[NuovoLab] ABITI PULITI - NEWSLETTER GENNAIO 06

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Author: deb
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To: forumgenova, \"\"\"\"\"lilliput-ge@yahoogroups.com\"\"\"\"\"
Subject: [NuovoLab] ABITI PULITI - NEWSLETTER GENNAIO 06
Newsletter n.3
Gennaio 2006

CLEAN CLOTHES NEWS
La Newsletter mensile della campagna Abiti Puliti, membro italiano della
Clean Clothes Campaign.


Uno strumento per fornire informazioni provenienti dalle campagne in corso
ma anche dalle imprese e dal mondo delle istituzioni, per fornire maggiori
elementi di analisi su un settore in continuo mutamento e grande
ristrutturazione che ci riguarda da vicino.
Segnalateci notizie su articoli, studi e comunicazioni relativi al settore
tessile-abbigliamento e calzature e soprattutto fateci avere vostri commenti
e proposte sulle possibili alternative "critiche" alla ricerca di filiere
che rispettano i diritti sociali e ambientali nel Nord e nel Sud del Mondo.


NOVITA' EDITORIALI


IN USCITA L¹ATTESA ³GUIDA AL VESTIRE CRITICO² DEL CENTRO NUOVO MODELLO DI
SVILUPPO
Si intitola Guida al Vestire Critico e si pone tre obiettivi: fare conoscere
le problematiche sociali e ambientali esistenti dietro i capi di vestiario,
fornire consigli per un vestire responsabile e dare informazioni sulle
imprese più in vista del settore abbigliamento e calzature. Di conseguenza,
la Guida è strutturata in quattro parti. La prima, intitolata ³La matassa
produttiva², descrive il percorso produttivo di vestiti e calzature con
particolare attenzione alla fase manifatturiera. Gli elementi che emergono
sono la separazione crescente fra chi possiede i marchi e chi produce, il
ricorso massiccio all¹appalto e il trasferimento produttivo nei paesi a
bassi salari. La seconda parte, intitolata ³Sporco ostinato², si concentra
sui problemi sociali e ambientali con particolare riferimento allo
sfruttamento del lavoro. La terza parte, intitolata ³Consigli per un vestire
responsabile² indica delle piste di comportamento per vestirsi rispettando
l¹ambiente e i diritti dei lavoratori. I temi affrontati sono la sobrietà,
l¹usato, il biologico, i codici di condotta, il commercio equo e solidale,
il consumo critico inteso come selezione delle imprese in base ai loro
comportamenti. La quarta parte, intitolata ³Identikit delle imprese più in
vista², fornisce schede su 93 imprese d¹abbigliamento e calzature. Le schede
contengono notizie sulla struttura produttivo-finanziaria e sui
comportamenti che sono stati individuati. Appositi simboli richiamano
l¹attenzione sugli aspetti più rilevanti. Il libro si conclude con
un¹appendice contenente brevi pezzi di approfondimento, compreso un
vocabolarietto dei termini specialistici più usati nel settore. La ricerca,
che è durata un anno, è stata condotta dal Centro Nuovo Modello di Sviluppo
in collaborazione con vari amici a distanza. E¹ pubblicato dalla EMI e sarà
in vendita da febbraio presso le Botteghe del mondo e Feltrinelli.

L'APPROFONDIMENO


LA CONDIZIONE FEMMINILE NELL¹INDUSTRIA DELL¹ABBIGLIAMENTO IN TURCHIA E NEI
PAESI DELL¹EST EUROPEO
³Women¹s voices: the situation of women in the Eastern European and Turkish
garment industries² (http://www.cleanclothes.org/ftp/05-workers_voices.pdf)
è la terza pubblicazione della Clean Clothes Campaign sulle condizioni di
lavoro nell¹Europa dell¹est e la prima sulla Turchia. L¹indagine, condotta
fra il 2003 e il 2005 sulla base di 256 interviste a lavoratrici in 55
fabbriche o in laboratori a domicilio in Bulgaria, Macedonia, Moldavia,
Polonia, Romania, Serbia, Turchia, mostra come le condizioni di lavoro siano
rimaste sostanzialmente immutate rispetto al primo studio realizzato dalla
Clean Clothes Campaign otto anni fa: 15 ore di lavoro al giorno per 6 o 7
giorni alla settimana, salari insufficienti o al di sotto dei minimi di
legge, precarietà, assenza di tutele sanitarie e antinfortunistiche,
molestie sessuali e maltrattamenti, discriminazioni e attività antisindacali
sono una costante nell¹industria di confezioni per l¹esportazione. La
Turchia è il paese dove sono stati riscontrati i peggiori abusi, fra cui
l¹impiego sistematico di lavoro minorile. Fra i primi dieci paesi fornitori
della UE, la Turchia occupa il secondo posto dopo la Cina, con una quota
dell¹11%, Polonia e Romania sono in sesta posizione con il 4%. Il comparto
del tessile-abbigliamento rappresenta il 15,5% del settore manifatturiero in
Turchia, l¹11% nelle repubbliche baltiche, poco meno del 10% in Romania e
Slovenia. Predominante la componente femminile, fra il 90 e il 95% della
manodopera totale. Il meccanismo commerciale e tariffario introdotto
dall¹Unione europea, che consente alle imprese di esportare semilavorati o
materie prime al di fuori del territorio della Comunità per reimportare i
prodotti finiti senza pagare i dazi all¹importazione (Traffico di
perfezionamento passivo o TPP), ha incentivato le delocalizzazioni nell¹est
europeo, dando origine a un numero sterminato di piccole imprese
specializzate nella cucitura in conto terzi, ma determinando una crisi
irreversibile per le industrie tessili e per gli stabilimenti a produzione
integrata, molto diffusi nei paesi ex-comunisti, che sfornavano capi finiti
partendo dal filato. Oggi, con l¹ingresso progressivo nella UE dei paesi
dell¹est, si pone il problema di una revisione dei meccanismi di scambio
commerciale ed è probabile che in futuro a restare sul mercato saranno solo
poche, grandi imprese di subfornitura. Fra le imprese committenti che si
spartiscono quest¹area geografica sono segnalate le italiane Armani,
Benetton, Diadora, Hugo Boss (Valentino), Miroglio, Trussardi e una serie di
altri marchi di minor fama. La marcia delle griffes verso paesi con minori
diritti e costo del lavoro più basso prosegue intanto in direzione della
Lituania, dell¹Ucraina, della Russia.

Leggi documento integrale con schede paese.
<http://www.abitipuliti.org:8080/abitipuliti/doc/>

NEWS


LIBERATO MARTIN BARRIOS, DIFENSORE DEI DIRITTI DEI LAVORATORI E DEGLI
INDIGENI MESSICANI
Ingiustamente accusato di aver tentato di ricattare il proprietario di una
fabbrica di abbigliamento che teneva sotto osservazione, Martin Amaru
Barrios Hernandez, presidente della Commissione per i diritti umani e del
lavoro della regione di Tehuacan, in Messico, è stato arrestato il 29
dicembre 2005 dalla polizia dello stato del Puebla e trasferito in una
prigione della capitale. L¹episodio è avvenuto a due anni esatti dal suo
sequestro e dall¹aggressione subita ad opera di alcuni sconosciuti. Il 12
gennaio, in seguito a una intensa campagna di pressione internazionale,
Martin Barrios è ritornato in libertà, senza però che le autorità messicane
si siano pronunciate chiaramente sul suo caso. All¹epoca dell¹arresto
Barrios stava assistendo 163 dipendenti ingiustamente licenziati dalla
maquila Confecciones de Calidad di proprietà di Lucio Gil Zarate, che poi
l¹ha denunciato. In quegli stessi giorni la giornalista indipendente Lydia
Cacho veniva a sua volta arrestata a Cancun con l¹accusa di diffamazione nei
confronti del re messicano del denim (tessuto per i jeans), Kamil Nacif, di
cui aveva documentato il coinvolgimento in un giro di prostituzione
infantile. Barrios è coautore del dossier ³Tehuacan: blue jeans, blue waters
and worker right², pubblicato dalla Commissione e da Maquila solidarity
network, che documenta la violazione dei diritti del lavoro e dell¹ambiente
nell¹industria dell¹abbigliamento per l¹esportazione di Tehaucan. La Clean
Clothes Campaign ringrazia tutti coloro che hanno contribuito alla riuscita
della campagna di pressione pubblica.

ETICHETTATURA: APPROVATO DAL SENATO IL DISEGNO DI LEGGE SULLA
RICONOSCIBILITA¹ DEI PRODOTTI ITALIANI
E¹ stato approvato il 18 gennaio dalla Commissione industria del Senato il
disegno di legge sulla riconoscibilità e la tutela dei prodotti italiani. La
normativa che istituisce il marchio ³Cento per cento Italia² prevede una
sorta di carta d¹identità per il made in Italy, al fine di distinguere le
produzioni italiane da quelle importate anche da aziende italiane. La
proposta di legge, che impone norme più severe sull¹etichettatura, passerà
la prossima settimana alla Camera.
(estratto da: Fashionmagazine newsletter, 19.1.2006)

BULGARIA, MORTE DUE OPERAIE IN DITTA ITALIANA
Due operaie bulgare sono decedute alla Euroshoes, fabbrica italiana di
calzature a 30 chilometri da Sofia. ³Condizioni di lavoro sfibranti² sarebbe
il motivo della duplice morte secondo i media e le televisioni locali.
Claudio Marocchi, titolare dell¹azienda, smentisce le illazioni e si dice
³incredulo². Contattato dall¹agenzia Apcom appena sbarcato a Sofia, il
proprietario di Euroshoes si affida alle autorità bulgare. Le due operaie
erano sorelle. La prima, Raina, 48 anni, è morta il 4 gennaio in ospedale
stroncata da un ictus. La seconda, Pavlina, 38 anni, è stata colta da
infarto in ditta lunedì scorso, durante l¹intervallo. La Euroshoes, con sede
a Dupnitsa, impiega 1.600 persone e produce scarpe che reimposta in Italia;
è attiva da 14 anni. Secondo l¹agenzia ³Sofia News², gli ispettori hanno
riscontrato ³decine di violazioni delle norme del lavoro², con condizioni
³estenuanti². Agli operai della fabbrica italiana non sarebbero state
concesse pause e di regola neppure riposi settimanali.
(estratto da: Il Manifesto, 19.1.2006)

SCARPE NEW BALANCE, ABUSI E SFRUTTAMENTO PRESSO FORNITORE CINESE
Due organizzazioni statunitensi, National labor committee e China labor
watch, hanno diffuso un dossier, in cui documentano le condizioni di
sfruttamento di cui sono vittime i lavoratori di una fabbrica cinese, la
Hongyuan Shoe, situata nella provincia del Guangdong, che rifornisce la
marca americana di scarpe da ginnastica New Balance. Le scarpe sono vendute
a 85 dollari ma i lavoratori che le producono sono pagati 41 cents l¹ora,
costretti a lavorare per una media di 15 ore al giorno, 6-7 giorni la
settimana, senza alcun giorno di riposo. Gli straordinari non vengono
retribuiti e per ogni minuto di ritardo la multa è pari a un¹ora e mezza di
paga. Chi diffonde voci, incita allo sciopero o introduce estranei
all¹interno della fabbrica, viene licenziato e denunciato per attività
criminali. Gli operai sono ammassati in dormitori fatiscenti, con letti a
tre livelli. Le donne devono farsi la doccia di fronte agli uomini. Il cibo
fornito è immangiabile e il riso è contaminato da feci di topo, mentre
l¹acqua da bere è a pagamento. L¹aria della fabbrica è impregnata dai vapori
della plastica e in alcuni reparti il rumore è tale che i lavoratori devono
urlare e comunicare a gesti. I nuovi assunti sono costretti a firmare un
contratto senza valore, che serve solo per essere esibito ad eventuali
ispettori di New Balance e Wal-Mart. La Hongyuan Shoe rifornisce anche
Wal-Mart e produce scarpe per ragazzi delle tartarughe Ninja. In un proprio
documento dello scorso giugno, New Balance dichiara di avere a cuore le
condizioni di lavoro presso i suoi fornitori e di averne affidato il
monitoraggio all¹organismo di auditing Verité, il quale stenderebbe regolari
rapporti.
(estratto da: RSI News, 18.1.2006; il dossier è scaricabile dal sito:
www.rsinews.it)

VIETNAM, UN SINDACATO IN PROVA
Ci sono voluti mesi di scontri e di scioperi nelle imprese straniere
affinché il governo vietnamita si decidesse a imporre minimi salariali più
alti. Dal primo febbraio le molte aziende sudcoreane, thailandesi, e
soprattutto taiwanesi, che producono per grandi marchi occidentali come Nike
Adidas e Disney, dovranno mettersi in regola e pagare il 40% in più ai
propri dipendenti, portando gli stipendi da 45 a 55 dollari al mese, a
seconda delle diverse zone del paese e perciò del costo della vita. L¹ondata
di scioperi spontanei, innescata dall¹aumento dell¹inflazione conseguente
alla perdita di valore della moneta nazionale rispetto al dollaro, ha
bloccato in soli due mesi l¹attività di 60 fabbriche straniere, di cui 24
taiwanesi, e ha raggiunto l¹apice poche settimane fa, quando più di 18 mila
operai dell¹impresa tessile e calzaturiera Freetrend, taiwanese, hanno
incrociato le braccia e sono scesi in strada. ³Il problema non riguarda solo
gli stipendi ­ spiegano gli operai della Freetrend all¹agenzia di stampa Ips
­, ma anche le condizioni di sicurezza all¹interno delle fabbriche, gli
orari prolungati e i maltrattamenti continui che dobbiamo subire dalle
guardie private dell¹azienda². La legge del lavoro, in attesa di riforma,
offre comunque alcune garanzie ai dipendenti che altri governi, formalmente
democratici, ancora non prevedono. Ad esempio, impone la costituzione di
comitati aziendali e di rappresentanti dei lavoratori in ogni singola
impresa entro sei mesi dalla sua costituzione. Inoltre, tollera le azioni di
sciopero e le manifestazioni, anche se spontanee e non autorizzate,
limitatamente al settore privato. La confederazione nazionale del lavoro,
Cvl, controllata dal partito comunista, rappresenta oggi solo il 10% degli
occupati, ma sta cercando di riconquistare fiducia e credibilità. ³Se la
riforma del lavoro che abbiamo chiesto passerà ­ dice la presidentessa Cu
Thi Hau ­ presto anche noi saremo in grado di organizzare scioperi senza
paura di perdere il posto, così come potremo gestire con più autonomia le
risorse necessarie alla sindacalizzazione².
(estratto da: Il Manifesto, 22.1.2006)

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a cura di Ersilia Monti, Francesco Gesualdi, Claudio Brocanelli, Deborah
Lucchetti

Campagna Abiti Puliti
www.abitipuliti.org <http://www.abitipuliti.org>
Centro Nuovo Modello di Sviluppo, Coordinamento Lombardo Nord/Sud del Mondo,
FAIR, Mani Tese, ROBA dell¹Altro Mondo

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