Il progetto Open-Economy nasce come spazio aperto per la discussione e la
sperimentazione di forme di economia alternative al sistema capitalistico.
Pensiamo che sia finita l epoca della rivendicazione e che si sia aperta l
epoca della costruzione. I portatori del nuovo siamo noi stessi ed al
nuovo dobbiamo uniformare i nostri comportamenti, da subito e senza
delegare. La rivendicazione comporta comunque una visione verticistica
della società, dove chi sta sotto chiede a chi sta sopra di fare qualcosa
per lui, con le buone o con le cattive. Questo non significa rinunciare
alla rivendicazione quando è possibile e necessario, ma è nostra opinione
che la preminenza deve essere data alla costruzione di una società nuova
già da ora, subito. Pensiamo che questo sia possibile oltre che necessario
e indifferibile.
Continuare a ripetere che il mondo in cui viviamo è troppo complicato
rischia di essere una scusa per non fare niente. Il male diventa
ineffabile e sfuggente, si diluisce in modo poco chiaro nel mosaico della
globalizzazione, genera rassegnazione e disincanto o sterili gesti di
rivolta, prese di posizioni eclatanti ma consolatorie. Tutti gli elementi
che contribuiscono a definire lo scenario bloccato del presente (la
politica, la società, il capitalismo, lo stesso rapporto con lambiente)
derivano da una stortura originaria: da rapporti umani troppo segnati dal
codice del potere, inquinati dal segno del dominio, cristallizzati nel
gergo dellineguaglianza, dellobbedienza e della gerarchia. Il culto
mistico e acritico della tecnica, lideologia suicida dello sviluppo
dipendono davvero da un sistema economico che si è esteso sino a coprire
tutte le dimensioni della nostra esistenza privata e collettiva. Se anni
fa ci si sentiva un pò ridicoli soltanto a nominarlo, oggi possiamo
accusare apertamente, con una nuova legittimità, questo sistema totale e
deprimente: il capitalismo.
Anche se forse è davvero troppo tardi bisogna provare a rompere, in
qualche modo e da qualche parte, il pigro imperialismo di un principio di
realtà irreale, soffocante. Cercare di costruire spazi diversi, inventare
zone alternative, restituire un senso alla vita sociale come cura e
gestione degli affari umani, provare a riprendere il mano il nostro
destino. In una situazione disperata, qualsiasi tentativo serio e
fantasioso in questa direzione rappresenta già un piccolo punto di
vantaggio, anche perché lultima chance per provare a cambiare le cose.
Una sfida terribilmente seria, niente ci garantisce che possa funzionare.
Ma va da sè che è almeno il caso di giudicare le cose in modo limpido e di
sbarazzarsi di modelli vecchi e di riflessi condizionati impresentabili,
troppo schematicamente "politici", inutilmente eccessivi, compiaciuti.
Lestremismo auto-gratificante di chi ha visto nella battaglia di Seattle
la garanzia di una svolta, laurora di una nuova rivolta planetaria o il
nuovo inizio di una "politica globale" è senzaltro una spia che il
pensiero politico e sociale della sinistra su questo sono ancora
inadeguati, spaventosamente in ritardo, subalterni per pigrizia, fretta o
ideologia a formule vuote e a slogan inutilizzabili. Una nuova politica
radicale può nascere soltanto da sforzi isolati, rifiuti senza
concessioni, consapevoli tentativi di secessione da un clima culturale,
dalla grammatica dei consumi, dalla presenza invadente o dal simulacro
dello Stato.
Pensiamo che lelemento che conta di più non è la "meta" finale,
limmagine di un futuro alternativo. Il punto essenziale sono le cose da
fare adesso, il "qui e ora" di una forma di azione e di presenza capace di
scardinare almeno in termini relativi il codice del potere e i ricatti
della gerarchia. Costruire contro-istituzioni, ritagliare sfere di libertà
e indipendenza in un contesto chiuso, soffocante. Se il tratto francamente
più allarmante della situazione attuale sta nella trasformazione del
capitalismo e delle relazioni di mercato da una forma economica a un
modello latente di società, la questione davvero allordine del giorno
riguarda, da subito, la creazione di "nuove forme di resistenza", l
istituzione di aree di vita alternative capaci di contrastare ed
indebolire un sistema come quello capitalista che si è rivelato
distruttivo per la vita sul pianeta e per gli stessi esseri umani, la
genesi di una "sfera pubblica radicale", in grado di innescare
uninversione di tendenza, un cambiamento di mentalità e una
trasformazione politica e sociale di più ampio respiro. Il dilemma non
riguarda il piano dei fini ultimi, ma la zona più ambigua del come e del
quando, il terreno costantemente aperto e incerto dei mezzi. Proprio
lurgenza del cambiamento impone discrezione, misura, pragmatismo,
capacità critica, intelligenza.
Che fare, quindi, da dove cominciare?
Oggi provare a vivere in "modo indipendente e autonomo" (Herzen) significa
paradossalmente tornare presso la stessa origine dimenticata del pensiero
politico occidentale, nel cuore nascosto della democrazia. Mentre le
grandi risposte "collettive" della modernità segnano il passo, lunica
forma di innovazione possibile e convincente ha qualcosa a che fare con il
modello classico della polis inteso non come un "modello" da imitare ma
come un seme o un "germe" vitale dellesperienza possibile di unaltro
modo di intendere le relazioni tra le persone. Il termine politica,
secondo la sua etimologia greca, si riferiva una volta ad unarena
pubblica di cittadini consapevoli, che si sentivano competenti a gestire
direttamente le proprie comunità, le loro poleis. Un immaginario politico
rinnovato coincide oggi con lesigenza, tutta da sperimentare in termini
concreti, di esperienze nuove di democrazia diretta, di partecipazione
libertaria, di autogestione e di organizzazione spontanea e dal basso.
Parole dordine queste che sembrano inattuali, disperatamente fuorigioco
nellepoca della globalizzazione planetaria. Ma proprio quando si fanno i
conti con la globalizzazione si dovrebbe riconoscere piuttosto il
carattere illusorio delle risposte troppo ambiziose - la politica globale,
la democrazia cosmopolita (act globally) - o il tratto ipocrita e
rassegnato della strada opposta, think globally, act locally. Senza essere
costretti a scegliere per forza tra due alternative obbligate e speculari
conviene piuttosto lavorare direttamente su modelli di socialità, schemi
di vita, ipotesi di liberazione legati direttamente al piano inclinato
dellesistenza quotidiana.
La nostra riflessione parte dal concetto di autonomia. Siamo interessati a
sviluppare strumenti che agevolino l autonomia degli individui - e vera
autonomia non può esserci se non è autonomia economica - e crediamo che un
sistema di economia alternativo non può che partire dai bisogni reali
delle persone ed essere legato alla vita quotidiana. E' difficile pensare
ad un mondo nuovo senza pensare ad un'economia nuova. Perciò questo spazio
è offerto a tutti coloro che hanno idee che possano contribuire alla
costruzione di una nuova economia in un mondo nuovo.
Questo progetto si chiama "Open Economy" perché si ispira al modello dell
Open Source, nato nell ambito del movimento del FreeSoftware GNU/Linux ma
che - nell accezione che ci interessa rimarcare - significa semplicemente
"codice aperto": a questo progetto chiunque può aggiungere il proprio
pensiero e il proprio contributo. L obiettivo di questo progetto, di cui
il sito e la mailing-list sono strumenti operativi, è di costruire in modo
partecipativo un modello economico, che con un acronimo - ispirato, non a
caso, a quello più famoso coniato da Hakim Bey - definiamo F.A.Z., Zone
Finanziarie Autonome.
Zone autonome che nascano senza lasciarsi ricattare dal realismo
scientifico dei rivoluzionari di professione, dallossessione della "presa
del potere", dallala protettiva e prevaricante dei partiti. Il nodo
centrale sono la pluralità di forme di socialità a valenza politica, la
spontaneità di un agire pubblico basato, come avrebbe detto Arthur
Rimbaud, sullesigenza di "cambiare vita". Una "sfera pubblica radicale"
che nasce e si esprime "by streets, square and cafes", un esercizio di
democrazia sempre legato ad una sorprendente pluralità di situazioni,
esperienze, occasioni diverse di socialità. Senza cercare di riesumare il
mito arcaico della polis, il 'modello' aureo e ambivalente dell Atene di
Pericle, il modello alternativo che ci proponiamo di costruire
collettivamente rappresenta forse lunico cuneo per scardinare questo
sistema distruttivo, erodere i vincoli soffocanti della "società di
massa", rivitalizzare in modo radicale una democrazia bloccata nella
pigrizia infinita di una ripetizione e di un imbroglio. Il progetto di una
democrazia rigenerata passa attraverso la costruzione di un intreccio
complesso di esempi diversi, postulando come meta finale non tanto una
discutibile, spaventosa unanimità, ma il modello aperto e libertario di
una nuova sfera pubblica che possa dar vita ad una nuova idea di
cittadinanza e di auto-organizzazione economica da contrapporre al
crescente potere dello stato-nazione e delle grandi imprese economiche
multinazionali e centralizzate. La scommessa fondamentale è immaginare
adesso rapporti e relazioni capaci di ridefinire simultaneamente uno stile
dell individualità e i modelli concreti di socialità, la sfera pubblica.
Pensiamo questo progetto come un laboratorio, in cui indagare le modalità
di costruzione e di funzionamento di un possibile sistema di economia
alternativo. Un modello alternativo che mentre dichiara la sua
intransigente secessione dalla società insiste sulla definizione di nuclei
quasi-politici basati sullazione di minoranze concrete, consapevoli. Un
modo - lunico realistico - per tornare alle radici stesse della
democrazia, per provare a sperimentare le sue promesse mancate, diluite e
sciupate in unidea di politica già declinata in modo reazionario secondo
il codice del potere e lossessione della gerarchia. Se riusciremo a
costruire un modello che funziona, potremo provare a costruire nel mondo
tante FAZ in contatto tra loro e che vivono fuori dalla logica del
capitalismo finanziario.
Open-Economy
magius, domenicods
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