[NuovoLaboratorio] leggi speciali

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Author: ugo
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Subject: [NuovoLaboratorio] leggi speciali
dal manifesto del 13 agosto 2005 un intervento di Alberto Burgio

IL TOTEM DELLA SICUREZZA
Le bombe di Londra hanno inaugurato una nuova fase - nuova e più dura - del
dopo-11 settembre. Mentre Bush marcia inarrestabile verso l'instaurazione
di una dittatura del presidente (legge «sull'apocalisse», nuovo Patriot Act)
e altri paesi europei accrescono i margini di autonomia delle forze di polizia,
l'Italia - ripiombata nel clima dell'unità nazionale - vara «misure urgenti»
contro il «terrorismo internazionale» che riducono le garanzie, aggravano
la già insostenibile (e anticostituzionale) legislazione contro migranti
e richiedenti asilo e rinsaldano i già robusti semi di razzismo insiti nelle
menti dei nostri concittadini. Il clou sono finalmente le dichiarazioni del
premier britannico in tema di diritti umani e la sua decisione di istituire
tribunali speciali per i «sospetti terroristi». A meno di un mese dal giovedì
nero, Blair ha snocciolato un catalogo di misure che vanno dalla riconsegna
coatta degli immigrati ai paesi d'origine (anche se notoriamente adusi alla
tortura) al perseguimento di reati di opinione; dal rifiuto dell'asilo a
chiunque risulti coinvolto in attività terroristiche (anche quando ad affermarne
il coinvolgimento è un paese retto da un regime dispotico) all'estensione
della custodia cautelare sino a tre mesi. Il tutto in aggiunta a una legislazione
draconiana (l'Anti-Terrorism Act, varato all'indomani dell'll settembre)
ispirata alle leggi di Bush. Il tutto - così almeno vorrebbe Blair - con
valore retroattivo.
Le decisioni di Blair segnano un salto di qualità, come hanno riconosciuto
tutti tranne Livia Turco (che discorre di «misure estreme ma da condividersi»)
e Gianni Riotta (che vi coglie nientemeno che accenti dettati da «malinconia
illuminista»). Un salto di qualità, proprio per l'esplicita subordinazione
dei diritti umani (nel nome dei quali durante gli anni Novanta si sono benedette
alcune guerre) a un valore sommo - quello della «sicurezza» - che oggi costituisce
il nuovo totem insindacabile e onnipotente. Se questo è vero, un salto di
qualità deve essere compiuto anche da parte di quanti osservano sgomenti
quanto sta accadendo e si pongono il problema di porvi rimedio o saremo in
grado di prendere in mano noi, a modo nostro, il discorso sulla «sicurezza»,
o verremo letteralmente travolti dalla destra, che è riuscita sin qui a imporre
la propria egemonia ideologica e la propria agenda.
Non si tratta di dire che la «sicurezza» non è un nostro problema, né soltanto
di accusare l'avversario di strumentali drammatizzazioni. Al contrario, occorre
ampliare il discorso. Finché ci si limita alle risposte (le sedicenti norme
«antiterrorismo»), il discorso resta in mano alla destra, che ne ha deciso
da tempo ordine e contenuto. Bisogna invece attaccare sulle cause della paura,
quindi mettere in discussione il significato stesso della parola «sicurezza».
C'è il terrorismo, indiscutibilmente, chiunque ne sia di volta in volta il
mandante. Su questo terreno c'è solo da augurarsi che quanti pensano che
il terrorismo sia figlio della guerra (un atroce feedback della violenza
coloniale che da sessant'anni sconvolge il Medioriente) non si lascino intimidire
e seguitino a sostenere tenacemente le ragioni della pace e dell'indipendenza
dei popoli. Ma non c'è soltanto il terrorismo. Le ansie, il sentimento della
aleatorietà del nostro vivere, l'ossessione della precarietà e della im-prevedibilità
di ogni stato di cose, tutto questo (che ha poi molto a che fare con il risorgere
di fremiti religiosi) nasce anche altrove, e oggi l?autonomia culturale e
politica della sinistra e di tutte le forze di progresso si misura proprio
sulla capacità di sostenere questa verità e di farla diventare senso comune.
Se viviamo in società assetate di sicurezza, ciò discende soprattutto dalle
condizioni reali in cui si svolge la nostra vita quotidiana, dall'incertezza
del e nel lavoro, dalla impossibilità materiale di progettare il futuro per
sé e per i propri figli, dalla coscienza che dopo il collasso della social
security un incidente o una malattia possono da un momento all'altro sconvolgere
definitivamente i nostri piani di vita. Di questo si tratta, in realtà. Anche
se, per un meccanismo tipico della coscienza, accade che la conseguenza venga
scissa dalla causa e ricondotta a una origine diversa.
0 il discorso sulla sicurezza sarà portato su questo terreno (sì da indurre
risposte concrete in materia di politicheeconomiche e sociali, a cominciare
dalla legislazione sul lavoro e dalla ricostruzione dei sistemi pubblici
di welfaré), o sarà inevitabile cooperare all'attuale deriva. Che non soltanto
alimenta l'ansia (le leggi «anti-terrorismo» materializzano stato di guerra
e giovano al prestigio ditutti gli integralismi), ma, per ciò stesso,fornisce
sempre nuova linfa a quella perversa «filosofia della pazienza» che è il
più micidiale dei veleni oggi in circolazione nel corpo delle nostre società.
Le torture e le «estradizioni speciali»? Pazienza, è necessario sconfiggere
il mostro terrorista. Le menzogne sulle armi di distruzione di massa? Pazienza,
Saddam era un tiranno e comunque ormai siamo in ballo. L'assassinio del povero
Jean Charles de Menezes, colpevole solo di non aver pagato il biglietto del
metrò (oltre che di avere la pelle di un colore sospetto)? Pazienza, a mali
estremi... I diritti umani, le Costituzioni, le garanzie,l'autonomia dei
Parlamenti e delle magistrature? Pazienza, non siamo forse in guerra?
La storia, com'è noto, non si ripete, ma resta il fatto che la catastrofe
del Novecento si verificò quando si riuscì a incanalare il consenso della
massa (ceti medi e vasti strati popolari) a sostegno di politiche reazionarie,
razziste e belliciste. Anche allora fu un fatto di paura, di ansie diffuse
da un intreccio di crisi economica, politica e morale. Oggi si ha l'impressione
che, certo in forme diverse, quel passato voglia tornare, e che il «secolo
breve» intenda vendicarsi di tante precipitose sentenze di archiviazione.
«Il sentimento della gente sta cambiando» ha osservato Ian Blair, capo della
Metropolitan Police di Londra, rallegrandosi del favore con cui l'opinione
pubblica ha accolto le nuove misure «anti-terrorismo». Proprio per questo
è urgente affrontare da un punto di vista critico la questione della sicurezza.
Il compito, va da sé, spetta in primo luogo alla sinistra di alternativa,
a quelle forze - per parlare del nostro paese - che non hanno contribuito
alla approvazione del «pacchetto Pisanu» e che, d'altra parte, hanno coscienza
del nesso che lega la paura alla guerra e alle devastazioni del cosiddetto
liberismo. Escano, queste forze, allo scoperto, lascino finalmente perdere
le liti sui leader e le liste, e cerchino convergenze avanzate sul terreno
dei progetti e degli impegni concreti. C'è un solo modo per uscire dall'incubo
in cui la «rivoluzione conservatrice» ci ha scagliati oltre vent'anni or
sono: ridare spazio alla speranza di un'altra società, diversa dal capitalismo,
ritrovare il coraggio di dire che il mercato è solo uno strumento e che non
è più il tempo del colonialismo e della guerra. Se non ora, quando?
alberto burgio

hasta siempre
ub

Ugo Beiso