[Lecce-sf] info e notizie varie

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Author: Carlo Mileti
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Subject: [Lecce-sf] info e notizie varie
> Terminera' con un disastro
>
> Il governo statunitense e quello brittannico ci hanno trascinato in una
> confusione che durera' per anni
>
> George Monbiot
> The Guardian, lunedi' 31 marzo 2003
>
> Sino ad oggi i "liberatori" sono riusciti a liberare solo le anime degli
> iracheni dai loro corpi. Le truppe di Saddam Hussein si sono dimostrate
> meno inclini ad arrendersi di quanto si pensasse e i civili meno disposti
> alla rivolta. Mentre oramai nessuno puo' ignorare i problemi immediati che
> questa guerra illegale ha incontrato, tutti cominciamo a comprendere cio'
> che avrebbe dovuto essere ovvio sin dall'inizio: cioe' che, comunque
> terminera' questo conflitto, il risultato sara' disastroso.
> Mi sembra che la guerra all'Iraq possa portare a tre possibili scenari. Il
> primo, che appare sempre piu' improbabile, e' che Saddam Hussein venga
> rapidamente rimosso insieme ai suoi generali e ai suoi ministri e che, al
> contempo, le persone intimidite dalle sue milizie e dalla polizia segreta
> si sollevino e accolgano gli invasori con la tanto sperata benedizione di
> fiori e riso; quindi, una volta che gli anglo-americani saranno entrati a
> Baghdad, cominceranno a preparare cio' che l'amministrazione americana
> considera la transizione verso un governo democratico.
> Per qualche settimana, questa soluzione potrebbe apparire come una
> vittoria. Pur tuttavia, essa potrebbe comportare diverse conseguenze. La
> prima e' che, sotto l'euforia conseguente all'accoglienza ricevuta a
> Baghdad, il Governo americano decida, come ha dichiarato Donald Ramsfeld
> nelle scorse settimane, di attaccare anche altri paesi: Siria, Iran,

Yemen,
> Somalia, Corea del Nord o qualsiasi altro la cui conquista possa

accrescere
> il prestigio del Presidente e la grandezza del suo impero.

Sostanzialmente,
> e' come se Bush e i suoi consiglieri si proponessero di intraprendere una
> nemesi incoraggiata dalla loro stessa arroganza.
> La nostra prossima sorpresa potrebbe essere, come ha affermato John Gray
> qualche mese fa, che la scelta dei regimi del Medio Oriente non sia fra

una
> dittatura laica e una democrazia laica, bensi' fra una dittatura laica e
> una democrazia islamica. Cio' che la gente del Medio Oriente vuole, e cio'
> che il Governo statunitense afferma che essi vogliano, sembrano essere

cose
> piuttosto differenti, e la tensione fra i due diversi obiettivi sara'
> motivo di instabilita' e conflitto fintanto che i governi occidentali non
> permetteranno a quei popoli di fare le proprie scelte senza interferenze.
> Tuttavia, questo sembra improbabile, almeno fin quando il petrolio non si
> esaurira'. Gli iracheni possono celebrare la loro indipendenza solo
> abbracciando l'ideologia fondamentalista e gli Stati Uniti possono
> rispondere solo cercando di sopprimere tale ideologia.
> Inoltre, e' possibile che la coalizione scopra presto la ragione per la
> quale Saddam Hussein e' diventato un dittatore cosi' abominevole. L'Iraq

e'
> un artefatto coloniale costituito da tre province Ottomane - di religione
> ed etnie diverse - forzatamente messe insieme dal Governo britannico. E'
> comprensibile, dunque, che tale assurda fusione possa essere mantenuta

solo
> attraverso l'uso della forza bruta.
> Un'amministrazione guidata dagli Stati Uniti che cercasse di tenere

insieme
> questa nazione di fazioni belligeranti potrebbe rapidamente incontrare lo
> stesso problema di Saddam e riscoprire le sue stesse soluzioni. Per questo
> non dovrebbe destare meraviglia la decisione che il Governo guidato da

Bush
> stava pianificando fino a poco tempo fa, di rimpiazzare i due funzionari
> piu' alti in grado di ogni ministero di Saddam, lasciando il resto cosi'
> come si presenta attualmente.
> L'alternativa potrebbe essere quella di permettere la divisione in
> differenti stati di quello che oggi e' l'Iraq. Tuttavia, mentre nel lungo
> termine la scissione potrebbe essere l'unico futuro verosimile per il
> paese, e' impossibile, nel breve termine, individuare come cio' possa
> avvenire senza spargimento di sangue, dato che ogni fazione cerca di
> ricavarsi la propria autonomia. Sia che gli Stati Uniti decidano di
> supervisionare questa partizione o, viceversa, che vi si sottraggano come
> fecero i britannici per l'India, e' comunque probabile che la loro

vittoria
> in tali circostanze si deteriori velocemente.
>
> Il secondo possibile risultato di questa guerra e' che gli Stati Uniti
> uccidano Saddam e distruggano il suo esercito, governando l'Iraq come una
> forza nemica di occupazione. Del resto, Saddam Hussein, la cui guerra
> psicologica appare al momento un livello piuttosto avanzato rispetto a
> quella che stanno conducendo gli americani, ha fatto si che questo sia al
> momento il piu' probabile dei risultati.
>
> Le forze della coalizione non possono vincere senza prendere Baghdad e, al
> contempo, Saddam sta facendo in modo che essi non conquistino la capitale
> senza uccidere migliaia di civili. I suoi soldati, infatti, si rifugeranno
> nelle case, nelle scuole e negli ospedali e, nel tentativo di distruggere
> le truppe nemiche, per gli alleati potra' sfumare anche l'ultima
> possibilita' di raggiungere i cuori e le menti degli iracheni. Del resto,
> il dispiegamento dei Kamikaze da parte di Saddam, ha gia' obbligato i
> soldati della coalizione a trattare brutalmente civili innocenti.
> Il paragone con la Palestina non sortira' nessun effetto sugli Iracheni e
> su nessun altro in Medio Oriente. Gli Usa - ma anche Israele -

scopriranno,
> non solo che l'occupazione sara' sanguinosa, ma anche che sara'
> insostenibile. Le truppe americane saranno bersagliate dai cecchini e dai
> Kamikaze, e la loro risposta portera' inquietudine anche in coloro che

sono
> riconoscenti per il rovesciamento del governo di Saddam. Possiamo
> aspettarci che gli Stati Uniti, in tali circostanze, proclamino vittoria
> frettolosamente, istallino un debole governo e si ritirino celermente

prima
> che la situazione precipiti. Che cosa succedera' dopo all'Iraq e al resto
> del Medio Oriente e' impossibile saperlo, ma penso che gia' da adesso si
> possa immaginare che non sara' piacevole.
>
> La terza possibilita' e' che le forze della coalizione non riescano ad
> uccidere o catturare Saddam Hussein o, anche, ad ottenere una vittoria
> decisiva sull'Iraq. Sebbene improbabile, questa eventualita' al momento

non
> puo' essere del tutto esclusa. Saddam potrebbe dimostrarsi cosi' furbo da
> non aspettare le bombe alleate all'interno del suo bunker e decidere, come
> fece il re Alfredo, di rifugiarsi fra la popolazione civile apparendo
> occasionalmente fra le sue truppe per tenere accesa la fiamma della
> liberazione.
>
> Se cio' accadesse, Saddam verrebbe trasformato dagli Usa da odiato
> oppressore in un eroe romantico e quasi mitologico della resistenza Araba

e
> Musulmana, il Salah al-Din dei sogni. Saddam Hussein verrebbe visto come
> l'uomo che fa agli Stai Uniti cio' che i mujaideen afgani fecero alle
> truppe sovietiche: condurli in una guerra invincibile che porterebbe al
> collasso economico e sociale. Piu' il rais vivra', piu' la popolazione -
> non soltanto quella irachena, ma di tutti i paesi Musulmani - si

schierera'
> a suo favore e, di conseguenza, piu' improbabile sara' una vittoria
> occidentale.
>
> In questo caso gli Usa avrebbero quasi certamente congegnato l'improbabile
> chimera che dichiarano di combattere: il sodalizio fra la ben armata
> brutalita' laica di Saddam e l'insurrezione globale di al-Qaida. Anche se,
> dopo molte settimane o mesi Saddam Hussein dovesse essere trovato ed
> ucciso, il suo spirito potrebbe continuare ad ispirare la rivolta in tutto
> il mondo Islamico, contro gli americani, i britannici e, naturalmente,
> contro Israele. L'impopolare leader pachistano, Pervez Musharraf, si
> troverebbe allora in una posizione critica. Se, come sembra probabile in
> tali circostanze, venisse coinvolto anch'egli in una rivolta Islamica,
> allora il regime fondamentalista, fortemente ostile all'occidente,
> possiederebbe veramente armi nucleari caricate e pronte a sparare.
>
> Spero qui di aver sbagliato qualcosa e che le mie previsioni si dimostrino
> errate. Tuttavia, mi sembra che il governo americano e quello britannico

ci
> stiano trascinando in una grande confusione dalla quale, per molti, anni,
> potrebbe essere difficile uscire. Hanno liberato lo spirito della guerra

ed
> esso potrebbe essere poco disposto a tornare nel sua urna senza aver prima
> attraversato il mondo intero.


__________________-

La tv satellitare irachena ha interrotto i programmi fin da domenica sera e
non emette segnali ne' visivi ne' audio. La terza rete irachena, quella
della gioventu' diretta dal figlio maggiore del presidente Saddam Husseim,
Uday, e' stata muta da fine marzo, dopo un attacco missilistico contro il
ministero dell'informazione a Baghdad.

Anche Radio Baghdad ha momentaneamente interrotto le trasmissioni questa
mattina. Dopo una ventina di minuti di blackout, l'emittente ha tuttavia
ripreso a mandare in onda musiche e canti di preghiera in onore di Saddam
Hussein. I trasmettitori nella capitale irachena sono un obiettivo
militare. ''Chiaramente siamo intenzionati a distruggere le possibilita'
per Saddam Hussein di seminare menzogne'', ha detto il maggiore Michael
Birmingham con la terza divisione di fanteria.

ANSA 8-4-03
http://www.ansa.it/fdg01/200304081035104170/200304081035104170.shtml


...Tutto ciò, ovviamente, in violazione della Convenzione di Ginevra che
vieta di colpire TV, radio e giornalisti nemici, anche se impegnati in
funzione propagandistica.

Altrimenti diverrebbe "legittimo" per i missili irakeni colpire TV, radio e
giornalisti nemici, quando fossero considerati impegnati in funzione
"propagandistica".

PeaceLink News
http://www.peacelink.it
______________________________

Luned" mattina 7 aprile, la polizia americana apre il fuoco sulla
manifestazione contro la guerra al Porto d'Oakland in California e ferisce
9 manifestanti.

Più di 600 persone hanno espresso la loro opposizione alla guerra, alla
fine della manifestazione mentre si scioglieva la polizia ha sparato con
dei proiettili di gomma.

Avevano deciso di protestare davanti alla società "American Presidents
Lines" per denunciare il contratto che questa società aveva firmato con il
governo americano per trasportare della merce bellica destinata
all'esercito americano in Irak.

Dei testimoni hanno dichiarato:
Kevin Wilson "Ho cercato di stare il più lontano possibile avevo paura, non
riesco a capire questa violenza, non era necessaria."
Trent Willis "Hanno sparato sui miei amici, non andremo a lavorare oggi, i
poliziotti non avevano motivo per fare quello che hanno fatto"

Almeno trenta persone sono state arrestate.

Patrick Reinsborough, del movimento "Direct Action to Stop the War (Azione
diretta per fermare la guerra) http://www.actagainstwar.org/
dichiara:"Organizzeremo delle nuove iniziative di disobbedienza civile nei
prossimi giorni"

Nello stesso giorno nella sede del governo federale di San Francisco e alla
Concord Naval Weapons Station si svolgeva altre manifestazioni.
Sette manifestanti sono stati arrestati mentre cercavano di bloccare
un'uscita dell'autostrada 280 di San Francisco.

08.04.2003
Roberto Ferrario
Collettivo Bellaciao
http://www.bellaciao.org/

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C O L L E T T I V O B E L L A C I A O
S'ispira, praticandoli, ai valori della Resistenza italiana ed europea,
vale a dire quelli dell'antifascismo, della democrazia diretta, del diritto
all'indipendenza dei popoli da ogni sfruttamento coloniale e neocoloniale,
nel rispetto dell'uguaglianza fra etnie, religioni e culture diverse e del
rifiuto della guerra per risolvere le controversie internazionali (...)

LETTERA D'INFORMAZIONE:
- Per più ricevere la lettera d'informazione, manda una mail all'indirizzo:
bellaciaoinfo@??? scrivere: unsubscribe
- Per cambiare formato ( txt o html ) manda una mail all'indirizzo:
bellaciaoinfo@??? scrivere: formato

LISTA DI DIFFUSIONE :
- Per iscriversi: collectif-bellaciao-subscribe@???

http://bellaciao.org

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COLPITA IN RAID LA SEDE DELLA TV AL JAZEERA - Gli uffici di Baghdad della
televisione satellitare del Qatar Al Jazeera sono stati colpiti questa
mattina dai bombardamenti americani sulla capitale irachena. Un cameramen
della tv e' morto mentre risulta disperso un corrispondente. La sede della
televisione qatariota si trova in un complesso residenziale nel quartiere
Mansour, lo stesso dove sorgeva l'edificio ridotto ieri ad una grande
voragine da un bombardiere B-1B, dopo che l'intelligence Usa aveva ricevuto
segnalazioni che al suo interno era in corso una riunione della leadership
irachena, incluso Saddam Hussein ed i suoi figli. Gli uffici di Al Jazeera
sono proprio tra l'Hotel Mansour e il ministero della Pianificazione, in
quella che viene ritenuta la roccaforte del partito Baath di Saddam.

COLPITO HOTEL GIORNALISTI - L'Hotel Palestine di Baghdad che ospita gran
parte dei giornalisti stranieri e' stato colpito e, secondo immagini
mostrate dalla Bbc, ha lievi danni. Tre persone sono rimaste lievemente
ferite. Secondo quanto affermato dal ministro dell'informazione iracheno al
Sahaf alla Abu Dhabi tv, sarebbero rimasti feriti due giornalisti della
Reuters. Sahaf parlava da un giardino antistante l'albergo. La tv ha
mostrato due persone ferite portate via da un pullmino. I giornalisti e gli
operatori della Rai ospiti dell'hotel stanno bene e sono al lavoro.

ANSA 08/04/2003 10:30

http://www.ansa.it/fdg01/200304081030103544/200304081030103544.shtml

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LE MIE DOMANDE
A GEORGE BUSH
DUSTIN HOFFMAN

Quest'intervento di Dustin Hoffman, in occasione della manifestazione
"Cinema per la pace", a Berlino, è apparso su Der Tagesspiegel Berlin del
12 febbraio.


Vorrei cominciare col dire che non sono antiamericano, ma che mi oppongo
alla politica dell'attuale governo. Credo che, a partire dall'11 settembre,
ci sia stata purtroppo una manipolazione da parte dei media che nel mio
paese appartengono alle grandi imprese, e da parte del governo. Questo
strumentalizza le sofferenze dell'11 settembre per scopi politici.
Mi trovo in una situazione delicata perché sono un attore e so meno delle
cose che vorrei sapere. Vengo dagli anni 60, l'ultima guerra che ho vissuto
da adulto è stata quella del Vietnam e ciò che dirò ora, è - spero - non
solamente un'opinione, ma lascerò parlare i fatti.
La guerra del Vietnam è cominciata con una bugia: il pretesto è stato il
presunto attacco dei nordvietnamiti ad una delle sue navi da guerra
attraccate nella baia del Tonkin. Ma quest'attacco non c'è mai stato, era
una menzogna, un prodotto della propaganda per iniziare quest'orribile
guerra. È possibile che la storia si ripeta.
Vorrei anche nuovamente porre delle domande al mio governo da americano che
non è antiamericano. Pongo domande alle quali - se non erro - non è ancora
stato risposto, malgrado siano state poste molte volte. Se non c'è una
minaccia diretta, perché invadiamo questo paese? La Corea del Nord, il cui
presidente annuncia che ci ridurrà in cenere se attaccheremo le sue
installazioni nucleari, rappresenta una minaccia diretta. Ciononostante, il
mio governo preferisce negoziare con loro. Questa minaccia è ben più
importante di quella che arriva dall'Iraq, di cui diciamo che possederà
armi atomiche solo fra 2 o 3 anni.
Chiedo al mio governo di informare il mio paese sulla nostra politica
estera, della quale sappiamo probabilmente troppo poco.
Chiedo al mio governo, riguardo a Saddam che chiama il Grande Male, cosa
ch'egli senz'altro è: perché abbiamo dato cinque milioni di dollari a
quest'uomo quando ci era utile, ovvero durante il conflitto con l'Iran, e
lo stesso anno, quando ha dato l'ordine di uccidere 100mila curdi con gas
tossici? E perché abbiamo portato questa somma ad un miliardo l'anno dopo?
A fronte di questi fatti, voglio sapere perché Saddam non era il Grande
Male agli occhi del governo americano di allora?
Pongo al governo del mio paese la domanda seguente: se attacchiamo e, come
ho letto, rovesceremo oltre 136 tonnellate di bombe in 43 minuti sulla
popolazione civile, quanto tempo resteremo là? Non ci sono risposte a
questa domanda. Ci resteremo degli anni, in un momento in cui la nostra
economia non va particolarmente bene? Investiremo dei soldi nella
ricostruzione del paese? Piazzeremo un nostro uomo al vertice? Non abbiamo
una buona fama per quanto riguarda alcuni leader che abbiamo imposto in
passato. Questo vale per Pinochet in Cile, che ha ucciso migliaia e
migliaia di persone in un decennio. Voi conoscete gli altri. Oggi, ho
visitato il museo ebraico.

DUSTIN HOFFMAN
© Der Tagesspiegel Berlin

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I RISERVISTI ISRAELIANI: FERMATE
IL MASSACRO



Yesh-Gvul ("C'è un limite!") è un gruppo di pacifisti israeliani che si
batte contro l'occupazione, appoggiando i refusenik: ovvero i soldati
disponibili a far servizio nell'Esercito, ma non nei territori.
Qualsiasi operazione nei territori è out, fuori discussione. Come lo sono
quelle al di qua della Linea Verde, in carceri speciali dove i palestinesi
vengono trattenuti per periodi di sei mesi (rinnovabili), senza che sia
stata loro formulata un'accusa. Dal 1982 - quando per la prima volta,
durante l'invasione israeliana del Libano, ci si cominciò a chiedere che
senso avesse quell'atto di "aggressione gratuita e futile" - il numero di
refusenik ha continuato a salire: dai 168 soldati, incarcerati
ripetutamente vent'anni fa, ai quasi 200 in occasione della prima Intifada
nel 1987, ai mille di oggi.

L'APPELLO
Fermate il massacro! Ponete fine all'occupazione! L'occupazione genera
terrorismo. L'occupazione militare è terrorismo.
Quando ordinate o permettete esecuzioni extragiudiziali ("liquidazioni" in
gergo militare), quando ordinate o permettete la demolizione di case
abitate, quando fate fuoco sulla popolazione civile inerme o sulle sue
abitazioni, quando sradicate frutteti, quando impedite gli
approvvigionamenti di cibo o le cure mediche, state compiendo azioni
definite dalle convenzioni internazionali (come la quarta Convenzione di
Ginevra) e dalla stessa legge israeliana, crimini di guerra. Pensate che
tali crimini siano giustificabili? Considerate giustificabile demolire case
e distruggere le proprietà di intere famiglie? È giustificabile l'uccisione
di bambini, donne, vecchi o, comunque, di civili inermi?
Cosa sono questi territori "di sicurezza" che giustificano il ridurre alla
fame interi villaggi e privare i malati delle cure mediche? Che genere di
"sicurezza" può nascere dal coprifuoco e dall'assedio, dalla confisca delle
terre, dall'impedire che la gente lavoro o studi, dall'umiliazione dei
posti di blocco, dalle perquisizioni violente nelle case palestinesi?
Ponete fine all'occupazione! Interrompete la catena di sangue! Ogni
"liquidazione" (assassinio) prepara un atto terroristico. Il bambino che
ferite oggi, sarà il terrorista di domani. Ponete fine all'occupazione.
Fermate il massacro! Il mondo vi guarda.
Il governo di Ariel Sharon sta facendo il possibile per togliere visibilità
a questa nuova forza: i tanti ufficiali da combattimento (da sergenti a
maggiori) si vedono affidare un diverso incarico, e sempre più raramente
finiscono dietro le sbarre. Eppure, la protesta cresce. Una via d'uscita
dall'orrore di oggi sembra prendere sempre più corpo: alla sindrome "Uccidi
e piangi", Yesh-Gvul ribatte con quest'altra, "Noi non uccidiamo, non
piangiamo e non serviamo nei territori occupati".

© YESH-GVUL
www.yesh-gvul.org
________________________-

L'APPELLO DEGLI
INTELLETTUALI PALESTINESI

MAHMUD DARWISH
"Dovete muovervi, alzare la voce e trasmettere questo grido di dolore".
Questa l'accorata preghiera che gli intellettuali palestinesi hanno rivolto
ai loro omologhi arabi e a tutti noi. Perché la loro terra sta bruciandoS
"Noi scrittori, artisti e letterati rivolgiamo il nostro appello agli
intellettuali arabi, chiedendo loro di muoversi, di alzare la voce e di
trasmettere questo grido di dolore agli scrittori, artisti e pensatori di
tutto il mondo, affinché siano solidali con noi, intellettuali palestinesi,
e con tutto il popolo palestinese, che sta resistendo alle forze della
terribile occupazione israeliana.
Stiamo assistendo alla distruzione e alla rioccupazione delle nostre città,
paesi e campi, all'uccisione e all'annientamento dei civili, alla
distruzione di scuole, edifici, istituti, centri culturali, luoghi di
culto, insomma di tutte quelle costruzioni importanti per la società
palestinese, all'odio e all'umiliazione, all'arresto dei nostri giovani
che vengono trasferiti in campi di concentramento, oppressi, terrorizzati,
affamati.
In più, le forze israeliane impediscono agli ospedali e alle unità
sanitarie di svolgere le loro attività e i loro compiti umanitari,
impediscono alle autoambulanze di trasportare i feriti e alle vittime di
essere seppellite, tanto che le celle frigorifere degli ospedali non
riescono più ad accogliere nuovi corpi.
Ed ora la situazione all'interno delle città, dei paesi e dei campi non
cessa di peggiorare, stiamo assistendo ad una escalation di tragedie e
catastrofi.
Gli scrittori, gli artisti, i letterati palestinesi, assediati con il loro
popolo, in tutte le città, i paesi, i campi palestinesi, lanciano questo
appello ai loro fratelli e alle organizzazioni arabe interessate, chiedendo
loro di muoversi velocemente e di fare tutto quello che è nelle loro
capacità, per condannare l'occupazione e svelare la natura terroristica e
malata del governo Sharon e del suo apparato militare e di sicurezza.
Chiediamo anche loro che questa nostra istanza arrivi a tutti gli uomini di
cultura del mondo intero.
Accerchiati, lottiamo con il nostro popolo. Viviamo continuamente
minacciati, privati di acqua, elettricità e senza mezzi per poter
comunicare. Non possiamo far altro che desiderare, sperare e resistere.
Agli uomini di cuore e di intelletto, a tutti coloro che sono liberi nei
paesi arabi e nel resto del mondo, diciamo: noi abbiamo bisogno di voi, del
vostro aiuto e del vostro appoggio".

MAHMUD DARWISH
Seguono altre 61 firme di intellettuali palestinesi

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La nostra arma
di "costruzione" di massa

di Mia Couto*

Presidente Bush,

sono uno scrittore di una nazione povera, un paese che è già stato incluso
nella vostra lista nera. Milioni di mozambicani ignorano che male vi abbiano
fatto. Siamo piccoli e poveri: che minaccia possiamo rappresentare? La
nostra arma di distruzione di massa, in fondo, è rivolta verso di noi: è la
fame, la miseria. Ebbene io, povero scrittore di un povero paese, ho fatto
un sogno. Come Martin Luther King una volta sognò che l'America era la
nazione di tutti gli americani. Ho sognato che non ero un uomo, ma un Paese.

Si, un Paese che non riusciva a dormire perché viveva spaventato da cose
terribili. Quel timore mi ha porta­to a esprimere una richiesta che, nel
sogno, aveva a che vedere con Lei, caro Presidente. Esigevo che gli Stati
Uniti d'America procedessero con l'elimi­nazione delle loro armi di
distruzione di massa. Esigevo inoltre che ispettori delle Nazioni Unite
fossero inviati nel vostro Paese.

I fatti che alimen­tavano il mio sospetto purtroppo erano reali, e non
prodotti dal sogno. La lista è cosi lunga che ne sceglierò soltanto
qualcuno. Eccoli.

-- Gli Stati Uniti sono l'unica nazione al mon­do che ha lanciato bombe
atomiche su altre nazio­ni; il suo Paese a stato l'unico ad essere
condanna­to per "uso illegittimo della forza" dal Tribunale Internazionale
di Giustizia;

-- le forze americane han­no istruito e armato fondamentalisti islamici fra
più estremisti (compreso il terrorista Bin Laden) col pretesto di rovesciare
gli invasori russi in Afgha­nistan; il regime di Saddam Hussein a stato
ap­poggiato dagli Stati Uniti mentre metteva in alto le peggiori atrocità
contro iracheni (compreso il massacro dei curdi con i gas);

-- come molti altri leader legittimi, l'africano Patrice Lu­mumba venne
assassinato con I'aiuto della Cia (fu arrestato e torturato, poi gli
spararono in testa e il suo corpo venne disciolto nell'acido cloridri­co);

-- come tanti altri fantocci, Mobutu Seseseko venne posto al potere da
vostri agenti, e concesse speciali servizi allo spionaggio americano;
l'inva­sione di Timor Est da parte dei militari indonesia­ni ha ottenuto
l'appoggio degli Stati Uniti; nel­I'agosto del 1998, le forze aeree degli
Stati Uniti hanno bombardato in Sudan una fabbrica di me­dicinali, chiamata
Al-Shifa. Un errore? No, si trat­tava di una rappresaglia in seguito agli
attentati di Nairobi e Dar-es-Saalam.

-- dalla Seconda Guerra Mondiale in poi, gli Stati Uniti hanno bombarda­to:
la Cina (1945-46), la Corea e la Cina (1950-53), il Guatemala (1954),
l'Indonesia (1958), Cuba (1959-1961), il Guatemala (1960), il Congo (1964),
il Peru (1965), il Laos (1961-1973 ), il Vietnam (1961-1973), la Cambo­gia
(1969-1970), il Guatemala (1967-1973), Gra­nada (1983), il Libano
(1983-1984), la Libia (1986), il Salvador (1980), il Nicaragua (1980),
l'Iran (1987), Panama (1989),l'Iraq (1990-2001), il Kuwait (1991), la
Somalia (1993), la Bosnia (1994-95), il Sudan (1998), I'Afganistan (1998),
la Jugoslavia (1999).

Svegliandomi, sono passato dall'incubo del sonno a quello della realtà. La
guerra che Lei, Signor Presidente, si è ostinato a voler intrapren­dere, ci
potrà liberare da un dittatore. Ma divente­remo tutti più poveri. Avremo
meno speranza in un futuro governato dalla ragione e dalla morale. Avremo
meno fiducia nella forza regolatrice delle Nazioni Unite. Resteremo, alla
fine, più soli e abbandonati.

Signor Presidente, l'Iraq non è Saddam. Sono 22 milioni di madri e figli e
di uomini che lavorano e sognano come fanno i comuni norda­mericani (...)
Alla fine, ci libereremo di Saddam. Ma continueremo ad essere prigionieri
della logi­ca della guerra e dell'arroganza. Non voglio che i miei figli (ne
i suoi) vivano dominati dal fanta­sma della paura. E che pensino che, per
vivere tranquilli, abbiano bisogno di costruirsi una for­tezza. E che
saranno solo al sicuro quando do­vranno spendere fortune in armamenti.

Il vescovo americano Monsignor Robert Bowan, le ha scritto, alla fine
dell'anno scorso, una lettera intitolata: " Perche il mondo odia gli Stati
Uniti?».

Bowman, vescovo delta chiesa catto­lica delta Florida, ha combattuto in
Vietnam. Sa cos'e la guerra, e ha scritto: "Siamo obbiettivo dei terroristi
perché , nella maggior parte del mondo, il nostro governo ha difeso la
dittatura, la schiavi­tù e lo sfruttamento degli esseri umani. Siamo
obbiettivo dei terroristi perché siamo odiati. E siamo odiati perche il
nostro governo commette cose odiose".

La maggior minaccia che incombe sull'Ame­rica non sono gli armamenti degli
altri ma l'univer­so di menzogne che si è creato intorno ai vostri
cittadini. Il pericolo non è il regime di Saddam, né nessun altro regime.
Bensi il sentimento di superiorità che sembra animare il suo governo. Il suo
nemico principale non è fuori. E dentro agli Stati Uniti.

Io vorrei poter festeggiare la caduta di Sad­dam Hussein. E festeggiare con
tutti gli america­ni. Ma senza ipocrisia, senza argomenti ad uso di minorati
mentali. Perche noi, caro Presidente Bu­sh, noi, i popoli dei paesi piccoli,
abbiamo un'ar­ma di costruzione di massa: la capacità di pensa­re.

(Traduzione di Roberto Francavilla)

____________________________

La pace come progetto"

Come ogni progetto di vita, anche quello per la pace richiede uno sforzo
creativo. Comporta una vera e propria rivoluzione antropologica.

Un progetto di costruzione delle condizioni della pace, che ha una nuova
idea di sviluppo e pensa a un'umanità solidale, nella giustizia e nel
rispetto delle identità.



In un "Dizionario di Politica", alla voce pace si può leggere la seguente
definizione: "Nella sua accezione più generale, pace significa assenza (o
cessazione, soluzione, ecc.) di un conflitto".
Sappiamo che tale concezione, pur rispecchiando ancora un senso comune
diffuso, è ritenuta oramai da molti studiosi, e da una buona parte
dell'opinione pubblica, insufficiente a definire una realtà positiva, che
soddisfi pienamente l'esigenza di giustizia, di solidarietà, di diritti, di
libertà come beni primari da riconoscere ad ogni essere umano come specie e
come cittadino del mondo.
Nella sostanza, quest'idea di pace come assenza o fine di una guerra non ci
dà ragione delle condizioni culturali, strutturali, politiche, sociali che
hanno scatenato il conflitto bellico. Non ci dice niente sulle sue cause,
né sulle sue conseguenze. Certifica piuttosto l'ineluttabilità del fenomeno
come evento ineliminabile dalla storia. Perché, in questo caso specifico,
non ci si riferisce ad un conflitto qualsiasi, di per sé positivo in quanto
espressione contraddittoria dell'evolversi dell'umanità come insieme di
diversità, ma ad uno ben specifico: quello bellico. Ed è proprio questo
tipo di conflitto che possiede delle caratteristiche tutte particolari:
semplifica ciò che nella realtà delle cose è dato come complesso, ma
soprattutto rappresenta una soluzione che nei fatti rende irreversibili gli
effetti della sua opera: distruzione, morte ed odio.
I movimenti sociali, religiosi, di pensiero che si sono espressi in questi
ultimi anni, dopo un lungo periodo di incubazione, o per lo meno di scarsa
visibilità, hanno gettato le basi per un ben diverso paradigma: mentre la
guerra sembra ripetersi nelle sue forme tradizionali, cambiando solo il
segno esponenziale del livello di distruttività e ferocia che provoca, la
riflessione e le esperienze di soluzioni nonviolente dei conflitti, tali da
evitare la degenerazione degli stessi in un atto di guerra, hanno fatto
molti passi in avanti, anche se i grandi mezzi di informazione, così come
le stesse istituzioni politiche o sociali, in nome di un cinico realismo,
fanno di tutto per ridicolizzarle o screditarle.
Da questo nuovo pensiero in itinere, così come da molte delle esperienze
che sono state portare avanti negli ultimi decenni, si è arrivati ad una
prima importante conclusione: che la pace non è un atto notarile,
burocratico; è piuttosto un processo senza fine. Non è la presa d'atto
della fine di un conflitto militare: è un progetto di costruzione delle
condizioni che alla fine rendano impossibile il conflitto militare, proprio
perché inutile e dannoso.
Il movimento della pace che in queste settimane, forse per la prima volta
nella storia, attraversa città, paesi, contrade, dall'Asia alle Americhe,
dall'Europa all'Africa, è come un fiume dopo una lunga stagione secca:
allegramente fragoroso e impetuoso, raccoglie nel suo letto la forza di
saperi ed esperienze che la resistenza creativa dei popoli ha conservato,
rinnovandoli profondamente.
Ciò che emerge con particolare evidenza, è soprattutto l'idea che la lotta
per la pace non è solo la negazione morale di un evento criminale, ma
qualcosa di più e di altro. Si alimenta di una visione, di un'idea del
futuro: non solo lo sa immaginare, ma addirittura lo prefigura nell'oggi,
nell'agire quotidiano di ogni uomo e donna che condividono questa matura
passione civile.
Si tratta di un faticoso lavoro educativo, che rifonda categorie del
pensiero, valori, comportamenti, atteggiamenti mentali: una vera e propria
rivoluzione antropologica, che contrasta e sconfigge il mito e l'idea della
guerra come strumento necessario alla soluzione delle crisi che
attraversano il mondo.
Come qualsiasi progetto di vita, anche quello per la pace deve richiedere
uno sforzo creativo, un diverso sviluppo delle nostre principali facoltà:
la ragione, la coscienza, la creatività, la sensibilità. Risveglia in
ognuno un nuovo senso di responsabilità, basato sull'autonomia,
l'integrazione, la cooperazione, opponendosi quindi alla competizione
aggressiva (individuale e collettiva, tra i singoli ed i popoli), alle
gerarchie arbitrariamente imposte da poteri non democratici, alla
predominanza di un'élite economica, politica e militare sulla maggioranza
dell'umanità. Ha una nuova idea di sviluppo, come crescita equilibrata di
una ricca individualità personale ma anche di una forte corresponsabilità
sociale. Propone ad ognuno una semplicità consapevole nell'abitare il tempo
della vita, per rispettare l'ambiente esterno, ma anche quello interiore.
Pensa ad un'umanità solidale, nel rispetto di identità, che solo il
confronto e il rispetto reciproco possono far evolvere verso forme più
mature. Rivendica uguali diritti per ognuno degli esseri umani, ma anche la
consapevolezza di un destino planetario comune. Dove tutti non sono una
massa indistinta, ma volti, storie, pene ed allegrie.
Il progetto umano che stiamo costruendo rivendica, allora, una pace non
inerme, per l'appunto come assenza di qualcosa; non semplicemente
esortativa ("vogliamo la pace") o consolatoria ("la pace, purchessia"), ma
una pace di tipo nuovo, capace di conoscere e guidare un cambiamento che
sappia parlare le parole di una giustizia per l'ottanta per cento degli
abitanti del pianeta (riconoscimento di universali diritti inalienabli), di
una libertà non come semplice esercizio formale del consenso, ma
espressione delle capacità di piena ed integrale autorealizzazione
individuale e collettiva. Infine, di una fraternità come riconoscimento di
appartenenza allo stesso genere umano ed allo stesso destino.
Ma per poter realizzare tutto questo, chiede, ad ognuno di noi, un ultimo
sforzo: quello di saper sognare.

MISSIONE OGGI
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