[NuovoLab] articoli su afganistan di liberazione

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Author: antonio bruno
Date:  
To: fori-sociali
CC: forumgenova, aderentiretecontrog8, forumsociale-ponge
Subject: [NuovoLab] articoli su afganistan di liberazione
liberazione 15 luglio 2006

Intervista al deputato di Rifondazione che ha condotto le trattative con
l’Unione
Ramon Mantovani: «Una mozione che cambia la politica internazionale»
Stefano Bocconetti
Il Transatlantico della Camera sembra piazza del Popolo a ferragosto. Una
manciata di giornalisti, cinque deputati. Fra questi, Ramon Mantovani. Ha
condotto per Rifondazione la trattativa sulla mozione che accompagnerà il
disegno di legge sulle missioni militari. Quattro, cinque pagine. Che gira
e si rigira fra le mani, che cita continuamente. Sembra soddisfatto, insomma.

Prima di sapere come è andata, una premessa. Ma serve davvero una mozione?
Non è un po’ come quei bei documenti delle commissioni bicamerali di
demitiana memoria? Quando una maggioranza non riusciva a mettersi d’accordo
e rinviava tutto a qualche pamphlet, pieno di buone intenzioni. Non è così?

No, non credo proprio che sia così.

Perché? Perché una mozione è uno degli atti fondamentali di indirizzo
dell’attività di governo.

Chiunque però potrebbe citare decine di mozioni poi disattese dai governi.

E anche questo non è esattissimo. Perché una mozione si divide in due
parti. C’è una premessa, una sorta di analisi, dove ci sono valutazioni
politiche. E c’è poi il dispositivo. Che è vincolante per l’attività di un
esecutivo. E’ vero che spesso altre mozioni sono state disattese. Ma nel
testo c’era l’escamotage: c’era scritto che il governo si “impegnava a
valutare l’opportunità” di fare una certa cosa. Stavolta non è così. Ci
sono impegni. Che vanno mantenuti.

E siamo alla mozione. Com’è?

In due parole: su tutta la vicenda, è evidente che si sia arrivati ad un
compromesso. Sicuramente c’è un compromesso, però la mozione è molto più
chiara di quanto non lo possa essere il disegno di legge sulle missioni
militari.


In che senso?

Perché il disegno di legge dice solo quanti soldi servono per far tornare i
militari dall’Iraq e quanti ne servono per quelli in Afghanistan. Non c’è
altro.

In quelle pagine che stringi in mano invece che c’è di più? C’è molto, c’è
tanto di più.

La prima cosa, la più importante?

Ce ne sono tante di importanti. Però se vuoi credo che molto rilevante sia
l’affermazione che il governo si impegna a proporre nelle sedi
internazionali una riflessione sui risultati della missione in Afghanistan.
Di più: si impegna a proporre una discussione sulla possibilità di
“superare” - questo è proprio il verbo scelto: superare - l’Enduring
Freedom. E non è poco, ti assicuro che non è poco.

Quindi, un testo che ti piace?

Ti ripeto: il disegno di legge sul ritiro dall’Iraq e sulla missione in
Afghanistan è sicuramente un compromesso. Sufficiente ma che non ci
soddisfa appieno. La mozione invece ha parti davvero molto avanzate. E,
attenzione, la mozione riguarda l’intera politica internazionale del nostro
paese sulle missioni militari.
Stefano Bocconetti segue dallarima
Cambia come?

Ti faccio un esempio, così ci intendiamo meglio. Sai che dal gennaio 2007,
l’Italia farà parte del consiglio di sicurezza dell’Onu. Bene, grazie a
questa mozione, il governo italiano chiederà che l’organizzazione delle
Nazioni Unite si doti di una propria forza militare, sotto il comando del
segreteriato generale. Ed è una richiesta assolutamente dirompente. L’Onu
aveva previsto fin dal suo atto costitutivo la possibilità di dotarsi di
propri uomini e mezzi da usare come forza di polizia internazionale. C’era
nella sua costituzione ma non si è mai realizzata. Utilizzando una norma
transitoria, l’Onu di volta in volta, quando è impegnata in missioni di
pace, deve chiedere ai vari paesi di fornire le truppe. Una situazione che
va benissimo all’America, alla Nato. Perché appunto sono i potenti del
mondo a decidere dove impegnarsi. Per questo, ti ripeto, è una novità
straordinaria. Avversata nel mondo dagli Stati Uniti, ma avversata con
forza anche in Italia.

Avversata dalla destra?

No, non solo. E non penso di svelare chissà quale segreto se ti racconto
che proprio su questo punto della mozione, da parte del nostro governo -
diciamo dalle forze che sono prevalenti nella maggioranza - c’è stata molta
ostilità. E’ stata una trattativa dura, ma nel testo c’è questo passaggio,
ed è importante che ci sia.

“Caschi blu”, allora. E’ questa la nuova politica internazionale?

Non solo. Un paragrafo dopo è disegnata quella che dovrà essere la
filosofia del governo dell’Unione. Dove si dice che il nostro esecutivo
darà la priorità alla prevenzione, si impegna ad accompagnare i processi di
pace, si farà protagonista, insomma, sulla scena internazionale perché non
si ricorra mai più alle armi.

In questo caso, però, si può dire che si tratta di parole?

Parole? A me pare che dall’inizio degli anni ’90, tutti i paesi occidentali
abbiano fatto ricorso alle missioni militari come unico strumento di
intervento nella politica internazionale. L’hanno fatto tutti, Italia
compresa. Mi pare che si possa tranquillamente parlare di ribaltamento
della vecchia logica.

Per capire, non ci potrà essere un altro Kosovo?

Questa mozione lo escude. Anche se - bisogna dire pure questo - un altro
Kosovo, un’altra guerra assolutamente illegittima, fatta al di fuori da
qualsiasi copertura delle Nazioni Unite, viene esclusa anche dal programma
dell’Unione. Quello sottoscritto da tutti i partiti della coalizione.

Insomma, si ritorna all’articolo 11 della costituzione. Non è così? Sì, il
rispetto dell’articolo 11 pervade tutta la mozione.

E sulla vicenda di codici di guerra?

Ho visto che sui gionali s’è fatta un po’ di confusione. Come sai il
governo Berlusconi ha imposto, per i soldati italiani in Iraq e in
Afghanistan, l’obbligo di sottostare al codice militare di guerra. Che per
esempio, impone molti vincoli ai giornalisti. Qualcuno dovrà spiegare prima
o poi come sia possibile che spedizioni spacciate per missioni di pace
debbano sottostare a leggi di guerra, ma ormai è una domanda che riguarda
il passato. Naturalmente, esattamente come avevamo chiesto nella passata
legislatura, si ripristinerà subito il codice di pace. I capigruppo della
maggioranza nelle commissioni Esteri e Difesa, tutti i capigruppo,
firmeranno un emendamento che sarà accolto dal governo, ed entrerà nel
disegno di legge.

Prima parlavi di difficoltà incontrate a scrivere questo documento.

Vedi, più che difficoltà resistenze sui singoli punti, che non credo
interessino più di tanto….

Forse però vanno raccontate.

Se ti interessa posso dirti che la mozione dice esplicitamente che
l’invasione dell’Iraq è avvenuta al di fuori della legalità internazionale.
La Rosa nel Pugno voleva che fosse aggiunta una frase per cui si diceva che
dopo l’illegalità internazionale era arrivata la copertura del’Onu. Ma
questa frase non è stata accettata, perché non è vera.

Prima parlavi di difficoltà generali.

Te la faccio breve. Un mese fa, qualcuno, qualche partito, si è opposto al
varo della mozione. Ora, invece, a lavoro concluso, sappiamo che fa fare un
passo avanti importante alla discussione. Perché anche il giudizio sulle
missioni diventa un’altra cosa, se lo metti “dentro” questi impegni.
Impegni, te le ripeto per l’ennesima volta, vincolanti per D’Alema. Il
disegno di legge si può valutare meglio se lo metti dentro questo disegno,
questo nuovo disegno della politica estera italiana.

Dunque tu voterai sì in tutta tranquilità?

Ti rispondo molto sinceramente: sì. Da deputato di Rifondazione, da
militante del movimento pacifista. Il compromesso sull’Afghanistan è così e
così, ma da sei. Sufficiente, insomma. La mozione, per tanta parte, è
buona, in qualche punto addirittura avanzatissima. Sì, voterò convinto.

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Il testo del documento varato dai partiti della maggioranza di governo
Missioni all’estero, ecco la mozione dell’Unione
La Camera dei Deputati, premesso che:
- la vocazione di pace del nostro popolo, autorevolmente espressa
dall’articolo 11 della Costituzione, deve essere il principale riferimento
delle scelte di politica estera dell’Italia e del ruolo che il nostro Paese
intende svolgere per promuovere una comunità internazionale basata sullo
sviluppo e la solidarietà tra i popoli, sul multilateralismo e sul rispetto
del diritto internazionale;

- il rafforzamento delle grandi organizzazioni internazionali, a partire
dalle Nazioni Unite, e la scelta per il multilateralismo rappresentano gli
strumenti privilegiati per realizzare una politica estera che persegua
attivamente l'obiettivo di equità e giustizia sul piano internazionale,
sulla base di un equilibrato assetto multipolare, la prevenzione dei
conflitti ed una vera ed efficace lotta contro il terrorismo;

- è indispensabile che l’Italia riguadagni una dimensione globale alla
propria politica estera, tornando a volgere lo sguardo con maggiore
attenzione alle grandi nazioni emergenti, come la Cina, l’India, il
Brasile, ricercando un protagonismo più efficace nelle aree cui è
maggiormente legata per storia e posizione geografica, come il
Mediterraneo, il Medio Oriente, i Balcani, e insieme verso i continenti che
più richiedono una politica di pace, partenariato e sviluppo, come l’Africa;

- il nostro Paese deve assumere un nuovo ruolo di impulso e stimolo sulla
grande questione della proliferazione nucleare rispetto alla quale occorre
evitare, attraverso il dialogo e la diplomazia, che nuovi Stati si dotino
di tecnologia nucleare bellica ma nel contempo occorre riprendere e
rilanciare l'obiettivo, trascurato dopo la fine della guerra fredda, della
riduzione di tutti gli arsenali nucleari;
- l’Italia è impegnata a mantenere alto il proprio impegno nella lotta per
l’abolizione della pena di morte, contro la tortura, per la promozione dei
diritti delle donne e per la protezione dei bambini nei conflitti armati;

- nell’attuale contesto internazionale e di fronte alle gravi sfide che
abbiamo di fronte, la ricerca della pace non può prescindere dalla
creazione di un ambiente di sicurezza globale, necessario a rafforzare le
dinamiche democratiche dei singoli paesi, a migliorare le prospettive di
sviluppo dei popoli e dare maggiore autorevolezza ad un’azione delle
organizzazioni internazionali basata sul diritto;

- per ottenere tale risultato ciascun paese è impegnato a contribuire in
proporzione ai propri mezzi e alle responsabilita che assume nella comunità
internazionale è prioritario valorizzare i mezzi preventivi di risoluzione
delle controversie e ridurre l’uso della forza a ultimo strumento possibile
di fronte agli atti di aggressione e minacce alla pace;

- costruire la pace significa anche porre su nuove basi l’impegno
dell’Italia per la cooperazione allo sviluppo al fine di perseguire gli
“Obiettivi del Millennio”, riconoscendo e valorizzando il ruolo degli
attori della società civile, dalle organizzazioni non governative, delle
Università, delle Regioni e degli Enti Locali, che devono essere
protagonisti dello sviluppo del partenariato internazionale;

- il ricorso allo strumento militare, compatibile con lo stesso articolo 11
della nostra Costituzione in quanto conseguente alla partecipazione
dell’Italia ad organizzazioni internazionali volte alla tutela della pace,
può avvenire solo nel rispetto dei criteri di legittimità dell’uso della
forza, proposti dalle stesse Nazioni Unite: gravità della minaccia, scopo
appropriato, ultima risorsa, proporzionalità dello strumento e analisi
delle conseguenze;

- in questo orizzonte la scelta di intraprendere ovvero proseguire missioni
militari all’estero deve essere coerente con detti principi, in particolare
con il quadro di legalità e legittimità internazionale in cui sono state
decise, con l’evoluzione della situazione politica internazionale e
soprattutto con l’espressione della volontà autonoma degli Stati e dei
popoli presso cui l’Italia è chiamata ad operare;

- le nostre missioni militari, svolte con apprezzata professionalità,
riconosciuta competenza e capacità di relazioni umane dalle Forze armate,
debbono dunque essere finalizzate alle esigenze di sicurezza, controllo del
territorio, tutela dei diritti umani, promozione della democrazia,
stabilizzazione per favorire processi di costruzione delle istituzioni
statali e locali;

- diversamente da quella in Iraq, le altre missioni all’estero si iscrivono
nell'attività di peace-keeping e monitoraggio decisa da istituzioni
internazionali ovvero tra quelle di semplice assistenza alle forze
dell’ordine dei paesi in cui operano, come nei casi dei nostri militari
attivi in Sudan, Somalia, sul confine tra Etiopia ed Eritrea, in Palestina,
Sinai, Libano, Kashmir, Albania e per le missioni in corso Bosnia e Macedonia;

- nello stesso spirito e con i medesimi obiettivi di stabilizzazione,
assistenza alle locali forze di polizia e garanzia di pacifica convivenza
tra la popolazione serba e quella albanese si continuano a svolgere le
nostre missioni in Kosovo, dove la presenza europea e italiana continua ad
essere indispensabile per la tutela delle minoranze e del patrimonio
culturale e religioso di quei popoli.

Ancora premesso che:
- in Afghanistan agli aspetti positivi del risveglio democratico del popolo
afgano, visibile in particolar modo nella rinnovata partecipazione
femminile alla vita sociale e politica, e l’allontanamento della dittatura
integralista dei Talebani si affianca una situazione di evidente criticità,
caratterizzata dalla difficoltà di stabilizzazione e di rafforzamento delle
istituzioni democraticamente elette, dalla persistenza di aree ancora
controllate dai Talebani e altri gruppi armati, dalla permeabilità dei
confini del Paese a infiltrazioni di gruppi terroristici;

- è opportuna la costituzione di un Comitato parlamentare per il
monitoraggio permanente delle missioni internazionali di pace in cui è
impegnata l’Italia che consentirà al Parlamento attraverso missioni in loco
e avvalendosi del contributo di personalità della società civile e di
operatori umanitari impegnati nelle aree interessate di verificare in
maniera costante e puntuale il perseguimento degli obiettivi definiti dal
Parlamento e dal Governo;

Preso atto positivamente:
- che il governo ha programmato la conclusione della missione Antica
Babilonia in Iraq, nata in conseguenza di un intervento militare deciso in
violazione di norme del diritto internazionale, ed è impegnato a provvedere
al ritiro integrale del contingente militare italiano;

- che in territorio afgano l’Italia non è più in alcun modo impegnata
militarmente nell’ambito della missione Enduring Freedom, essendo ormai il
contributo italiano a questa iniziativa limitato alla presenza di unità
navali nel Golfo arabico;
- che il governo si è impegnato a sostenere gli interventi decisi dalla
comunità internazionale a favore della regione del Darfour volti al
miglioramento delle condizioni di vita della popolazioni e allo sviluppo
socio-sanitario a vantaggio delle fasce più deboli;

Impegna il governo:
a promuovere nelle sedi internazionali competenti, in special modo
nell’ambito delle Nazioni Unite e della Nato:
- una riflessione sulla strategia politica e diplomatica che deve
accompagnare la presenza internazionale in Afghanistan per assicurare che
l’azione di stabilizzazione, controllo del territorio e sostegno alle forze
dell’ordine afgane si muova lungo un percorso di normalizzazione e
pacificazione del paese, con obiettivi e passaggi definiti che prevedano in
prospettiva l’affidamento esclusivo al Governo sovrano di Kabul della
responsabilità del mantenimento della pace e dell’ordine sul territorio
afgano;

- una verifica sull’impegno e la presenza internazionale in Afghanistan,
valutando risultati ed efficacia delle missioni e delineando un percorso
chiaro di rafforzamento delle istituzioni, di ricostruzione economica e
civile e di garanzia della sicurezza per la popolazione;

- una valutazione sulla prospettiva di superamento della missione Enduring
Freedom in Afghanistan;

- una nuova Conferenza Internazionale sull’Afghanistan allo scopo di
favorire un dialogo a livello regionale e di rilanciare l’impegno della
comunità internazionale volto alla ricostruzione economica e civile del
paese, alla pacificazione e al rafforzamento delle istituzioni afghane,
alla elaborazione di un piano efficace di riconversione delle colture di
oppio, anche ai fini di una loro parziale utilizzazione per le terapie del
dolore;
- un impegno per avviare un monitoraggio ambientale delle aree interessate
da operazioni belliche per individuare eventuali livelli di inquinamento
bellico e conseguenti piani di bonifica;

- a valorizzare, prioritariamente, nella propria azione di politica estera
gli strumenti di prevenzione dei conflitti, di mediazione e di
accompagnamento dei processi di pace;

- ad impostare l’attività di cooperazione giudiziaria dell’Italia in Iraq e
più in generale le iniziative di institution building, secondo i più
recenti sviluppi del diritto penale internazionale, nonchè delle regole di
procedura e prova contenute negli statuti dei tribunali penali ad hoc,
delle Corti speciali internazionali e della Corte penale internazionale;

- a mantenere distinti, nell’ambito delle iniziative italiane all’estero,
gli interventi di cooperazione allo sviluppo rispetto alle attività di
sicurezza e polizia internazionale;

- a svolgere un’azione determinata per il rilancio dell’Unione Europea e
per un suo protagonismo sulla scena internazionale quale forza di dialogo,
di promozione della pace, della libertà, della democrazia, dello sviluppo,
nel rispetto della legalità e del diritto internazionale;

- a portare avanti un’altrettanto determinata azione volta al rafforzamento
delle organizzazioni internazionali, a partire dall’Onu, quali
insostituibili sedi multilaterali di confronto in cui la comunità
internazionale può formare, su un piano di pari dignità tra le nazioni, la
propria volontà, conformemente ai principi dello Statuto dell’Onu, delle
Dichiarazioni sui diritti dell’uomo e del diritto internazionale;

- a promuovere in questo quadro, anche in qualità di membro non permanente
del Consiglio di Sicurezza dal gennaio 2007, le iniziative volte a
costituire un contingente militare di pronto intervento per mantenere pace
e sicurezza internazionale alle dirette dipendenze della Segreteria generale;

- a mantenere uno stretto rapporto con il Parlamento, anche con nuovi
strumenti di verifica di cui può decidere di dotarsi in relazione alle
missioni di pace internazionali, per consentirgli di esplicare con piena
consapevolezza e responsabilità il compito di legislazione organica,
indirizzo e controllo.

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Magari potesse la caduta di un governo porre fine a tutte le guerre

Michele De Palma
Brinderei anch’io se un governo cadesse sulla guerra e se la guerra finisse
un minuto dopo e le armi finalmente smettessero di uccidere e le bombe di
distruggere, ma non sono convinto che in Italia la caduta o il cambio di
maggioranza del governo raggiungerebbe questo obiettivo. Ho ragione di
ritenere che accadrebbe il contrario, visti i tentativi ripetuti di
cambiare in corso d’opera le indicazioni del programma dell’Unione.

Il movimento contro la guerra ha imposto al governo italiano il ritiro
delle truppe dall’Iraq: finalmente possiamo dire che ce l’abbiamo fatta.
Oggi più di ieri abbiamo bisogno di riprendere a costruire un movimento
capace di mettere in discussione la partecipazione del governo ad altri
teatri di guerra come in Afghanistan. L’unica buona mediazione era ed è il
ritiro delle truppe, ma se a fronte di una richiesta di aumento
dell’impegno militare da parte della Nato e da dell’Onu riusciamo, noi
tutti, ad ottenere un congelamento della missione, dobbiamo chiederci come
facciamo a raggiungere quello che rimane il nostro obiettivo: il rientro
dei soldati dall’Afghanistan. Possiamo intanto sfruttare la mozione
parlamentare che accompagnerà il decreto e che impegna il governo a
“valorizzare prioritariamente nella propria azione di politica estera gli
strumenti della prevenzione dei conflitti, di mediazione e di
accompagnamento dei processi di pace”. Sia chiaro: noi non ci fermiamo alla
mozione. Si tratta di un primo passo, uno strumento per agire dall’interno
e praticare la nostra proposta di pace (la stessa del movimento) al
governo. Dobbiamo esserci al tavolo delle decisioni: se ce ne andiamo, gli
altri decideranno anche per noi e non come vorremmo. E accadrebbe sulla
guerra, ma anche sulla precarietà, i migranti, le coppie di fatto e i
diritti civili.

Ho l’impressione che il dibattito si sia spostato dalla guerra al governo.
Solo in questi termini riesco a intendere l’affermazione di Gino Strada.
Dobbiamo avere il coraggio per dirci che lo scenario di guerra globale si
allarga sempre più e che tutto questo richiede una maggiore incisività
della nostra azione. Gli ultimi tragici fatti che registriamo in Medio
Oriente rappresentano l’allargamento della destabilizzazione: noi (tutto il
movimento) l’avevamo intuito già nella critica al neoliberismo. Non sono
d’accordo con Massimo Franco che sul Corriere della Sera sostiene che “la
sinistra radicale impone le sue logiche”, perché oggi la guerra non è un
problema della sinistra radicale ma dell’umanità. Sulla guerra (e non solo)
non si può ragionare nei termini di un politicismo bipartisan che somma
aritmeticamente destra e sinistra. Salvaguardare l’alternanza per noi
significa difendere la possibilità di una alternativa di società.

Non può esserci interesse nazionale che ci porti a guardare con favore alla
proliferazione delle armi, al nucleare bellico... Noi individuiamo un
problema enorme nel fatto che davanti a questi temi le Nazioni Unite
rimangono mute e quando intervengono le parole restano lettera morta.
L’inefficacia dell’Onu lascia campo libero a vertici internazionali come il
G8 che proprio in questi giorni si riunisce a San Pietroburgo: gli “otto
Grandi” tornano ad essere luogo di comando dell’umanità.

In questo momento abbiamo bisogno di ritrovare una autonomia del movimento
che ha una natura globale, non può essere relegato alla provincia
dell’impero e non possono essere le scelte parlamentari a dividerlo. Sullo
spazio pubblico di movimento si è abbattuta una rottura provocata da una
torsione tutta politica che chiede di schierarsi sulla base del voto dei
“dissidenti”. Non è il momento di brindare di fronte a guerre che
continuano e guerre che iniziano. Magari potesse la caduta di un governo
farci alzare il calice per festeggiare la fine di tutte le guerre.
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Cannavò: dico no Manca l’exit strategy

«Così com’è, io il disegno di legge non lo voto e ripresento il mio
emendamento, quello che diceva: la missione è autorizzata in funzione della
sua conclusione». Alla vigilia dell’assemblea autoconvocata di stamattina a
Roma, Salvatore Cannavò, deputato di Rifondazione, esponente della Sinistra
critica, ripete a Liberazione, il proprio «incomprimibile dissenso sul
punto della missione militare in Afghanistan. Esiste un doloroso contrasto
col mio partito che non riesco a sanare in alcun modo. Il no alla guerra è
un elemento costitutivo del mio fare politica».

Ma la mozione d’indirizzo contiene delle novità importanti.

Quella mozione non ottiene l’obiettivo centrale per la quale era stata
ideata: individuare una exit strategy. Da questo punto di vista non muta il
mio giudizio sul ddl. Detto questo, non avrei problemi a votare la mozione
d’indirizzo, sia per spirito di lealtà nei confronti del partito, sia
perché contiene elementi utili alla nostra iniziativa politica.

Che cosa ti farebbe cambiare idea?

L’introduzione di una exit strategy. Uno dei due emendamenti presentati da
me (l’altro era sulla soppressione di Enduring freedom) diceva che “la
missione è autorizzata in funzione della sua conclusione”. M’è sembrato un
modo per andare a una prospettiva di ritiro in tempi brevi. Invece ho
vissuto come una conquista il recepimento dei codici militari di pace.
Finora, finora i soldati dell’Isaf sono sottoposti al codice di guerra. Ora
chiedo di fare un ulteriore sforzo, c’è ancora tutto il dibattito alla
camera e al senato.

Credi che l’assemblea di domattina a Roma (oggi per chi legge) possa
svolgere un ruolo importante?

Sarà fondamentale per il rilancio del movimento contro la guerra. L’abbiamo
promossa insieme a tutti quelli che hanno aderito ma non è funzionale a un
progetto politico. Piuttosto vuole muoversi sul crinale del no alla guerra
“senza se e senza ma”, è a servizio di tutto il movimento e credo che
l’argomento principale non sarà solo l’Afghanistan ma la Palestina.

Ma che cosa sta succedendo nel partito in un momento così difficile?

Certo, s’è iniziata questa avventura di governo con un grande riferimento
alla partecipazione popolare che, in realtà, non è mai stata attivata. Ed
il grande limite di questo governo. Personalmente non contesto la
legittimità delle scelte, ho rispetto di tutte le posizioni e non ho mai
usato parole come “traditore”. Pongo un problema di non accettabilità della
scelta e questo sta provocando un travaglio molto forte per cui tutti
dovremmo avere un grande rispetto.

Che. Ant.
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Grassi: ma la mozione non cambia la missione
Parla il coordinatore di Essere comunisti
«La mozione, senza dubbio, contiene importanti elementi di novità, frutto
dell’iniziativa del nostro partito e anche della nostra ferma opposizione
al ddl. Tutti sanno, però, che la mozione d’indirizzo non modifica il
disegno di legge su cui confermiamo il giudizio negativo».

Per Claudio Grassi - deputato Prc e coordinatore dell’area Essere comunisti
- «la decisione finale sarà decisa tutti insieme anche con i movimenti che
ci stanno sostenendo. E domani (oggi per chi legge, ndr) ci sarà il momento
significativo dell’assemblea di Roma».

Che cosa accadrà stamattina a Via dei Frentani (luogo dell’assemblea “senza
se e senza ma”)?

Mi aspetto una partecipazione importante, hanno aderito settori di
movimento e rappresentanti autorevolissimi del sindacato e della cultura.
Per noi è stato molto importante sentire questa vicinanza, spero che si
consolidi. Purtroppo mentre parliamo di Afghanistan s’è aperto un altro
fronte di guerra. L’attacco israeliano al Libano e al popolo palestinese è
una vergogna per il mondo intero. Ed è una vergogna che tutti quelli che ci
criticano per le nostre posizioni filo-palestinesi non siano in grado di
sdegnarsi per il veto Usa imposto perfino su una posizione di lieve critica
dell’Onu alla politica dello stato d’Israele.

Poi si apriranno gli importanti dibattiti finali in Parlamento. Credete che
possa ancora cambiare qualcosa?

Questo è l’impegno che ci ha animato in questa iniziativa. Cercheremo di
modificare in meglio il ddl: il punto decisivo non è su una richiesta
estremistica ma è quel riferimento esplicito alla strategia d’uscita. Una
cosa del genere non c’è mai stata nei ddl del governo Berlusconi e questo
potrebbe fare la differenza. A quel punto siamo convinti che non ci sarebbe
il voto delle destre e si compatterebbe tutta l’Unione.

C’è molta inquietudine nel partito per una vicenda su cui potrebbe cadere
la maggioranza.

Anch’io vivo questo momento non certo a cuor leggero, sento che stiamo
affrontando un passaggio delicatissimo. Ma credo che questa iniziativa
aiuti tutta Rifondazione. Abbiamo bisogno, e sono molto sensibile a questo,
di evitare che le destre tornino a governare il paese ma abbiamo bisogno di
mantenere una coerenza di fondo contro la guerra. Sarebbe devastante se
passasse il concetto che quando sei all’opposizione su certe cose voti
contro e dopo che si possa mettere in secondo piano.

Che. Ant.