutare a evitare il prevalere delle fazioni armate, e tenere aperto lo spazio alla politica che deve costituire la componente più importante di un piano per la pace:
1. l'impegno per una Conferenza Internazionale di pace andrebbe accompagnato ad un processo per la riunificazione nazionale, senza il quale l'Afghanistan sarà sempre esposto alla guerra civile, ai poteri forti interni e agli appetiti stranieri. Per questo è necessario negoziare con tutti gli attori in campo. Sarebbe anche utile una Commissione per la Verità e la Riconciliazione, che permetta un almeno simbolico risarcimento per le vessazioni subite dalla popolazione civile da tutte le parti in causa, e favorisca una riconciliazione fondata sulla giustizia.
2. l'impegno per costruire un sistema di polizia e giudiziario rispettoso dei diritti universali e non sottomesso ad alcun potere forte dovrebbe essere accompagnato da misure altamente visibili, che diano alla popolazione locale la percezione di una presenza internazionale equa ed imparziale. Una rete di "difensori civici" nelle comunità locali andrebbe presa in considerazione.
3. l'aiuto umanitario dovrebbe essere potenziato, in modo che nessuna vittima del conflitto in atto si senta abbandonata dalla comunità internazionale. Migliaia sono le persone che hanno dovuto abbandonare i propri villaggi a causa della violenza delle diverse parti (controllo dei talebani, vessazioni di funzionari del governo, bombardamenti Usa e Nato) e che non godono di alcuna assistenza.
4. sarebbero necessarie misure tese a sottrarre la debole economia locale dalle mani dei signori della guerra e dell'oppio. E' necessario rivolgersi direttamente ai piccoli produttori con una strumentazione plurale: Microcredito, acquisto di oppio a scopo medicinale, sostegno alle produzioni alternative.
5. fondamentale è il sostegno aperto alla società civile democratica che in Afghanistan esiste ma che da decenni è schiacciata dai poteri forti che si alternano nei governi o nelle resistenze armate. Scommettere su un loro rafforzamento naturale non è pensabile: la razionalità è perdente, di fronte al potere delle armi. Rafforzare le forze democratiche è la migliore ingerenza umanitaria.
Quello che proponiamo dunque è un nuovo e più impegnativo modello di intervento, teso a una maggiore imparzialità -o meglio a una accentuata parzialità a favore dei diritti umani universali.
E' importante però che la situazione non degeneri ulteriormente.
Il governo italiano ha deciso di attenersi al mandato ISAF per la ricostruzione uscendo da Enduring Freedom, non aumentando i soldati e non modificando la localizzazione delle truppe. Si è impegnato per una soluzione politica della crisi.
Ma non c'è spazio per la politica mentre parlano le armi. Chiediamo che il Governo chieda alla Nato di interrompere la sua offensiva e di promuovere una tregua dei combattimenti.
E che si impegni da subito, con il concorso di tutte le competenze che vivono nella società civile democratica afgana, italiana e internazionale a costruire una proposta di pace forte e condivisa da sottoporre all'Onu.