[NuovoLab] da infopal

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Author: Elisabetta Filippi
Date:  
To: forumgenova
Subject: [NuovoLab] da infopal
Da www.infopal.it

27 ottobre 2006.

Dal nostro corrispondente.

Nel corso del 2006, le truppe di occupazione israeliane hanno assaltato e
saccheggiato 70 società caritatevoli palestinesi nella West Bank, oltre ad
aver rubato le loro proprietà e i loro fondi.

Un report del Tadamon international, un’istituzione di solidarietà legale,
ha reso noto che le forze di occupazione hanno colpito queste società
nonostante si tratti di enti filantropici che hanno come scopo alleviare la
sofferenza di orfani, handicappati, poveri e persone in stato di necessità,
oltre che di aiutare le famiglie delle vittime degli attacchi israeliani e i
prigionieri.
Il report segnala che i commando israeliani solitamente motivano tali atti
contro queste società, con la giustificazione che si tratti di
“organizzazioni affiliate a fazioni della resistenza” o “terroriste”.

Tadamon sottolinea che le operazioni di assalto terminano generalmente con
la distruzione dei locali, la confisca di computer e altri documenti e con
la chiusura, attraverso decreto militare, per un periodo di tempo che pu?
arrivare anche a due anni.

(Fonte: Agenzia Al-Watan e Palestine-info.co.uk)



Parallelamente agli attacchi militari contro le associazioni di beneficienza
e di solidarietà palestinesi nei Territori, anche in Europa, e in Italia, le
associazioni caritative palestinesi che si occupano della raccolta di fondi
da mandare in Palestina per l’acquisto di materiale scolastico e di prodotti
alimentari, oppure che promuovono adozioni a distanza di piccoli orfani,
sono continuamente attaccate a livello mediatico. Il governo israeliano le
ha infatti inserite in un elenco di “associazioni terroriste” o
“fiancheggiatrici di terroristi” solo perché inviano soldi a famiglie
bisognose o vittime di operazioni militari israeliane.

Va da sé che ci? non risulti veritiero né verosimile, ma che la ragione di
tali persecuzioni e assalti è da ascriversi all’esistenza stessa delle
associazioni benefiche: esse, infatti, costituiscono il pilastro su cui si
regge la società palestinese a livello educativo, sanitario, scolastico e
assistenziale. Senza le società caritative – omologhe, per molti versi,
delle Caritas cristiane – la Striscia di Gaza, già in misere condizioni e
ora strozzata dall’embargo Usa/Ue, e buona parte della West Bank
imploderebbero.

La miseria e l’ignoranza sono focolai di violenza, ma grazie all’opera
costante di società benefiche nei vari campi sociali, i palestinesi stanno
evitando la distruzione totale e la deflagrazione violenta.

La situazione economica dei Territori e della Striscia di Gaza si sta
dirigendo verso la catastrofe umanitaria: la disoccupazione aumenta, i
salari non sono pagati, gli ospedali non hanno fondi per curare i malati – e
tantomeno i feriti delle nuove armi chimiche e a “micro-onde” sperimentali
israeliane utilizzate da alcuni mesi a questa parte -, le famiglie non hanno
soldi per comprare libri e quaderni e per iscrivere i figli più grandi
all’Università (l’alto livello di istruzione era un vero punto di orgoglio
per la società palestinese!), sempre più spesso non hanno denaro neanche per
acquistare il cibo quotidiano.

In tutta questa situazione devastante, il governo israeliano dà ordine di
chiudere le associazioni assistenziali palestinesi, come a voler
sottolineare una volontà di totale distruzione del tessuto sociale
palestinese, di annientamento di una popolazione intera.

Se nei Territori palestinesi partono dunque i bulldozer e le truppe
d’assalto che vanno a distruggere strutture di accoglienza e sostegno
economico e sociale, in Italia arrivano le “informative” che segnalano
presunte attività illecite di questa o quella organizzazione benefica, e i
media vanno all’attacco, spesso senza conoscere né la realtà
socio-culturale-economica palestinese né quella delle associazioni
palestinesi che operano in piena legalità in questo Paese.



Qualche dato.

Si stima che ci vogliano 180 milioni di dollari per mantenere
l’infrastruttura del settore scolastico.

Il numero delle scuole è di 2277, di cui 1726 del governo, 279 dell’Unrwa e
272 private.

Gli alunni/studenti sono 1.067.489 - 749.967 di loro frequentano le scuole
pubbliche, 251.118 quelle dell’Unrwa, 66.407 quelle private (cresciute del
2,2% rispetto all’anno scorso). Le materne sono 935 frequentate da 77.142
bambini.

Le statistiche indicano che sono stati arrestati 1599 studenti tra scuole e
università, di cui 450 minorenni (444 maschi, 6 femmine); 205 insegnanti;
sono state chiuse 12 scuole; sospesi i corsi d’insegnamento in 1125
istituti; sono state bombardate 359 scuole; 43 sono state trasformate in
campi militari; sono stati uccisi 845 studenti; sono stai feriti 4780 tra
studenti e insegnanti.

L’ufficio generale per la statistica segnala che la percentuale di povertà
nel secondo trimestre dell’anno ha raggiunto il 65.8%. Ci? significa che 7
famiglie su 10 vivono sotto la linea della povertà.

La crisi economica causata dall’embargo si riflette sul mercato e lo
paralizza in maniera quasi completa, si è abbassato molto il potere
d’acquisto, i commercianti passano il tempo a parlare della crisi senza
vendere nulla, pochi clienti che girano nei mercati, i cittadini non
riescono ad acquistare ci? che serve ai figli per il nuovo anno scolastico.

Come abbiamo spiegato prima, dunque, molte carenze e difficoltà che
attraversa la società palestinese vengono supplite dalla rete di
organizzazioni associative e caritatevoli in Palestina e nel mondo. Grazie
al vasto network della solidarietà locale e internazionale, la società
palestinese è ancora viva e attiva. Le numerose crisi economiche e politiche
l’avrebbero altrimenti già annientata.

In Italia esistono numerose organizzazioni, ma anche enti pubblici, attivi
nei progetti di solidarietà verso i territori palestinesi - West Bank e
Striscia di Gaza - grazie ai quali intere famiglie e villaggi possono
arrivare a fine mese, comprare materiali scolastici per i figli, curarsi,
ecc.

L’Abspp onlus.

Una delle associazioni presenti nella società palestinese è la Abspp - onlus
(Associazione benefica di solidarietà con il popolo palestinese).

L’associazione si occupa di finanziare l’acquisto di cartelle e materiale
scolastico a orfani e poveri della Palestina occupata e sotto embargo. E
questo viene assimilato al “terrorismo”, in Israele. Almeno, cos? si legge
spesso nei quotidiani italiani. Perché?

L’Abspp è nata a Genova, dove ha sede, nel 1994.

I consistenti fondi raccolti – dai 400 ai 600 mila euro all’anno – vengono
inviati alle associazioni caritative palestinesi che si occupano del
sostentamento di orfani e di indigenti.

Da anni l’Abspp raccoglie offerte da mandare ai bambini rimasti senza
genitori: servono per comprare loro materiali scolastici, abbigliamento,
prodotti alimentari.

Nel 2005 ne sono stati “adottati a distanza” 730 attraverso donazioni e
contribuzioni di singoli o gruppi residenti in Italia.

I fondi inviati in Palestina vengono distribuiti a 23 organizzazioni
benefiche – di cui possiamo fornire l’elenco e l’ubicazione -, tutte
riconosciute da Israele e dall’Autorità nazionale palestinese. I soldi
arrivano in Palestina attraverso banche italiane. E’ tutto regolare e
documentato dai nostri registri contabili.

Le accuse di cui siamo oggetto da anni sono di natura politica non
giuridica: sostenere concretamente la popolazione palestinese ridotta alla
miseria non è un’attività ben vista dal governo israeliano. Ma noi ci
chiediamo, cosa è meglio, lasciare i ragazzini diseredati al loro destino,
senza futuro, e permettere che diventino emarginati e potenziali criminali,
o dare loro un po’ di speranza?



Situazione attuale dell’Abspp.

Sono passati 5 anni dall’apertura delle inchieste contro la Abspp: la
magistratura ha chiesto l’archiviazione del caso perché ha compreso che il
nostro lavoro è rivolto solo al sostegno dei bambini e delle persone
bisognose palestinesi, e non a gruppi militari o di resistenza. Lo
ribadiamo: la nostra attività non è di carattere politico, ma sociale.

Gli attacchi che subiamo e le accuse che ci vengono rivolte periodicamente
ci mortificano, perché percepiamo che i mezzi di informazione non hanno
compreso né la tragica situazione in cui vive il popolo palestinese né
l’importanza di attività caritatevoli ad esso rivolte. E pensare che
l’Italia ha un’antica e consolidata tradizione di assistenza sociale
cattolica che dovrebbe far comprendere e accettare analoghe istituzioni in
altre culture!

Invece, paradossalmente, tutto ci? che è “arabo”, “musulmano” (in Palestina
vengono attaccate dagli israeliani anche società CRISTIANE, ma questo non si
dice o non si sa!), secondo certa mentalità è di per sé pericoloso,
terrorista o chissà che altro.

Non riusciamo a capire questa incapacità a vedere le cose semplicemente per
quelle che sono, senza dover assegnare alle parole significati altri. Una
società benefica è una società benefica. E basta. Non è un Cavallo di Troya
che nasconde guerrieri pronti a colpire a tradimento; non è un campo di
addestramento per kamikaze; non è una holding per finanziare kamikaze; non è
un general-contractor che acquisisce fondi per kamikaze. E’ semplicemente
una associazione che fa beneficenza, che offre assistenza, aiuti a chi ne ha
bisogno. E in Palestina, grazie a decenni di occupazione e guerra, e a
quest’ultimo crudele e ingiusto boicottaggio contro il governo e il suo
popolo, gli indigenti aumentano esponenzialmente.

E’ nostro desiderio ringraziare la Magistratura Italiana, che sa rendere
giustizia. Vogliamo poi invitare voi giornalisti a darci una mano in modo
che la tragedia palestinese venga alla ribalta e che altri possano correre
in aiuto della popolazione assediata, offrendo solidarietà e assistenza.

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