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Contrastare l'ondata di odio
Tim Robbins
17 aprile 2003
Trascrizione del discorso tenuto dall'attore Tim Robbins al National Press
Club di Washington, D.C., il 15 aprile 2003.
Mi era stato chiesto di parlare della guerra e della situazione politica
attuale, ma ho deciso di sfruttare l'opportunità per parlare del baseball e
del mondo dello spettacolo. No, sto scherzando. Più o meno.
Non ho parole per esprimere la mia commozione per l'incredibile sostegno
morale offerto dai giornali di tutto il paese negli ultimi giorni. Non mi
illudo che tutti questi giornalisti condividano il mio punto di vista sulla
guerra. Quando la mia partecipazione a Cooperstown è stata annullata, so che
i giornalisti si sono indignati per difendere non tanto le mie idee, quanto
il mio diritto di esprimerle. Sono infinitamente grato a tutti quelli tra
voi che credono ancora con forza al valore dei diritti garantiti dalla
Costituzione. Abbiamo bisogno di voi giornalisti, ora più che mai. Questo è
un momento critico per tutti noi.
Nonostante l'orrore e la tragedia dell'11 settembre, c'è stato un breve
periodo in seguito in cui ho nutrito una grande speranza. Tra le lacrime e i
volti sconvolti dei newyorkesi, nell'aria letale che respiravamo mentre
lavoravamo a Ground Zero, di fronte al terrore dei miei figli nel trovarsi
così vicini a questo crimine contro l'umanità, in mezzo a tutto questo mi
aggrappavo a un barlume di speranza, nell'ingenua convinzione che da tutto
ciò potesse nascere qualcosa di buono. Mi immaginavo i nostri leader
cogliere questo momento di unità in America, questo momento in cui nessuno
aveva voglia di parlare di democratici contro repubblicani, di bianchi
contro neri o di nessuna delle altre ridicole divisioni che dominano il
dibattito pubblico.
Mi immaginavo i nostri leader andare in televisione e dire ai cittadini che,
sebbene tutti vogliano essere a Ground Zero, questo non è possibile. Ma c'è
del lavoro da fare in tanti altri posti in America. C'è bisogno del nostro
aiuto nei centri di assistenza sociale, per seguire i bambini e insegnare
loro a leggere, c'è bisogno del nostro lavoro negli ospizi, per fare visita
a chi è solo e infermo, nei quartieri degradati per ricostruire gli alloggi
e risanare le aree verdi e convertire terreni abbandonati in campi di
baseball.
Mi immaginavo il nostro governo raccogliere questa incredibile energia,
questa generosità di spirito, e far sorgere in America una nuova unità nata
dal caos e dalla tragedia dell'11 settembre. Una nuova unità che avrebbe
mandato un messaggio ai terroristi, ovunque essi fossero: se ci attaccate
noi diventiamo più forti, più puri, più istruiti, più uniti. I vostri
disumani attacchi rafforzeranno il nostro impegno a sostenere la giustizia e
la democrazia. Rinasceremo dal fuoco, come la fenice.
Poi è arrivato il discorso: "Chi non è con noi è contro di noi". E sono
cominciati i bombardamenti. Ed è stata restaurata la vecchia logica, nel
momento in cui i nostri governanti ci incoraggiavano a mostrare il nostro
patriottismo andando a fare shopping e facendo volontariato in gruppi la cui
attività consisteva nel denunciare i vicini che avessero mostrato
comportamenti sospetti.
Nei 19 mesi trascorsi dall'11 settembre abbiamo visto la nostra democrazia
compromessa dalla paura e dall'odio. Diritti fondamentali inalienabili,
giusti processi, l'inviolabilità del domicilio privato, tutto ciò è stato
messo in discussione in un clima di paura. Una cittadinanza americana
riunita si è presto aspramente divisa, e una popolazione mondiale che ci
offriva solidarietà e sostegno ora ci disprezza e diffida di noi,
giudicandoci come noi giudicavamo una volta l'Unione Sovietica: uno stato
canaglia.
Lo scorso weekend Susan, io e i tre bambini siamo andati in Florida per una
specie di riunione di famiglia. Si è bevuto, si è ballato, i bambini sono
andati a caccia di dolci e, naturalmente, si è parlato della guerra. La cosa
che più mi ha impressionato è stata il numero di volte in cui siamo stati
ringraziati per esserci apertamente opposti alla guerra, perché la persona
che ci ringraziava non si sentiva sicura a farlo nella propria comunità, nel
proprio ambiente. "Continuate a parlare. Io non ho potuto aprire bocca."
Un parente mi ha riferito che l'insegnante di storia di suo figlio
undicenne, mio nipote, ha detto ai suoi alunni che Susan Sarandon stava
mettendo in pericolo i soldati con la sua opposizione alla guerra. Un altro
insegnante in un'altra scuola ha chiesto a nostra nipote se intendevamo
assistere alla recita scolastica. "Non sono graditi qui", ha detto il
formatore delle giovani menti.
Un altro parente mi ha riferito della decisione di un consiglio scolastico
di annullare un evento locale in cui era previsto un minuto di silenzio per
i morti in guerra perché gli studenti intendevano includere nella loro
preghiera silenziosa anche le vittime civili irachene. Un insegnante nella
scuola di un altro nipote è stato licenziato perché indossava una maglietta
con il simbolo della pace. E un amico di famiglia mi ha riferito di aver
ascoltato un programma di una radio al sud il cui conduttore istigava
all'omicidio di un noto attivista pacifista.
Sono state ritrovate minacce di morte sulle porte delle abitazioni di altri
pacifisti che si sono schierati contro la guerra. Vi sono nostri parenti che
hanno ricevuto telefonate e messaggi e-mail di minaccia. Mio figlio
tredicenne, che non ha fatto nulla a nessuno, è stato messo in imbarazzo e
umiliato da un leccapiedi sadico che scrive, o piuttosto imbratta, i suoi
articoli intingendo le dita nella melma.
Susan e io siamo stati etichettati come traditori, sostenitori di Saddam e
vari altri epiteti dalla cartaccia scandalistica australiana che si fa
passare per giornalismo e dai loro "imparziali ed equilibrati" cugini in
formato elettronico, 19th Century Fox. Le nostre scuse a Gore Vidal.[1] Due
settimane fa, la United Way ha annullato la partecipazione di Susan a una
conferenza sulla leadership femminile, mentre la settimana scorsa ci è stato
detto che né noi, né il Primo Emendamento eravamo graditi alla Baseball Hall
of Fame.
Un famoso cantante rock mi ha chiamato la scorsa settimana per ringraziarmi
di essermi espresso apertamente contro la guerra, per poi andare avanti a
dirmi che lui non poteva parlare perché temeva ripercussioni da Clear
Channel. "Sono loro a promuovere le nostre apparizioni ai concerti", ha
detto. "Possiedono la maggior parte delle stazioni che trasmettono la nostra
musica. Non posso oppormi apertamente alla guerra." E qui a Washington Helen
Thomas[2] si è vista bandita in una posizione marginale ed esclusa dai media
dopo aver chiesto ad Ari Fleisher se, quando abbiamo mostrato in televisione
i prigionieri di guerra nella Baia di Guantanamo, abbiamo violato la
Convenzione di Ginevra.
Un vento gelido soffia sulla nostra nazione. La Casa Bianca e i suoi alleati
nei dibattiti radiofonici in Clear Channel e in Cooperstown stanno mandando
un messaggio: "Se vi opponete a questa amministrazione, ci potranno essere e
ci saranno delle conseguenze." Giorno dopo giorno radio e TV si riempiono di
avvertimenti, minacce più o meno velate, rigurgiti di invettive e odio
indirizzati a ogni voce di dissenso. E i cittadini, come tanti parenti e
amici che ho visto questo weekend, vivono la loro opposizione in silenzio,
paralizzati dalla paura.
Ne ho abbastanza di sentir dire che Hollywood sarebbe contro la guerra. I
pezzi grossi di Hollywood, quelli che hanno il potere e i divi da copertina,
hanno in gran parte taciuto sulla questione. Ma Hollywood, come idea, è
sempre stata un comodo bersaglio.
Ricordo che, quando ci furono le sparatorie nella scuola superiore
Columbine, il presidente Clinton criticò Hollywood per aver contribuito a
quella terribile tragedia. E questo mentre stavamo sganciando bombe sul
Kosovo. Non può darsi che le azioni violente dei nostri leader
contribuiscano in parte alle fantasie violente dei nostri adolescenti? O è
tutta colpa di Hollywood e del rock and roll?
Mi ricordo di aver letto, all'epoca, che uno degli omicidi aveva tentato di
arruolarsi per la guerra vera una settimana prima di mettere in scena la sua
personale e più che realistica guerra alla Columbine. Allora parlai di ciò
alla stampa e, curiosamente, nessuno mi accusò di antipatriottismo per aver
criticato Clinton. Anzi, gli stessi patrioti radiofonici che oggi ci
chiamano traditori erano impegnati in attacchi personali quotidiani al loro
presidente durante la guerra in Kosovo.
Recentemente, politici di spicco che hanno biasimato la violenza nei film
(quelli che non perdono occasione per dare la colpa a Hollywood) hanno dato
il loro voto per attribuire all'attuale presidente il potere di scatenare la
violenza vera in questa guerra. Vogliono farci smettere la finzione della
violenza, ma danno il loro benestare alla violenza nella realtà. E le stesse
persone che tollerano la violenza vera della guerra non vogliono vedere i
suoi effetti al telegiornale della sera. A differenza del resto del mondo, i
nostri reportage di guerra sono sterilizzati e non lasciano intravedere
l'aspetto cruento, la morte e il sangue tra i nostri soldati e tra le donne
e i bambini iracheni. La violenza come concetto, come astrazione.
È molto strano. Mentre applaudiamo il crudo realismo della scena di
battaglia iniziale di Salvate il soldato Ryan, rifuggiamo al pensiero di
vedere le stesse scene al telegiornale serale. Ci dicono che sarebbe
pornografia. Non vogliamo vedere la realtà nella vita reale. Chiediamo che
la guerra sia accuratamente riprodotta sullo schermo, ma che resti
immaginata e concettualizzata nella vita reale.
E nel mezzo di tutta questa follia, dov'è l'opposizione politica? Dove sono
andati tutti i democratici? Svaniti ormai da tempo? Con tante scuse a Robert
Byrd,[3] devo dire che è piuttosto imbarazzante vivere in un paese dove un
attore comico alto un metro e 55 ha più fegato della maggior parte dei
politici. Abbiamo bisogno di leader, non di pragmatisti che si inchinano
davanti alle trasmissioni faziose di ex giornalisti da intrattenimento.
Abbiamo bisogno di governanti che capiscano la Costituzione, di
rappresentanti del Congresso che non abdichino, in un momento di paura, al
loro potere più importante, quello di dichiarare guerra, delegandolo
all'esecutivo. E per favore, il Congresso potrebbe smetterla con il suo coro
conformista?
In questo momento in cui i cittadini applaudono alla liberazione di un paese
mentre vivono nella paura per le proprie libertà, quando un funzionario
dell'amministrazione attacca un veterano del Vietnam mutilato candidato al
Congresso, mettendo in discussione il suo patriottismo, quando la gente in
tutto il paese teme rappresaglie se fa uso del proprio diritto a esprimersi
liberamente, è arrivata l'ora di arrabbiarsi. È giunto il momento di tirare
fuori le unghie. Non ci vuole molto per invertire la tendenza. Mio nipote
undicenne, di cui ho parlato prima, un ragazzino timido che non prende mai
la parola in classe, ha tenuto testa al suo insegnante di storia che stava
mettendo in questione il patriottismo di Susan. "Sta parlando di mia zia. La
smetta!" E l'insegnante, preso in contropiede, ha fatto marcia indietro,
cominciando a balbettare complimenti imbarazzato.
I giornalisti sportivi in tutto il paese hanno reagito con tale veemenza
alla decisione della Hall of Fame che il suo presidente ha infine ammesso di
aver commesso un errore, mentre la Major League Baseball negava qualsiasi
coinvolgimento nelle azioni del presidente della Hall. Un bullo può essere
fermato, così come una folla pronta al linciaggio. Quello che ci vuole è una
persona con il necessario coraggio e una voce risoluta. I giornalisti in
questo paese possono contrattaccare quelli che vorrebbero riscrivere la
nostra Costituzione con il PATRIOT Act II, o Patriot II, La vendetta, come
diremmo a Hollywood. Contiamo su di voi come attori del film.
I giornalisti possono rifiutare di essere utilizzati come agenti
pubblicitari da questa amministrazione. Il prossimo corrispondente per la
Casa Bianca ad essere contattato da Ari Fleischer dovrebbe rimandarlo al
giornalista bandito del giorno. Dobbiamo combattere ogni tentativo di
intimidazione nei confronti di chi fa uso della propria libertà di parola.
Qualsiasi forma di acquiescenza all'intimidazione provocherà a questo punto
solo ulteriore intimidazione. Volenti o nolenti, voi avete una
responsabilità enorme e un enorme potere. Il destino del discorso pubblico,
lo stato di salute di questa repubblica è nelle vostre mani, che le opinioni
che esprimete siano di destra o di sinistra.
Questo è il vostro momento e il destino che avete scelto. Affidiamo la
continuazione della democrazia al vostro lavoro e contiamo sul potere della
vostra penna. Milioni di persone guardano e aspettano in silenzio, tra
frustrazione e speranza. Sperano che qualcuno difenda lo spirito e la
lettera della nostra Costituzione e sfidi le intimidazioni a cui siamo
giornalmente sottoposti nel nome della sicurezza nazionale e di un concetto
distorto di patriottismo.
Il nostro riconoscimento dell'inalienabile diritto al dissenso, alla messa
in discussione dei nostri governanti e alla critica del loro operato
definisce la nostra stessa identità. Consentire che questi diritti ci
vengano sottratti per paura, punire le persone per le loro convinzioni,
limitare l'accesso ai mezzi di comunicazione di chi sostiene opinioni
discordanti, significa riconoscere la sconfitta della nostra democrazia.
Questi tempi ci pongono davanti a una sfida. C'è un'ondata di odio che tenta
di dividerci, destra e sinistra, favorevoli e contrari alla guerra. Nel nome
di mio nipote undicenne e di tutte le altre vittime più o meno note di
questo clima di paura, ostile e sterile, cerchiamo di ritrovare i nostri
valori comuni. Celebriamo insieme questo grande e glorioso esperimento,
sopravvissuto per 227 anni. A tal fine dobbiamo onorare i principi che ci
uniscono e difenderli senza abbassare la guardia. Come la libertà, il Primo
Emendamento e, perché no, il baseball.
© 2003 Independent Media Institute. Tutti i diritti riservati.
----------------------------------------------------------------------------
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[1] Scrittore che sostiene la tesi che l'amministrazione Bush fosse a
conoscenza degli attacchi dell'11 settembre e abbia intenzionalmente
lasciato fare (NdT).
[2] Corrispondente da lungo tempo della Casa Bianca.
[3] Senatore democratico che si è espresso contro la guerra (NdT).
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<P><TT><A href="
http://www.alternet.org/print.html?StoryID=15673">
http://www.alternet.org/print.html?StoryID=15673</A><BR><BR><BR><BR>Contrastare l'ondata di odio<BR><BR>Tim Robbins<BR><BR>17 aprile 2003<BR><BR><BR><BR>Trascrizione del discorso tenuto dall'attore Tim Robbins al National Press<BR>Club di Washington, D.C., il 15 aprile 2003.<BR><BR><BR><BR>Mi era stato chiesto di parlare della guerra e della situazione politica<BR>attuale, ma ho deciso di sfruttare l'opportunità per parlare del baseball e<BR>del mondo dello spettacolo. No, sto scherzando. Più o meno.<BR><BR><BR><BR>Non ho parole per esprimere la mia commozione per l'incredibile sostegno<BR>morale offerto dai giornali di tutto il paese negli ultimi giorni. Non mi<BR>illudo che tutti questi giornalisti condividano il mio punto di vista sulla<BR>guerra. Quando la mia partecipazione a Cooperstown è stata annullata, so che<BR>i giornalisti si sono indignati per difendere non tanto le mie idee, quanto<BR>il mio diritto di esprimerle. Sono infinitamente grato a tutti quelli tra<BR>voi che credono ancora con forza al valore dei diritti garantiti dalla<BR>Costituzione. Abbiamo bisogno di voi giornalisti, ora più che mai. Questo è<BR>un momento critico per tutti noi.<BR><BR><BR><BR>Nonostante l'orrore e la tragedia dell'11 settembre, c'è stato un breve<BR>periodo in seguito in cui ho nutrito una grande speranza. Tra le lacrime e i<BR>volti sconvolti dei newyorkesi, nell'aria letale che respiravamo mentre<BR>lavoravamo a Ground Zero, di fronte al terrore dei miei figli nel trovarsi<BR>così vicini a questo crimine contro l'umanità, in mezzo a tutto questo mi<BR>aggrappavo a un barlume di speranza, nell'ingenua convinzione che da tutto<BR>ciò potesse nascere qualcosa di buono. Mi immaginavo i nostri leader<BR>cogliere questo momento di unità in America, questo momento in cui nessuno<BR>aveva voglia di parlare di democratici contro repubblicani, di bianchi<BR>contro neri o di nessuna delle altre ridicole divisioni che dominano il<BR>dibattito pubblico.<BR><BR><BR><BR>Mi immaginavo i nostri leader andare in televisione e dire ai cittadini che,<BR>sebbene tutti vogliano essere a Ground Zero, questo non è possibile. Ma c'è<BR>del lavoro da fare in tanti altri posti in America. C'è bisogno del nostro<BR>aiuto nei centri di assistenza sociale, per seguire i bambini e insegnare<BR>loro a leggere, c'è bisogno del nostro lavoro negli ospizi, per fare visita<BR>a chi è solo e infermo, nei quartieri degradati per ricostruire gli alloggi<BR>e risanare le aree verdi e convertire terreni abbandonati in campi di<BR>baseball.<BR><BR><BR><BR>Mi immaginavo il nostro governo raccogliere questa incredibile energia,<BR>questa generosità di spirito, e far sorgere in America una nuova unità nata<BR>dal caos e dalla tragedia dell'11 settembre. Una nuova unità che avrebbe<BR>mandato un messaggio ai terroristi, ovunque essi fossero: se ci attaccate<BR>noi diventiamo più forti, più puri, più istruiti, più uniti. I vostri<BR>disumani attacchi rafforzeranno il nostro impegno a sostenere la giustizia e<BR>la democrazia. Rinasceremo dal fuoco, come la fenice.<BR><BR><BR><BR>Poi è arrivato il discorso: "Chi non è con noi è contro di noi". E sono<BR>cominciati i bombardamenti. Ed è stata restaurata la vecchia logica, nel<BR>momento in cui i nostri governanti ci incoraggiavano a mostrare il nostro<BR>patriottismo andando a fare shopping e facendo volontariato in gruppi la cui<BR>attività consisteva nel denunciare i vicini che avessero mostrato<BR>comportamenti sospetti.<BR><BR><BR><BR>Nei 19 mesi trascorsi dall'11 settembre abbiamo visto la nostra democrazia<BR>compromessa dalla paura e dall'odio. Diritti fondamentali inalienabili,<BR>giusti processi, l'inviolabilità del domicilio privato, tutto ciò è stato<BR>messo in discussione in un clima di paura. Una cittadinanza americana<BR>riunita si è presto aspramente divisa, e una popolazione mondiale che ci<BR>offriva solidarietà e sostegno ora ci disprezza e diffida di noi,<BR>giudicandoci come noi giudicavamo una volta l'Unione Sovietica: uno stato<BR>canaglia.<BR><BR><BR><BR>Lo scorso weekend Susan, io e i tre bambini siamo andati in Florida per una<BR>specie di riunione di famiglia. Si è bevuto, si è ballato, i bambini sono<BR>andati a caccia di dolci e, naturalmente, si è parlato della guerra. La cosa<BR>che più mi ha impressionato è stata il numero di volte in cui siamo stati<BR>ringraziati per esserci apertamente opposti alla guerra, perché la persona<BR>che ci ringraziava non si sentiva sicura a farlo nella propria comunità, nel<BR>proprio ambiente. "Continuate a parlare. Io non ho potuto aprire bocca."<BR><BR><BR><BR>Un parente mi ha riferito che l'insegnante di storia di suo figlio<BR>undicenne, mio nipote, ha detto ai suoi alunni che Susan Sarandon stava<BR>mettendo in pericolo i soldati con la sua opposizione alla guerra. Un altro<BR>insegnante in un'altra scuola ha chiesto a nostra nipote se intendevamo<BR>assistere alla recita scolastica. "Non sono graditi qui", ha detto il<BR>formatore delle giovani menti.<BR><BR><BR><BR>Un altro parente mi ha riferito della decisione di un consiglio scolastico<BR>di annullare un evento locale in cui era previsto un minuto di silenzio per<BR>i morti in guerra perché gli studenti intendevano includere nella loro<BR>preghiera silenziosa anche le vittime civili irachene. Un insegnante nella<BR>scuola di un altro nipote è stato licenziato perché indossava una maglietta<BR>con il simbolo della pace. E un amico di famiglia mi ha riferito di aver<BR>ascoltato un programma di una radio al sud il cui conduttore istigava<BR>all'omicidio di un noto attivista pacifista.<BR><BR><BR><BR>Sono state ritrovate minacce di morte sulle porte delle abitazioni di altri<BR>pacifisti che si sono schierati contro la guerra. Vi sono nostri parenti che<BR>hanno ricevuto telefonate e messaggi e-mail di minaccia. Mio figlio<BR>tredicenne, che non ha fatto nulla a nessuno, è stato messo in imbarazzo e<BR>umiliato da un leccapiedi sadico che scrive, o piuttosto imbratta, i suoi<BR>articoli intingendo le dita nella melma.<BR><BR><BR><BR>Susan e io siamo stati etichettati come traditori, sostenitori di Saddam e<BR>vari altri epiteti dalla cartaccia scandalistica australiana che si fa<BR>passare per giornalismo e dai loro "imparziali ed equilibrati" cugini in<BR>formato elettronico, 19th Century Fox. Le nostre scuse a Gore Vidal.[1] Due<BR>settimane fa, la United Way ha annullato la partecipazione di Susan a una<BR>conferenza sulla leadership femminile, mentre la settimana scorsa ci è stato<BR>detto che né noi, né il Primo Emendamento eravamo graditi alla Baseball Hall<BR>of Fame.<BR><BR><BR><BR>Un famoso cantante rock mi ha chiamato la scorsa settimana per ringraziarmi<BR>di essermi espresso apertamente contro la guerra, per poi andare avanti a<BR>dirmi che lui non poteva parlare perché temeva ripercussioni da Clear<BR>Channel. "Sono loro a promuovere le nostre apparizioni ai concerti", ha<BR>detto. "Possiedono la maggior parte delle stazioni che trasmettono la nostra<BR>musica. Non posso oppormi apertamente alla guerra." E qui a Washington Helen<BR>Thomas[2] si è vista bandita in una posizione marginale ed esclusa dai media<BR>dopo aver chiesto ad Ari Fleisher se, quando abbiamo mostrato in televisione<BR>i prigionieri di guerra nella Baia di Guantanamo, abbiamo violato la<BR>Convenzione di Ginevra.<BR><BR><BR><BR>Un vento gelido soffia sulla nostra nazione. La Casa Bianca e i suoi alleati<BR>nei dibattiti radiofonici in Clear Channel e in Cooperstown stanno mandando<BR>un messaggio: "Se vi opponete a questa amministrazione, ci potranno essere e<BR>ci saranno delle conseguenze." Giorno dopo giorno radio e TV si riempiono di<BR>avvertimenti, minacce più o meno velate, rigurgiti di invettive e odio<BR>indirizzati a ogni voce di dissenso. E i cittadini, come tanti parenti e<BR>amici che ho visto questo weekend, vivono la loro opposizione in silenzio,<BR>paralizzati dalla paura.<BR><BR><BR><BR>Ne ho abbastanza di sentir dire che Hollywood sarebbe contro la guerra. I<BR>pezzi grossi di Hollywood, quelli che hanno il potere e i divi da copertina,<BR>hanno in gran parte taciuto sulla questione. Ma Hollywood, come idea, è<BR>sempre stata un comodo bersaglio.<BR><BR><BR><BR>Ricordo che, quando ci furono le sparatorie nella scuola superiore<BR>Columbine, il presidente Clinton criticò Hollywood per aver contribuito a<BR>quella terribile tragedia. E questo mentre stavamo sganciando bombe sul<BR>Kosovo. Non può darsi che le azioni violente dei nostri leader<BR>contribuiscano in parte alle fantasie violente dei nostri adolescenti? O è<BR>tutta colpa di Hollywood e del rock and roll?<BR><BR><BR><BR>Mi ricordo di aver letto, all'epoca, che uno degli omicidi aveva tentato di<BR>arruolarsi per la guerra vera una settimana prima di mettere in scena la sua<BR>personale e più che realistica guerra alla Columbine. Allora parlai di ciò<BR>alla stampa e, curiosamente, nessuno mi accusò di antipatriottismo per aver<BR>criticato Clinton. Anzi, gli stessi patrioti radiofonici che oggi ci<BR>chiamano traditori erano impegnati in attacchi personali quotidiani al loro<BR>presidente durante la guerra in Kosovo.<BR><BR><BR><BR>Recentemente, politici di spicco che hanno biasimato la violenza nei film<BR>(quelli che non perdono occasione per dare la colpa a Hollywood) hanno dato<BR>il loro voto per attribuire all'attuale presidente il potere di scatenare la<BR>violenza vera in questa guerra. Vogliono farci smettere la finzione della<BR>violenza, ma danno il loro benestare alla violenza nella realtà. E le stesse<BR>persone che tollerano la violenza vera della guerra non vogliono vedere i<BR>suoi effetti al telegiornale della sera. A differenza del resto del mondo, i<BR>nostri reportage di guerra sono sterilizzati e non lasciano intravedere<BR>l'aspetto cruento, la morte e il sangue tra i nostri soldati e tra le donne<BR>e i bambini iracheni. La violenza come concetto, come astrazione.<BR><BR><BR><BR>È molto strano. Mentre applaudiamo il crudo realismo della scena di<BR>battaglia iniziale di Salvate il soldato Ryan, rifuggiamo al pensiero di<BR>vedere le stesse scene al telegiornale serale. Ci dicono che sarebbe<BR>pornografia. Non vogliamo vedere la realtà nella vita reale. Chiediamo che<BR>la guerra sia accuratamente riprodotta sullo schermo, ma che resti<BR>immaginata e concettualizzata nella vita reale.<BR><BR><BR><BR>E nel mezzo di tutta questa follia, dov'è l'opposizione politica? Dove sono<BR>andati tutti i democratici? Svaniti ormai da tempo? Con tante scuse a Robert<BR>Byrd,[3] devo dire che è piuttosto imbarazzante vivere in un paese dove un<BR>attore comico alto un metro e 55 ha più fegato della maggior parte dei<BR>politici. Abbiamo bisogno di leader, non di pragmatisti che si inchinano<BR>davanti alle trasmissioni faziose di ex giornalisti da intrattenimento.<BR>Abbiamo bisogno di governanti che capiscano la Costituzione, di<BR>rappresentanti del Congresso che non abdichino, in un momento di paura, al<BR>loro potere più importante, quello di dichiarare guerra, delegandolo<BR>all'esecutivo. E per favore, il Congresso potrebbe smetterla con il suo coro<BR>conformista?<BR><BR><BR><BR>In questo momento in cui i cittadini applaudono alla liberazione di un paese<BR>mentre vivono nella paura per le proprie libertà, quando un funzionario<BR>dell'amministrazione attacca un veterano del Vietnam mutilato candidato al<BR>Congresso, mettendo in discussione il suo patriottismo, quando la gente in<BR>tutto il paese teme rappresaglie se fa uso del proprio diritto a esprimersi<BR>liberamente, è arrivata l'ora di arrabbiarsi. È giunto il momento di tirare<BR>fuori le unghie. Non ci vuole molto per invertire la tendenza. Mio nipote<BR>undicenne, di cui ho parlato prima, un ragazzino timido che non prende mai<BR>la parola in classe, ha tenuto testa al suo insegnante di storia che stava<BR>mettendo in questione il patriottismo di Susan. "Sta parlando di mia zia. La<BR>smetta!" E l'insegnante, preso in contropiede, ha fatto marcia indietro,<BR>cominciando a balbettare complimenti imbarazzato.<BR><BR><BR><BR>I giornalisti sportivi in tutto il paese hanno reagito con tale veemenza<BR>alla decisione della Hall of Fame che il suo presidente ha infine ammesso di<BR>aver commesso un errore, mentre la Major League Baseball negava qualsiasi<BR>coinvolgimento nelle azioni del presidente della Hall. Un bullo può essere<BR>fermato, così come una folla pronta al linciaggio. Quello che ci vuole è una<BR>persona con il necessario coraggio e una voce risoluta. I giornalisti in<BR>questo paese possono contrattaccare quelli che vorrebbero riscrivere la<BR>nostra Costituzione con il PATRIOT Act II, o Patriot II, La vendetta, come<BR>diremmo a Hollywood. Contiamo su di voi come attori del film.<BR><BR><BR><BR>I giornalisti possono rifiutare di essere utilizzati come agenti<BR>pubblicitari da questa amministrazione. Il prossimo corrispondente per la<BR>Casa Bianca ad essere contattato da Ari Fleischer dovrebbe rimandarlo al<BR>giornalista bandito del giorno. Dobbiamo combattere ogni tentativo di<BR>intimidazione nei confronti di chi fa uso della propria libertà di parola.<BR>Qualsiasi forma di acquiescenza all'intimidazione provocherà a questo punto<BR>solo ulteriore intimidazione. Volenti o nolenti, voi avete una<BR>responsabilità enorme e un enorme potere. Il destino del discorso pubblico,<BR>lo stato di salute di questa repubblica è nelle vostre mani, che le opinioni<BR>che esprimete siano di destra o di sinistra.<BR><BR><BR><BR>Questo è il vostro momento e il destino che avete scelto. Affidiamo la<BR>continuazione della democrazia al vostro lavoro e contiamo sul potere della<BR>vostra penna. Milioni di persone guardano e aspettano in silenzio, tra<BR>frustrazione e speranza. Sperano che qualcuno difenda lo spirito e la<BR>lettera della nostra Costituzione e sfidi le intimidazioni a cui siamo<BR>giornalmente sottoposti nel nome della sicurezza nazionale e di un concetto<BR>distorto di patriottismo.<BR><BR><BR><BR>Il nostro riconoscimento dell'inalienabile diritto al dissenso, alla messa<BR>in discussione dei nostri governanti e alla critica del loro operato<BR>definisce la nostra stessa identità. Consentire che questi diritti ci<BR>vengano sottratti per paura, punire le persone per le loro convinzioni,<BR>limitare l'accesso ai mezzi di comunicazione di chi sostiene opinioni<BR>discordanti, significa riconoscere la sconfitta della nostra democrazia.<BR><BR><BR><BR>Questi tempi ci pongono davanti a una sfida. C'è un'ondata di odio che tenta<BR>di dividerci, destra e sinistra, favorevoli e contrari alla guerra. Nel nome<BR>di mio nipote undicenne e di tutte le altre vittime più o meno note di<BR>questo clima di paura, ostile e sterile, cerchiamo di ritrovare i nostri<BR>valori comuni. Celebriamo insieme questo grande e glorioso esperimento,<BR>sopravvissuto per 227 anni. A tal fine dobbiamo onorare i principi che ci<BR>uniscono e difenderli senza abbassare la guardia. Come la libertà, il Primo<BR>Emendamento e, perché no, il baseball.<BR><BR><BR><BR><BR><BR>© 2003 Independent Media Institute. Tutti i diritti riservati.<BR><BR><BR><BR>----------------------------------------------------------------------------<BR>----<BR><BR>[1] Scrittore che sostiene la tesi che l'amministrazione Bush fosse a<BR>conoscenza degli attacchi dell'11 settembre e abbia intenzionalmente<BR>lasciato fare (NdT).<BR><BR>[2] Corrispondente da lungo tempo della Casa Bianca.<BR><BR>[3] Senatore democratico che si è espresso contro la guerra (NdT).<BR><BR><BR></TT><BR><!-- |**|begin egp html banner|**| -->
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