> Ciao a tutt*,
> vi inoltro un piccolo testo che ho scritto per
> raccontare delle
> impressioni/sensazioni vissute in palestina: per le
> compagn* di milano, di
> fatto coincide con il mio intervento venerdi scorso.
>
>
> un abbraccio forte e a SABATO!
> marco[protagonismolei]
>
>
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> ***
>
> Appena tornato dalla Palestina, mi ha fatto molto
> piacere che mi si
> chiedesse di raccontare della nostra esperienza da
> un punto di vista
> personale: non aspettavo che questo!
> Inoltre, se è vero che già normalmente non maneggio
> con piena padronanza
> certe categorie filosofiche del pensiero e della
> politica, in questo caso
> sono ben contento di potermene astenere, data la
> difficoltà di sviscerare le
> stratificazioni di un conflitto si può dire eterno e
> data la brevità della
> mia visita.
> Come accennato in una mia precedente e-mail, la
> terra di Palestina ha
> colpito un occhio involontariamente 'morboso' - il
> mio - per la sua asprezza
> e per il suo trasmettere una sensazione di
> precarietà e di degenerazione,
> come fa il corpo vivente di un malato. La terra che
> tre monoteismi credono
> 'santa' mi ha colpito piuttosto perché carnale,
> secolare, lucida nelle forti
> emozioni e passioni che anima. Un genere di istinti
> e contraddizioni che ho
> trovato anche in me stesso - forse la mia parte
> peggiore, ma pur sempre
> parte della mia umana vulnerabilità.
> Una terra e la sua gente, che mi ha affascinato per
> i tanti colori, usi e
> costumi: boccoli e pastrani, barbe e tafani,
> cappelli di pelliccia e veli,
> ma soprattutto occhi, sguardi dall'arancio al verde,
> dal blu al nero al
> giallo. Sguardi che si sono spesso posati su di noi,
> in maniera non velata
> ma nemmeno indiscreta; spesso sorridente e a volte
> divertita. Personalmente,
> mi ha toccato forte il contatto con la gente di
> Palestina, tanto con le
> vittime che con i loro carnefici, che ho voluto
> vedere come vittime anch'
> esse di un eterno gioco di ruolo tra cowboy e
> indiani, ossia vittime di un
> meccanismo perverso di costrizione delle
> individualità, una militarizzazione
> dei rapporti che non lascia scampo, in un quadro di
> ostinata occupazione
> militare, economica, sociale.
> La tensione dell'emergenza nei rapporti ha colpito
> anche me e anche noi di
> queerforpeace: ogni riunione, ogni discussione era
> urlata, portata all'
> estremo nelle parole e nelle opinioni - queste
> ultime sempre,
> inevitabilmente nette e contrapposte. O bianco o
> nero ovvero - e questo mi
> succede anche in Italia - o pro-palestinese oppure,
> per sottrazione,
> pro-israeliano, quasi con piena rivendicazione delle
> pratiche violente ed
> omicide della parte 'prescelta'.
> A me - cui piacerebbe potere avere un'opinione
> 'altra' rispetto a questa
> dicotomia, preme piuttosto raccontare di un'altra
> sensazione vissuta in
> terra di Palestina, quella 'del corpo in prima
> linea'. Il corpo ingaggiato
> in una quotidiana lotta - a partire dall'aeroporto
> Ben-Gurion - per potere
> esserci, potere vedere, potere parlare e poi
> raccontare - cioè sopravvivere.
> Allo stesso tempo, il corpo come strumento di
> approccio e conoscenza e
> idealmente - attraverso l'interposizione sessuale da
> me sperimentata - di
> avvicinamento e conciliazione dei due popoli.
> Samér, il ragazzo palestinese gay che abbiamo
> conosciuto, mi ha detto - a
> tavola, poche ore dopo averci incontrato - di stare
> meglio con noi che con i
> suoi amici. Io ho raccolto in maniera fintamente
> disinvolta questa
> confidenza così spietata e l'ho confrontata con
> quella fattami da Eshel,
> poche ore prima: per lui, israeliano, era strano
> baciarmi sentendo intorno a
> sé voci in ebraico. Ancora una volta mi sono reso
> conto di come 'un gaio
> mondo' non sia solo possibile, ma addirittura
> urgente!
> [...]
> Una volta tornato a casa, a Bologna, ho considerato
> per un attimo di non
> riprendere la mia vita usuale, di non vedere gli
> amici - per potere ancora
> soffermarmi a pensare all'esperienza vissuta, senza
> dovere affrontare, tutte
> insieme le loro domande.
> Di ritorno da quel fronte, la protettiva familiarità
> delle retrovie mi è
> sembrata, per alcune interminabili ore,
> insopportabile, perché ipocrita.
> Quel conflitto nasce anche da noi, da un'Europa che
> ha sempre sostenuto la
> necessità di una riserva per quegli ebrei che aveva
> scomunicato, isolato,
> allontanato e infine sterminato. Quel conflitto
> siamo anche noi perché è
> immediato il rifiuto nei confronti di quella
> occupazione - noi vogliamo,
> altro: make love your only occupation!
>
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