«Picchiati per razzismo»
Conclusa l'inchiesta per i pestaggi al cpt di San Foca. Pesanti accuse a don
Cesare Lodeserto
ORNELLA BELLUCCI
LECCE
«Ci hanno sputato in faccia dicendoci: qui non vi salvate». La testimonianza
di Montassar Suiden, insieme alle altre, è nel fascicolo d'inchiesta aperto
dalla procura di Lecce per far luce sui fatti consumati all'interno del cpt
di San Foca: «Don Cesare mi ha preso la testa, mi ha sbattuto contro un muro
e mi ha colpito più volte con un manganello. Mi ha anche costretto ad
ingoiare carne di maiale durante il Ramadan». Le indagini preliminari sono
praticamente terminate e le conclusioni del pm Carolina Elia propendono per
la richiesta di rinvio a giudizio degli indagati, tra i quali il gestore del
centro don Cesare Lodeserto. Richiesta che dovrebbe essere sottoposta al
vaglio del Gip all'inizio dell'autunno. Sono 17 i maghrebini che hanno
denunciato di essere stati pestati dai gestori del centro di detenzione per
immigrati dopo aver cercato di evadere lo scorso 22 novembre. Il tentativo
di evasione, andato a vuoto, aveva coinvolto 40 nordafricani e si era
ufficialmente concluso con sette feriti e un arresto. Poi erano arrivate le
denunce di violenze da parte di diversi fuggiaschi. Puniti, si legge nel
fascicolo d'inchiesta, «per un tentativo di fuga», oltraggiati «in spregio
alle loro convinzioni religiose». Lesioni personali, violenza privata, abuso
dei mezzi di correzione e ingiurie: questi i reati contestati dal pm
Carolina Elia a don Cesare Lodeserto, direttore del Regina Pacis, a cinque
membri del suo staff e ad undici carabinieri in servizio al centro. Sul
registro degli indagati figurano anche i nomi di due medici dell'infermeria
interna, che avrebbero prodotto referti falsi sulle condizioni dei
trattenuti. Per loro l'accusa è di falso ideologico.
Pesanti le conclusioni delle indagini, sia per la formulazione dell'accusa
che per il tipo di violenza accertata. Gli imputati, a partire dal 15
settembre, avranno 20 giorni per depositare memorie, per chiedere di essere
interrogati e per presentare ulteriori richieste di prova, insomma per
produrre quanto possa essere utile alla loro difesa. «Un termine solo
formale», spiega Marcello Petrelli, legale di 12 dei 17 denuncianti. «Non ci
sono elementi per l'archiviazione, ora attendiamo il rinvio a giudizio».
Ma uno dei reati contestati dalla pubblica accusa - l'eccesso dei mezzi di
correzione - sembra debole. Un assunto che si evince dal bilancio
complessivo dell'inchiesta. «Si tratta di un reato - aggiunge Petrelli - che
presupporrebbe una situazione in cui è previsto l'uso di mezzi di
correzione. Ma il Regina Pacis non è una famiglia né un collegio. Dalla
descrizione della condotta degli imputati resa dal pm si capisce che il
reato da applicare dev'essere un altro: quello di violenza esercitata per
motivi religiosi, etnici e razziali». La legge Mancino, insomma.
«Macchinazioni calcolate», è la dichiarazione che dispensa Lodeserto. «Ora
più che mai - insiste - occorre fare silenzio». Che «la verità verrà a
galla» glielo lasciano dire tutti i giorni i media vicini alla potente curia
leccese.
Intanto i 17 denuncianti sono titolari di un permesso di soggiorno per
motivi di giustizia, almeno sino a settembre. Sul caso Regina Pacis il
deputato verde Mauro Bulgarelli ha firmato ben quattro interrogazioni
parlamentari. «Le conclusioni dell'inchiesta - dichiara il parlamentare -
confermano quanto abbiamo visto in quel centro subito dopo il tentativo di
fuga: vidi persone con ecchimosi in varie parti del corpo, decisamente
provate da quello che è risultato poi essere, anche nell'indagine, un vero e
proprio pestaggio che viola tutti i diritti e la dignità delle persone,
anche se sottoposte a temporanea privazione della libertà individuale». Un
fatto di routine nei centri di detenzione per migranti. «Insieme a quello di
Bologna - continua Bulgarelli - il caso Regina Pacis ci permette di riaprire
in sede istituzionale la questione cpt. Veri e propri lager, nonostante ciò
che pensa il sottosegretario agli interni Alfredo Mantovano».
http://www.ilmanifesto.it/oggi/art71.html