Il 10 giugno manifesteremo a Torino.
Un anno fa, nella notte dell'11 giugno, nella città della Mole una squadraccia fascista armata di coltelli e bastoni si introdusse di notte nella casa occupata Barocchio: due occupanti vennero accoltellati. Uno di loro, l'intestino trapassato da un fendente, dovette essere operato d'urgenza. Solo per un caso non c'è scappato il morto.
La settimana successiva, il 18 giugno, un corteo di denuncia venne caricato in via Po dalla polizia che trasse in arresto due manifestanti. Un mese dopo altri arresti. In totale 10 antifascisti, che trascorreranno un paio di settimane in carcere e, in buona parte, altri cinque mesi ai domiciliari.
Durante la fuga dalla carica vennero danneggiati alcuni tavolini e sedie di bar e una vetrina. Tutto questo è valso l'accusa di "devastazione e saccheggio": un reato che costa dagli 8 ai 15 anni di reclusione.
Siamo di fronte a una vera e propria torsione politica del diritto: semplici "danneggiamenti" danno luogo a un'imputazione da tempo di guerra, da disastro epocale. Venne applicata per il disastro del Vajont: 3.500 morti e tre paesi spazzati via.
Il 27 giugno comincerà il processo ai 10 antifascisti torinesi.
Questo processo ha una valenza che va ben la di là della Mole. Il reato per il quale sono perseguiti e per cui rischiano lunghi anni di detenzione, è, intrinsecamente, un reato di natura collettiva, poiché prescinde dalle responsabilità individuali.
L'accusa di "devastazione e saccheggio" palesa la chiara volontà di criminalizzare le manifestazioni di piazza.
Non c'è uno straccio di prova a carico dei 10 compagni. Ma che importa? A sentire i PM, basterebbe l'intenzione. E che l'intenzione vi fosse lo deducono dalle biografie politiche redatte dai funzionari di polizia. Detto in altro modo: sono colpevoli perché anarchici o antagonisti, al di là della responsabilità individuale sui fatti loro contestati.
Da qualche anno la magistratura applica le norme in modo follemente estensivo per limitare la libertà di manifestare e di opporsi al disordine costituito. Quando non basta ci pensa l'esecutivo ad emanare leggi sempre più speciali che hanno esteso la categoria di eversione al punto che anche la protesta pacifica contro un provvedimento dello stato potrebbe rientrarvi.
Nelle lotte sociali, i reati che possono essere al limite contestati (dalla resistenza al blocco stradale al danneggiamento all'occupazione di edificio, ecc.) non portano con sé pene particolarmente alte. Per questo l'apparato repressivo cerca di inquadrare le proteste all'interno di fattispecie penali punite più gravemente. Questo è il motivo del ricorso, ad esempio, ai reati previsti dagli artt. 270 e 270bis c.p.
In tutta Italia oggi sono aperte inchieste nei confronti di realtà che hanno posto la questione sociale (casa, reddito, accoglienza degli stranieri), tutte inchieste accomunate dall'uso degli artt. 270 e 270bis del codice penale, associazione sovversiva e associazione finalizzata all'eversione dell'ordine democratico.
Il fatto che venga punita la mera associazione rende queste fattispecie utilizzabili in modo ampio ed esse possono colpire anche soggetti che non abbiano commesso alcun reato; l'applicazione di queste fattispecie presuppone, però, la dimostrazione della sussistenza appunto di un'associazione, di una stabile struttura, e della finalità politica che va oltre i singoli fatti eventualmente commessi dagli associati.
I tentativi di criminalizzare l'opposizione politica e sociale con l'utilizzo e l'estensione infinita dei reati di natura associativa è sinora sostanzialmente fallita.
Il caso di Torino spicca nel panorama repressivo, perché la procura della repubblica sta provando ad imboccare una strada nuova, in fase di sperimentazione nel processo di Genova per i fatti del G8, e che in Piemonte si cerca di affinare.
Da un reato di organizzazione, la magistratura torinese cerca oggi di passare all'utilizzo di un reato di piazza, come quello di devastazione e saccheggio. La valenza repressiva di quest'operazione è molto forte e denuncia una tentazione autoritaria che mette in pericolo la libertà di tutti.
Quest'accusa può colpire in astratto tutti i soggetti partecipanti ad una manifestazione, indipendentemente dal fatto che abbiano compiuto atti specifici. Il passaggio da danneggiamento a devastazione e da furto a saccheggio fa sì che il reato divenga collettivo, venga cioè imputata una sorta di responsabilità collettiva a tutti quelli che, partecipando alla manifestazione, avrebbero consentito, voluto, fors'anche programmato eventuali danneggiamenti. Chi partecipa a una manifestazione per questo solo fatto viene investito da un reato gravissimo.
Se il teorema dei magistrati torinesi Laudi e Tatangelo dovesse passare, i primi a pagare sarebbero i nostri compagni, ma subito dopo sarebbe il turno dei valsusini, degli antifascisti milanesi incarcerati l'11 marzo e di chiunque manifesti pubblicamente la propria opposizione all'ordine costituito.
Gli antifascisti arrestati a Milano per la manifestazione dell'11 marzo contro l'indecente sfilata fascista nel centro della città sono accusati di "devastazione e saccheggio".
I No Tav, che l'8 dicembre a Venaus, in Val Susa, si ripresero i terreni sgomberati con la violenza dei saccheggiatori e devastatori della lobby tavista , sono inquisiti per "devastazione e saccheggio".
Con questo delirio giuridico si vuole colpire e criminalizzare la mera partecipazione alle manifestazioni, si vuole attaccare la libertà di partecipare attivamente alle lotte esprimendo le proprie idee.
Di fronte alle violenze fasciste, alla predazione delle risorse e dei beni comuni, allo sfruttamento selvaggio, al razzismo che si fa legge, alla guerra e al militarismo in questi anni sono scesi in piazza milioni di uomini e donne.
In Italia ci sono 9000 procedimenti in corso contro i protagonisti delle lotte sociali.
Chi si batte per la casa, il reddito, la libertà di circolazione
chi si oppone ai CPT-lager, alla predazione delle risorse e dei beni comuni, allo sfruttamento, alla precarietà, alla guerra, al militarismo finisce nel mirino di polizia e magistratura
I fatti di Torino sono prove tecniche di regime alle quali tutti coloro che hanno a cuore la libertà e la giustizia sociale devono opporsi con fermezza e determinazione.
Facciamo appello a essere in piazza Torino il 10 giugno: c'è in gioco la libertà di poter manifestare pubblicamente il proprio pensiero.
L'antifascismo non si arresta.
Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana - FAI
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