Lepoca della globalizzazione del capitale considera i cittadini quasi 
unicamente come consumatori, i cui desideri sono creati ad hoc dalla 
pubblicità e dal mercato.
Le società occidentali sono paragonabili ad un negozio di dolciumi, poiché 
il sovraccarico di bisogni indotti e facilmente appagabili dal consumismo 
rende la vita «punteggiata di attacchi di nausea e dolori di stomaco» (p. 
29), anche se i consumatori «non si curano di unaltra vita  una vita 
piena di rabbia e autodisprezzo  vissuta da quelli che, avendo le tasche 
vuote, guardano avidamente ai compratori attraverso la vetrina del negozio» 
(Ivi). Il consumismo produce nuove povertà: sempre meno persone hanno pari 
opportunità di istruzione, alimentazione, occupazione. Ci si rivolge ai 
poveri con compassione e turbamento, si tenta di esorcizzarne le 
ribellioni, la povertà compare spesso nelle piattaforme programmatiche dei 
vertici fra le potenze occidentali. In realtà, anche la povertà è 
funzionale al mercato, perché rappresenta, per così dire, la prova vivente 
di che cosa significhi essere liberi dallincertezza, per cui «la vista dei 
poveri impedisce ai non poveri di immaginare un mondo diverso» (p. 181). Ma 
Bauman osserva che la parte più ricca della società non può essere liberata 
«dallassedio della paura e dellimpotenza se la sua parte più povera non 
viene affrancata: non è questione di carità, di coscienza e di dovere 
morale, ma una condizione indispensabile (benché soltanto preliminare) per 
trasformare il deserto del mercato globale in una repubblica di cittadini 
liberi» (p. 179). Poiché il lavoro viene inteso esclusivamente come lavoro 
retribuito, il mercato non si pone la questione del reddito minimo 
garantito, mentre esso permetterebbe a tutti, non solo ai poveri, di 
migliorare la qualità della vita dedicandosi anche allotium, 
«determinerebbe nuovi criteri etici per la vita della società» (p. 186).
http://www.swif.uniba.it/lei/recensioni/swirt/globalizzazione/bauman2.htm