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Franca Rame: Appello al dibattito sulla missione in 
Afghanistan
Sto vivendo il periodo più angosciante della mia vita. Mi 
trovo a ricoprire una carica che richiede grande correttezza e 
responsabilità.
Il Parlamento sarà chiamato verso metà luglio a votare 
il decreto sul rifinanziamento della missione militare in Afghanistan. 
Come si deve comportare una persona che è da sempre contro tutte le 
guerre, la violenza, le stragi di vittime innocenti
 la disperazione, 
la morte? E giusto dire SI come chiede il governo, o è giusto dire 
NO come hanno deciso di fare gli 8 senatori? 
Da giorni sto 
rileggendomi quanto scritto da persone che stimo come Gino Strada, 
Dinucci del Manifesto, mio figlio Jacopo e altri, scoprendo avvenimenti 
che mi hanno turbata non poco. Ho deciso quindi, di esporli uno dietro 
laltro, usando il metodo Prodi con le primarie, così che tutti possano 
conoscere fatti di cui raramente si parla, sia sulla stampa che in 
televisione ed avere i termini concreti per aiutare, noi, che siamo in 
Parlamento in rappresentanza del popolo a "fare la cosa giusta. 
Aspetto fiduciosa! 
Questi sono i fatti. La missione Isaf (Forza 
internazionale di assistenza alla sicurezza), cui partecipa lItalia, 
ha cambiato natura da quando la Nato, con un atto unilaterale, ne ha 
assunto nellagosto 2003 la direzione senza alcun mandato del Consiglio 
di sicurezza dellOnu, che solo dopo ne ha preso atto. A guidare la 
missione, dunque, non è più lOnu ma la Nato, che sceglie i generali da 
mettere a capo dellIsaf. E poiché il «comandante supremo alleato» è 
sempre un generale statunitense, la missione Isaf è di fatto inserita 
nella catena di comando del Pentagono.
Contemporaneamente lItalia è 
stata chiamata ad assumersi maggiori compiti in Enduring Freedom, l
operazione lanciata dal Pentagono nel 2001. Qui ha una partecipazione 
numericamente minore (circa 250 uomini), ma non meno significativa. 
Otto ufficiali italiani sono stati integrati nel quartier generale del 
Comando centrale statunitense a Tampa, Florida), che ha la 
responsabilità delloperazione. E dallo stesso comando dipende l
ammiraglio italiano che, dal 28 giugno alla fine di dicembre, è stato 
messo a capo della Task Force 152 che opera nel Golfo Persico. 
Il 
coinvolgimento italiano in Afghanistan non si può dunque misurare solo 
in termini numerici. Partecipando a questa come ad altre guerre sotto 
presunti «mandati Onu», le nostre forze armate vengono inserite in 
meccanismi sovranazionali che le sottraggono alleffettivo controllo 
del parlamento e dello stesso governo. 
Tutto questo ci costa sempre 
più anche in termini economici: la sola missione in Afghanistan ci 
viene a costare, dal 2002 al primo semestre 2006, quasi 600 milioni di 
euro. La spesa militare italiana è al settimo posto su scala mondiale. 
Che quella in Afghanistan sia una guerra condotta non solo contro i 
combattenti ma contro i civili, viene confermato dalluso dei 
bombardieri pesanti statunitensi (B-52H e B1B) i quali, sganciando 
ciascuno da alta quota decine di tonnellate di bombe e missili, fanno 
terra bruciata. 
Dopo 5 anni e mezzo si parla di 250-300 mila morti in 
Afghanistan di cui almeno l80% civili. 
Lo scopo di questa guerra è 
ben altro di quello dichiarato: non la liberazione dellAfghanistan dai 
talebani, che erano stati addestrati e armati in Pakistan in una 
operazione concordata con la Cia per conquistare il potere a Kabul, ma 
loccupazione dellAfghanistan,  area di primaria importanza strategica 
per gli Stati Uniti. Per capire il perché basta guardare la carta 
geografica: lAfghanistan, in cui gli Usa hanno installato basi 
militari permanenti, è al crocevia tra Medio Oriente, Asia centrale, 
meridionale e orientale. In questarea si trovano le maggiori riserve 
petrolifere del mondo. Si trovano tre grandi potenze  Cina, Russia e 
India  la cui forza complessiva sta crescendo e influendo sugli 
assetti globali. Da qui la necessità per gli Stati Uniti di 
«pacificare» lAfghanistan per disporre senza problemi del suo 
territorio in questo grande gioco di potenze. 
Non è dunque una 
missione di pace: per essere tale avrebbe dovuto rispettare 
maggiormente la popolazione, i diritti civili, la legalità. Non avrebbe 
dovuto tollerare l'esistenza di campi di detenzione dove si pratica 
stabilmente la tortura E' il caso, ad esempio, del campo di Shibergan, 
definito da Klaus-Peter
Kleiber, delegato dell'Unione europea: "simile 
al campo di concentramento di Auschwitz".
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NOTA PER I VISITATORI DEL MIO BLOG
Questo appello al dibattito su 
missione Afghanistan è stato inviato al Corriere della Sera. Dovrebbe 
uscire domani. Cera qualche problema di spazio. Mi auguro venga 
pubblicato nonostante la lunghezza.
UN RINGRAZIAMENTO SPECIALE A Manlio 
Dinucci, a Gino Strada e a Jacopo che con il loro lavoro mi hanno 
aiutato moltissimo!! Il dibattito sul Corriere è aperto! FORZAAA! Un 
bacio