> Il termine 'embedded' è divenuto sinonimo di stampa 'incorporata'
(qualcuno
> preferisce 'arruolata') in questa guerra angloamericana contro l'Iraq di
> Saddam.
> Ho rintracciato un documento finora rimasto in ombra: è il contratto
> originale di cessione della propria vita all'esercito americano che i
> giornalisti e gli operatori (tecnici, producers, cameramen) hanno firmato
> pur di essere 'embedded' e poter lavorare dal teatro di guerra.
> Il mio articolo è uscito oggi a mia firma su un quotidiano nazionale (Il
> Riformista del 9.4)
> A voi le considerazioni.
> ciao,
> daniela
>
> *
>
> Bowling a Palestine
> (parafrasando il titolo del film "Bowling a Columbine")
>
> di Daniela Binello
>
>
> Sembrerà strano, ma i cinque elementi indispensabili secondo l'Arte della
> guerra, il manuale che Sun Tzu vergava a china sulla carta di riso nel V
> secolo a.C., sono più che mai attuali anche oggi. Eccoli: il Tao (la Via),
> il Cielo, la Terra, i generali e le leggi che regolano l'organizzazione.
>
> Sembrerà davvero molto strano, ma fra le leggi che regolano
> l'organizzazione ne è saltata fuori una davvero inquietante e che riguarda
> gli ormai famosi media embedded.
>
> Il documento è emerso in Italia durante un convegno della Federazione
della
> Stampa nazionale dove si discuteva proprio dell'attacco americano
all'Hotel
> Palestine in cui hanno perso la vita un giornalista e un cameraman. Il
> documento s'intitola "Release, Indemnification and Hold Harmless Agreement
> and Agreement Not ToSue". Tradotto suona "Accordo d'esenzione, esclusione
e
> liberazione ed Accordo di non luogo a procedere", ma in pratica è il
> contratto sottoscritto dai circa 700 embedded fra giornalisti e non
> (tecnici, cameramen, producers). 700 persone che hanno letteralmente
> consegnato la loro vita, unica e irripetibile, nelle mani dell'esercito
> americano.
>
> L'Accordo, in nove articoli, è stato redatto dal Dipartimento della Difesa
> americano. Eccone uno stralcio.
>
> Articolo 1: "Gli Stati Uniti d'America (il "Governo"), agendo attraverso
il
> Dipartimento della Difesa, ritengono mutuamente vantaggioso sia per il
> Governo che per tutte le organizzazioni dei mezzi d'informazione ("media")
> d'affiancare dei dipendenti selezionati di tali organizzazioni (media
> employees) a unità militari selezionate allo scopo di provvedere al
> coverage durante e dopo le operazioni militari. Il processo
> d'incorporazione presupporrà che i dipendenti dei media vivano, viaggino,
> mangino, dormano e svolgano le loro attività professionali e personali con
> l'unità militare in cui sono stati incorporati".
>
> Articolo 3: "I media e i loro dipendenti concordano che il processo
> d'incorporazione esporrà i dipendenti dei media agli stessi rischi e
> pericoli che correranno i componenti delle unità militari, compresi quelli
> estremi e imprevedibili legati alla guerra, alle operazioni di supporto,
> così come quelli più comuni o eccezionali derivanti dalla vita militare.
>
> a) L'ambiente militare è per sua natura pericoloso, e da ciò potrebbero
> derivare la morte, il ferimento o il danneggiamento dei beni in possesso.
> b) Il processo d'incorporazione potrebbe comprendere attività dure e
> pericolose, tra le quali il trasporto su veicoli tattici militari o la
> sosta nei pressi di veicoli, aerei, imbarcazioni e altri mezzi del
Governo.
> I rischi sostanziali di morte o ferimento a causa dell'attività, o
> dell'inattività, dei dipendenti dei media potrebbero essere causati anche
> dalle condizioni delle strutture del Governo e dell'ambiente naturale,
> dalle condizioni, conosciute o sconosciute, di qualunque attrezzatura
> governativa.
> c) Il processo d'incorporazione richiede che i dipendenti dei media siano
> in buone condizioni fisiche. Essi dovranno sottoporsi a una visita medica.
> Le persone con disturbi cardiaci, respiratori, coronarici o altre
affezioni
> croniche o degenerative non potranno partecipare.
> d) Il Governo metterà a disposizione dei dipendenti dei media dei vaccini
> contro l'antrace e il vaiolo, dietro sottoscrizione di un ulteriore
> consenso riguardante i rischi connessi. Tali vaccinazioni sono
> facoltative. I media e i loro dipendenti convengono che questo Accordo si
> estende anche a chi si sottoporrà a tali vaccini, includendo possibili
> reazioni negative ed effetti collaterali".
>
> Articolo 4: "Il dipendente dei media accetta di:
>
> a) Partecipare al processo d'incorporazione e seguire ordini e regolamenti
> del Governo.
> b) Assumersi volontariamente e consapevolmente ogni rischio, conosciuto o
> sconosciuto, legato al processo d'incorporazione, alla guerra, ai
> combattimenti e alle operazioni di supporto.
> c) Escludere, esimere e liberare il Governo da ogni possibile
> rivendicazione, richiesta, vincolo, diritto, interesse o contributo,
> debito, responsabilità, giudizio, costo o spesa legale derivante o
comunque
> collegato alla partecipazione del dipendente dei media al processo
> d'incorporazione, compresa ogni perdita o danneggiamento dei beni,
> ferimento o morte, anche nel caso in cui essi siano causati, in un modo o
> nell'altro (in any manner), dal Governo stesso".
>
> Articolo 8: "I media e i loro dipendenti accettano che il Governo possa
> porre termine al processo d'incorporazione in qualunque momento e per
> qualunque ragione (at any time and for any reason), a discrezione del
> Governo stesso".
>
> E per concludere, firma e data (Media Employee's Signature), come in ogni
> contratto che si rispetti.
> Chissà se avevano firmato anche i giornalisti colpiti dai razzi sparati da
> un carro armato americano che puntava al roof garden del Palestine di
Baghdad.
_______________________
E' festa a Baghdad. Sono arrivati i liberatori.
Davanti al "Palestine" ed allo "Sheraton" i carri armati ed i blindati Usa
sono arrivati come di corsa, prendendo posto fin sopra le aiuole dei
parcheggi. Sono scesi velocemente i soldati, con le armi e le telecamere.
Hanno faticato ad entrare nella hall, a superare le ampie porte a vetri che
si aprono all'interno.
I giornalisti dei networks tv li hanno respinti. Hanno provato a
respingerli. Non volevano partecipare alla festa. Gridavano i nome dei
colleghi uccisi ieri, colpiti con quei colpi di cannone deliberatamente
sparati tra il 14 ed il 15 piano.
Sono entrati di forza. Lo avranno fatto per far festa.
La voce del mio contatto mi arriva chiarissima, le comunicazioni come per
incanto sono riprese non più tardi di un'ora fa.
E non mi parla di feste. I cittadini di Baghdad non sono stati invitati a
nessuna festa.
Nonostante le truppe americane si siano aperte all'interno della città
sfondando la resistenza dei "feddayns" e giungendo fin dentro i quartieri
popolari cannoneggiando e continuando a distruggere le abitazioni civili.
Inseguendo gli iracheni che non sapevano che fosse festa in tutta la città.
Centinaia sono i cadaveri con le budella al vento, con le mosche intorno
alle orbite degli occhi. Dove sono le tv?
E' il primo giorno questo senza bombe né missili e molti, tanti, tantissimi
erano usciti fin dal primo mattino dalle case, dai rifugi improvvisati che
erano stati le loro case per troppi giorni. Senza più cibo, acqua si sono
riversati verso il centro di Baghdad. Davanti ai magazzini alimentari che
ancora nascondevano viveri i più giovani e robusti hanno sfondato le
inferriate e preso quanto loro serviva. Poi anche più su, verso i quartieri
della borghesia di stato con le ville bianche circondate da giardini pieni
di banani. Anche qui scavalcati i muri, divelte porte e finestre con ferri
usati come piedi di porco, calpestati i preziosi tappeti dei saloni,
buttate a terra le porte delle dipense e fatto man bassa di cibo. Ma anche
di ventilatori, tv e radio.
Poi tutti via di corsa.
Neppure negli ospedali si sono accorti che è festa. Le migliaia di feriti
che giacciono in ogni angolo fuorchè nei letti perché non ve ne sono più,
continuano a non poter essere curati, le amputazioni proseguono senza
alcuna anestesia. Si continua ad urlare di dolore negli ospedali, a
piangere. A morire.
Almeno 3.000 le vittime degli ultimi tre giorni e più ancora i feriti.
Baghdad città morta. Senza aria di festa.
Milioni di persone, di uomini, donne, vecchi e bambini lontani dalle
telecamere dei networks implorano disperati i liberatori di non distruggere
le loro case. Ma vengono colpiti, incappucciati, legati e buttati come
rifiuti tra le macerie ed i corpi in putrefazione delle vittime.
No, no, qui non c'è nessuna festa mi ricorda il mio contatto. Si sente
sparare, la resistenza è ancora tanta. Non so davvero cosa potrà accadere
questa notte.
Siamo sempre a Baghdad, dopo settimane di bombe e missili, migliaia di
morti che nessuno ha mai denunciato, almeno un quarto delle abitazioni
civili
sono state distrutte, non c'è acqua potabile, decine di migliaia di
cittadini soffrono di infezioni, tifo, diarrea. La minaccia del colera è
qualcosa di molto reale e preoccupante. Per non parlare delle altre zone
dell'Iraq dalle quali non abbiamo informazioni sicure ed indipendenti.
Già, il resto del paese.
Le truppe Usa stanno realizzando una specie di spot pubblicitario davanti
agli alberghi dei giornalisti per dare l'immagine al mondo intero della
liberazione di Baghdad. Ma non è così, si accalora il mio contatto, è
questa una città di 5 milioni di persone, chi può credere alle immagini
rilanciate via satellite di 150 iracheni che ballano e cantano davanti ai
carri armati?.
Già, chi?
Questa notte sarà un'altra notte di sofferenza, dove non si cureranno i
feriti, dove si farà l'appello dei vivi per contare i morti. Un'altra notte
di digiuno, di acqua del fiume per bere e lessare i legumi. Un'altra notte
di paura che i liberatori possano arrivare alla porta e sfondarla,
aggredire e distruggere tutto quanto è all'interno. Ma di quale festa
stiamo parlando?
Già, quale festa?
Ho imparato a conoscerle queste notti di Baghdad, mi riferisce il mio
contatto, sono notti che non finiscono mai, non si dorme, semmai si veglia.
Ci si sdraia vestiti dove ci si trova, i pochi soldi nascosti nelle tasche,
i piccoli ori che ogni famiglia possiede cuciti negli orli degli abiti
delle donne, i bambini tra le braccia. E mentre tutto intorno cadono bombe
e missili, o si sentono i colpi delle artiglierie, si fa un silenzio
assoluto. Come se anche il più piccolo sospiro potesse far scoprire che c'è
vita in quella casa. Notti terribili ed indimenticabili in quelle case
della città. Notti da passare con le mani strette sul viso.
Già, la notte.
Che la notte sia leggera.
r.
Ps.
Mentre scrivevo questa corrispondenza, un contatto preziosissimo, mi ha
inviato queste brevi note di Charles Clover, inviato del "Financial Times",
che si trova a Najaf e segue in diretta televisiva su "Al Jazeera" quanto
avviene nel centro di Baghdad e di fronte all'hotel "Palestine".
Le pubblico così come mi sono arrivate.
Quale festa a Baghdad?
da
Charles Clover
"Financial Times"
in Najaf
Iraq
Sto vedendo al Jazeera live. Bagdad. Panoramica dall'alto. Vedo i carri
armati ma non vedo le folle festanti. Anzi non vedo folle di nessun genere.
Solo gruppetti. Alcuni hanno uno striscione con scritto "Via gli human
shield". Altri stanno buttando giù una statua di Saddam. Notoriamente la
prima preoccupazione dei cittadini di una città martoriata!
Collaborazionisti? I fuorusciti al soldo degli americani, i nuovi miliziani
pagati dagli Usa che ci verranno spacciati per "il popolo di Bagdad?
***
Wednesday April 09, 2003 at 03:34 PM
Truppe USA all'assalto dell'hotel Pelestine forse alla ricerca di cecchini.
panico tra la gente nell'hotel
donne e bimbi che tremano e piangono di paura, uomini in divisa urlano
bestemmie e ordini.
le telecamere delle truppe si soffermano sui quadri di Saddam presenti
all'interno, come per giustificare l'irruzione.
proteste dei giornalisti che accolgono i militari al gido di "fuck USA" e
"Yankees go home".
[NOTA: L'archivio di questi report e' disponibile su
<
http://italy.indymedia.org/news/2003/03/222502.php>
http://italy.indymedia.o
rg/news/2003/03/222502.php
Queste corrispondenze sono inserite da *Robdinz* che e' in contatto
dall'Italia , attraverso le linee telefoniche internazionali, con varie
persone che sono a Baghdad e che fanno riferimento per i contatti ai
telefoni di due alberghi della capitale, dove è ospitata la stampa
internazionale. Si tratta di operatori dell'informazione indipendente,
free-lance, 6 o 7 human shields, e qualche cittadino di Baghdad che lavora
con loro. *Robdinz* non è a Baghdad ma funziona come una sorta di "ponte"
per far arrivare notizie ed informazioni in tempo reale raccolte con grande
onestà intellettuale e capacità professionale nella attuale realtà
(drammatica) della città.]
_____________________________
LA GUERRA E LA "PACEM IN TERRIS"
Michele DI SCHIENA
Uno scrittore-teologo sudamericano, Leonardo Boff, ha immaginato che il
Cristo del Corcovado, la grande statua di Rio de Janeiro, si sia di colpo
animato e, guardando le moltitudini manifestanti per la pace e le immani
tragedie della guerra in Iraq, abbia avuto un sussulto ed abbia detto:
"Beati siate voi, operatori di pace, perché avete a cuore la memoria dell'
arcobaleno ... Guai a voi, signori della guerra, nemici della vita e della
natura, assassini dei miei fratelli e delle mie sorelle dell'Islam. Perché
non avete ascoltato il grido dell'umanità che supplicava dialogo, negoziati
e pace? Blasfemi, avete usato il nome del Dio della vita per togliere la
vita. Perché avete tradito le norme internazionali poste a salvaguardia di
una giustizia minima e del più elementare senso dell'umanità? Perché con
sacchi di vile denaro avete fatto di tutto per comprare le coscienze ed
estorcere la licenza di attaccare ed uccidere? Codardi, avete scelto un
Paese assediato, umiliato ed estenuato per mostrare, come mai si è visto
sulla faccia della terra, la vostra capacità di devastazione".
Una suggestiva immagine letteraria, una ardita ma ispirata attualizzazione
di alcune espressioni evangeliche, un grido di dolore e di accusa quello di
Boff che interpreta sentimenti largamente diffusi fra i credenti di fede
cristiana e fra tutti gli uomini "di buona volontà", diversi per religione e
cultura. Un grido angosciato di condanna per quanto la violenza delle armi
sta facendo in Iraq e probabilmente si appresta a fare in altre contrade del
vicino Oriente e in ogni parte del mondo. Una condanna per coloro che hanno
deciso, condiviso, favorito o, anche solo, non "ripudiato", questa guerra
preventiva, illegittima, crudele e nefasta.
"La guerra è oramai un dato di fatto in via di archiviazione, passiamo
dunque a parlare del dopo": questo malinconico ritornello implica un
sottaciuto corollario, quello di mettere una pietra su ciò che è accaduto
per far dimenticare le responsabilità morali e politiche dei fautori
dichiarati dell'intervento armato ed anche di coloro - e ne abbiamo di
autorevoli nella politica nostrana - che hanno mascherato la scelta di
partecipare al conflitto con qualche penoso e sofferto espediente
consigliato da calcolate convenienze e che oggi si affrettano per rientrare
a pieno titolo nel giro dei rapporti che contano e degli affari che rendono.
No, non si potrà voltare pagina fino a quando continuerà l'occupazione dell'
Iraq comunque etichettata, fino a quando non sarà sconfitta la teoria e la
pratica della guerra preventiva con l'uscita di scena dei suoi propugnatori
e fino a quando non sarà ripristinata la legalità internazionale con il
riconoscimento del ruolo di centralità delle Nazioni Unite. Alla guerra
"infinita" il movimento per la pace risponderà con una opposizione
"infinita", armata solo di forti ragioni e di grandi speranze.
E questa opposizione "senza se e senza ma" trova oggi un punto importante di
riferimento nella "Pacem in Terris" la grande Enciclica di Giovanni XXIII di
cui ricorre in questi giorni (l'11 aprile) il quarantesimo anniversario. Una
enciclica che è stata riproposta all'attenzione generale dall'attuale
Pontefice e che risulta di straordinaria attualità per il richiamo al dovere
di tutelare e promuovere i diritti "universali, inviolabili ed inalienabili"
di ogni uomo e di tutti gli uomini, per l'affermazione del valore di un
autentico pluralismo delle culture, per la condanna del razzismo, per la
categorica conferma del principio secondo il quale tutti gli uomini e "tutte
le comunità politiche sono uguali per dignità di natura". Una "Lettera" che
sembra scritta oggi per l'esortazione affinché le controversie tra i popoli
siano "risolte non col ricorso alle armi ma attraverso il negoziato", per l'
auspicio che "l'Organizzazione delle Nazioni Unite, nelle sue strutture e
nei suoi mezzi, si adegui sempre di più alla vastità e nobiltà dei suoi
compiti", per la sottolineatura del grande rilievo che deve essere
riconosciuto alla "dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo" quale
"passo importante nel cammino verso l'organizzazione giuridico-politica
della comunità mondiale". Un documento, questa Enciclica, che è un messaggio
di saggezza e di speranza, una luce che si riaccende in questi tempi bui nei
quali l'irrazionalità e l'arbitrio cercano con la forza di ottenere una
antistorica rivincita sui traguardi di civiltà faticosamente raggiunti dall'
umanità negli ultimi decenni.
Brindisi, 8 aprile 2003