Da l'Unità del 01.06.2004
Manifestare: diritto e doveri
di Tom Benetollo
Bush è in arrivo. È una grande occasione per discutere di Iraq,
certo. Ma anche per parlare dell'America di oggi, della sua politica
di potenza - e delle possibili alternative. Per questo siamo tanto
impegnati a gettare ponti con quella parte degli Usa che si batte
per la pace, il diritto internazionale, la democrazia. Si preparano
centinaia di iniziative, dibattiti, manifestazioni.
Ormai sta dilagando una aspra critica al bushismo tra gli stessi
americani.
Non è vero che Michael Moore sia un personaggio anomalo, e che vinca
premi per questo. No. C'è un vento di cambiamento negli Stati Uniti,
che investe fasce larghe dell'opinione pubblica. È un vento che
arriva dagli incomprimibili polmoni dei movimenti per la pace Usa.
Essi sono una minoranza, è vero, ma rappresentano il lievito del
possibile pane buono dell'America. Con l'orecchio rivolto all'Iraq,
queste parole possono suonare astratte e politiciste. Ma se è vero
che le forze di pace nel mondo hanno un ruolo nel cercare di
imprimere una svolta, allora va detto che quel campo di pace non
sarà tale, e non sarà mai vincente, senza uno stretto rapporto con i
pacifisti americani.
Perciò è importante sentire, in questi giorni, gli incoraggiamenti
che vengono da oltreoceano. Bush è in Italia a onorare i caduti di
Anzio? Ma quei soldati, fratelli di quelli della Normandia e di
Stalingrado e dei partigiani, davvero non hanno nessun filo di
connessione al bushismo. Perché erano espressione di una alleanza
antifascista del tutto coerente - al di là delle differenze di
sistema - che aveva come obiettivo, abbattendo il nazifascismo, la
costruzione di un mondo nuovo. Un mondo libero dalla guerra, fondato
su Leggi internazionali che trovassero casa in un organismo
internazionale - sarà l'Onu. Un mondo in cui svolgessero un ruolo
primario i diritti umani (saranno sanciti nella Dichiarazione
universale del 1948). Un mondo in cui l'equità e il progresso
fossero esigibili da tutti.
Cosa rappresenta Bush, di tutto questo? Nulla. Ciò che vediamo è la
guerra preventiva, la violazione dei diritti umani, l'egoismo
sociale globalizzato dalla ricerca del massimo profitto eretto a
totem.
Perciò il movimento per la pace, in piena coerenza con l'iniziativa
svolta in questi anni, ha scelto di levare la sua protesta. Una
protesta civile e pacifica: il popolo dell'Articolo 11 che non si
rassegna.
Quella del 4 giugno, a Roma, è una giornata impegnativa. Si è creato
un clima molto pesante. Lo dico con nettezza: le forze politiche,
sociali, di movimento che partecipano all'iniziativa del 4 giugno
possono dire che quel clima lo stanno subendo. E fanno bene a
rispondere in nome dei diritti democratici.
Bisogna rimettere le cose con i piedi per terra. Intanto ribadendo
che manifestare è un diritto costituzionale. E aggiungendo che il
diritto alla sicurezza ce l'ha anche chi manifesta. Allora la
domanda è: quali informazioni possiede il Ministro Pisanu per dare
un così forte allarme, come ha fatto nei giorni scorsi? Il Ministro
ha la responsabilità massima nel garantire la sicurezza alla
collettività. Aggiungerei che, in un rapporto trasparente, il
Ministro dovrebbe informare in termini precisi gli stessi
organizzatori della manifestazione, e dire quali misure intende
prendere per tutelare la manifestazione.
Giustamente, un gruppo di parlamentari è impegnato in un lavoro di
raccordo con le autorità preposte. Il prefetto Achille Serra è stato
protagonista, nella garanzia democratica dell'ordine pubblico, di un
altro evento - quello che ha dato vita alla straordinaria esperienza
del Forum Sociale Europeo - su cui si era esercitata una pressione
enorme. Quella via va percorsa ancora.
A chi reclama dal movimento sempre nuove dichiarazioni di volontà di
manifestare pacificamente, la risposta, scritta e formale, è già
stata data da "Fermiamo La Guerra". La nostra sarà una risposta di
civiltà, pacifica e opposta alla barbarie della guerra. È una chiara
espressione di cultura della responsabilità. E a proposito di
responsabilità, sia chiaro che ciascuno si assume la propria: per le
parole e le azioni di cui appunto è responsabile.
La vasta Vandea dell'informazione è pronta a mettere a disposizione
i suoi anfratti per il rettilario. Il movimento sta imparando a
tenere gli occhi aperti. Ogni ingenuità l'ha pagata cara. Né parole
né atti che possano favorire l'Escalation della tensione fanno bene
al movimento, alla sua tenuta plurale, alla sua prospettiva di
allargamento del consenso e della partecipazione. Senza consenso e
partecipazione non c'è politica. E se la pace non è un progetto
politico, semplicemente sarà impossibile ottenerla.
Quanto a chi sarà assente in piazza il 4 giugno: in alcuni casi si
tratta di una scelta limpida, politica e culturale. La rispetto
sinceramente. Ma si vedono anche forze che considerano il movimento
come un pullman dove si sale solo per andare a far festa, a
guadagnare consensi, a dire parole solenni. Verso questi pacifisti,
Giacomo Matteotti ebbe parole aspre: ne conosceva anche lui più
d'uno, che in mezzo a grandi masse era contrario all'entrata
dell'Italia nella prima guerra mondiale, e che cambiava opinione nei
palazzi e a contatto con il re. Ricordiamo anche questo, di
Matteotti, perché l' impegno antifascista che lo ha portato al
sacrificio era pieno di autentica moralità politica di pace.
Teniamo duro, passiamo con integrità e coerenza la sfida del 4
giugno. Guardiamo anche alle elezioni del 13 giugno, per fare delle
nostre città delle città di pace, e per spingere l'Unione Europea ad
esserlo altrettanto sulla scala più ampia. Abbiamo davvero molta
strada da fare.
presidente nazionale Arci
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