[Incontrotempo] una lettera dai sovversivi

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Author: rafael@acrobax.org
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Subject: [Incontrotempo] una lettera dai sovversivi
...Se è così siamo tutti inquisiti, perché in decine di migliaia, in quelle
manifestazioni, abbiamo cercato di resistere alle cariche selvagge, ai blindati
lanciati a folle velocità, ai proiettili e alle manganellate. Perché anche noi
avremmo afferrato la prima cosa che ci è capitata per le mani, pur di impedire
a quel carabiniere rimasto sconosciuto, di puntare la pistola e sparare contro
un nostro fratello, come ebbe il coraggio di fare Carlo. Siamo tutti sovversivi
perché tutti abbiamo contestato il primato del profitto sull’umanità e
continuiamo a farlo nella materialità dei conflitti sociali che attraversano i
nostri territori...



http://italy.indymedia.org/news/2005/02/735859.php


Una lettera dai "sovversivi" del teorema "Fiordalisi" alla vigilia della terza
udienza del processo

CON PREGHIERA DI MASSIMA DIFFUSIONE

“La rivoluzione non è un diritto”
(citazione riportata nella memoria del pubblico ministero Domenico Fiordalisi)

“Cospirazione politica col fine di costituire un’associazione sovversiva di
almeno 20.000 persone… attentato all’ordine economico dello stato… istigazione
alla disobbedienza delle leggi dello stato…” sono le accuse per cui ci
processeranno (ormai è certo) presso il tribunale di Cosenza. Il 23 gennaio,
come si dice, il processo entra finalmente “nel vivo”. In realtà non c’è
ragione per cui il tribunale di Cosenza debba processarci per avvenimenti che
hanno avuto luogo altrove, ma tutto sommato è meglio così, che in un processo
politico la separatezza del potere si riproduca nell’arbitrio dei suoi
dispositivi.
A Cosenza ci processeranno per criminalizzare ed esorcizzare l’insorgenza
sociale che a Napoli e Genova nel 2001 li ha spaventati, ci processeranno
perché il falso in bilancio, gli abusi edilizi, gli affari coi mafiosi, tutto
quello che serve per arricchirsi può essere condonato, ma se una generazione si
mette in movimento spinta dall’insopprimibile esigenza di contrastare la guerra
e la miseria globale, allora questo non può essere “condonato”. Perciò una
parte del movimento dei movimenti oggi è nei tribunali, a rappresentare quella
moltitudine irrapresentabile. Siamo stati scelti secondo gli insondabili
criteri elettivi di zelanti pubblici ministeri come Domenico Fiordalisi. Come
risulta dalle carte processuali siamo stati scelti addirittura in maniera
“preventiva”, quando, prima che accadessero i fatti, si cercava già di
costruire i colpevoli. Andiamo alla sbarra per gratificare il lavoro di
apparati come i ros del generale Ganzer, ormai specializzati nella persecuzione
politica (oltre che nel traffico di cocaina…).
Il teorema Fiordalisi incardina un’ipotesi che descrive il movimento contro la
globalizzazione autoritaria e la guerra permanente come un’enorme e
verticistica macchinazione criminale, speculare probabilmente all’immaginario
culturale dei nostri accusatori. Il tentativo e’ di adattare ai nuovi movimenti
l’armamentario repressivo delle leggi d’emergenza e del codice fascista. Questo
teorema del resto è indispensabile per ribaltare le responsabilità storiche e
politiche sulla gravissima repressione che si è scatenata contro i movimenti
stessi, coi pestaggi di massa, le sevizie nelle caserme Raniero e Bolzaneto,
l’assalto alla scuola Diaz, l’uso di gas tossici e di armi da fuoco fino
all’assassinio del nostro fratello Carlo Giuliani. Il processo di Cosenza si
lega perciò indissolubilmente ai processi che presso il tribunale di Genova e
di Napoli cercano i colpevoli tra i manifestanti di quei controvertici,
confondendo volutamente la violenza delle “forze dell’ordine” con la resistenza
diffusa che essa ha provocato. Se è così siamo tutti inquisiti, perché in decine
di migliaia, in quelle manifestazioni, abbiamo cercato di resistere alle cariche
selvagge, ai blindati lanciati a folle velocità, ai proiettili e alle
manganellate. Perché anche noi avremmo afferrato la prima cosa che ci è
capitata per le mani, pur di impedire a quel carabiniere rimasto sconosciuto,
di puntare la pistola e sparare contro un nostro fratello, come ebbe il
coraggio di fare Carlo. Siamo tutti sovversivi perché tutti abbiamo contestato
il primato del profitto sull’umanità e continuiamo a farlo nella materialità
dei conflitti sociali che attraversano i nostri territori.
Se mettiamo in sequenza le scene di Praga, di Napoli, di Goteborg e di Genova
vediamo un processo che in forme bipartisan e sovranazionali cerca di
sterilizzare con la violenza degli stati la radicalità di una contestazione
arrivata ormai anche nelle metropoli dell’occidente. Chi programma ed esegue le
mattanze di Jenin o di Falluja ovviamente non tollera intralci. Nei giorni del
vertici internazionali abbiamo quindi visto all’opera quello “stato
d’eccezione”, quella sospensione dei diritti civili che quotidianamente si
riproduce nelle mille Guantanamo di cui è disseminato il pianeta. Chi vede
nelle giornate di Genova un parto esclusivo della destra neocons di Silvio
Berlusconi si attesta probabilmente su uno schema consolatorio che nei prossimi
anni riserverà altre spiacevoli “sorprese”.
In questi anni, nelle forme reticolari e autonome che gli sono proprie, il virus
di Genova si è diffuso da Melfi ad Acerra, da Scanzano a Termini Imerese,
“istigando a disobbedire alle leggi dello stato” quando queste devastano e
affamano i nostri territori, “attentando all’ordine economico” del neoliberismo
selvaggio, riproducendosi in libere associazioni di “almeno 20.000 persone”.
Troppo lavoro dottor Fiordalisi!
Inutile perciò cercare di dividerci in “sovversivi buoni” e “sovversivi
cattivi”… In un contesto in cui la paranoia securitaria si traduce ormai in
oltre 7000 procedimenti giudiziari contro la generazione di attivisti che in
questo paese ha ripreso voce e parola, la posta in palio è l’agibilità stessa
del conflitto sociale: lo dimostra la campagna di demonizzazione sulle
iniziative del precariato sociale del 6 novembre scorso. Una morsa soffocante
per un movimento chiamato oggi a interrogarsi su cosa significhi costruire la
resistenza sociale al modello di guerra permanente.
A chi ci è solidale diciamo perciò che non si può eludere questo nodo, che il
processo di Cosenza non è un evento eccezionale, ma un’eccezionale conferma
della blindatura autoritaria cui è sottoposta la società. La solidarietà deve
tradursi in mobilitazione contro la criminalizzazione dei movimenti e la
carcerizzazione del sociale, vincendo la tentazione comune alla destra e a
tanta parte del centrosinistra di usare il carcere come discarica sociale e i
tribunali come luoghi dove risolvere lo scontro politico.
Ai nostri accusatori diciamo che questo processo non ci terra’ in ostaggio.
Continueremo a batterci contro l’inumanità della guerra, la vergogna dei cpt,
la precarietà economica ed esistenziale in cui vorrebbero perimetrarci la vita.
Lo faremo al fianco delle centinaia di migliaia di persone che dal primo momento
si sono mobilitate quando gli arresti di Cosenza aggredirono clamorosamente il
movimento e che numerosissime sono tornate in piazza proprio a Cosenza il 27
novembre, quando pure i riflettori si erano spenti ma non, evidentemente, la
nuova consapevolezza della gente.
Voi, intanto, continuate pure a lavorare per noi.
Cosenza, 22 febbraio 05
I “sovversivi” di Cosenza