[Cerchio] israele

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Author: Emiliano Bussolo
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Subject: [Cerchio] israele
Sono giovani e violenti: non riconoscono più l'autorità dello Stato
Coloni contro la polizia, ultimo incubo di Sharon
I loro rabbini incitano i soldati sconcertati a disubbidire agli ordini
qualora fossero comandati a sgombrare un insediamento di sabato


22 ottobre 2002


di Fiamma Nirenstein
corrispondente da Gerusalemme


GERUSALEMME. Da un brutto sogno a un incubo, da feroci scontri fra cittadini di un Paese che avrebbe tutto l'interesse a essere unito contro il terrorismo, al terrorismo stesso, che torna in grande. I ragazzi, biondi e con lungi riccioli che escono dai lati delle kippà fatte a uncinetto, distintivo dei religiosi nazionalisti, e le ragazze con le gonne lunghe e i capelli sulle spalle, i giovani settler infuriati sono il nuovo fenomeno di cui tutta Israele si angoscia: a centinaia sono tornati e tornati di nuovo, di giorno sotto il sole, di notte quando i soldati se n'erano andati, per riprendersi gli insediamenti da cui erano stati sgomberati.

Sono venuti a frotte, mentre gli stessi militanti di Yesha, la Giudea e la Samaria, si chiedono da dove escano questi «bellimbusti, hooligani», a dare battaglia fisica contro i soldati israeliani, a gridare loro «traditori», «schiavi di Ben Eliezer» (il Ministro della Difesa), e persino «nazisti». Hanno tirato contro i soldati - che hanno difeso a prezzo della loro vita i loro insediamenti - bottiglie piene d'acqua, frutti, vernice, talvolta pietre. I feriti sono stati dozzine, da ambedue le parti. In due giorni una cinquantina di poliziotti, una ventina di soldati e una trentina di settler sono stati trattati all'ospedale, e molti di più hanno almeno un occhio nero oppure fasciature e cerotti in varie parti del corpo.

Quindici settler sono stati arrestati per comportamento violento. I giovani settler sono stati protagonisti della battaglia di Havat Gilad, uno degli insediamenti costruiti come avamposti - approfittando dell'indifferenza del governo in tempo di guerra - con container e capanne di metallo, vicino a Nablus. Il governo ha dato l'ordine di sgomberare proprio di sabato, quando le leggi religiose proibiscono ogni lavoro che non sia giustificato dallo scopo salvare vite umane. I soldati religiosi, oltre che sconvolti dal compito di attaccare i propri concittadini, sono stupefatti e arrabbiati per aver dovuto desacralizzare il sabato.

Sulla lista degli sgomberi ci sono altre decine di avamposti, e il consiglio della Giudea e della Samaria (Moetzet Yesha) sente che, a causa della situazione internazionale e del probabile imminente attacco all'Iraq, si avvicina un riassetto generale che li mette a rischio. «E' gente stressata e impaurita, e anche molto motivata: dal settembre del 2000 al settembre di quest'anno hanno avuto 1285 attacchi terroristici in Giudea a Samaria, di cui 334 a fuoco e 846 con ordigni esplosivi» dice il portavoce della polizia Gil Kleiman, cercando una spiegazione della violenza di coloro che i suoi uomini hanno combattuto nelle scorse ore.

Ma ciò non toglie che anch'egli appaia colpito, come tutta Israele. Sharon ha dichiarato che «ogni assalto alle forze dell'ordine sono da noi vigorosamente condannate. E questo è un attacco alla legge stessa». In tempo di guerra, attaccare l'esercito è, agli occhi della maggioranza degli israeliani, di tutti i colori, un segno di intollerabile mancanza di senso di responsabilità. Il grande attacco terrorista di ieri sera, che con più di cento chili di esplosivo ha fatto almeno dieci morti e decine di feriti, ha come risvegliato d'un tratto alla realtà la scena nazionale che da sabato sera era affondata in un'incredibile palude della discordia.

Improvvisamente, di fronte alla bruciante asserzione di alcuni rabbini dei settler - che i soldati devono disubbidire se viene ordinato loro di sgombrare gli insediamenti - la storia è tornata indietro di anni, a prima dell'assassinio del premier Yitzhak Rabin: come se niente fosse accaduto in questi anni, come se al di là delle convinzioni personali non ci fossero stati quasi settecento morti per terrore, come se per i giovani abitanti degli insediamenti non ci fosse niente di più significativo della lamiera di ferro che faceva da tetto al loro avamposto.

Da sabato sera alle sette, quando duecento soldati sono arrivati di fronte al palcoscenico sassoso e giallo dei pochi caravan appoggiati sulla sabbia di Havat Gilad (dal nome di un giovane ucciso nella zona), si è scatenata un'autentica battaglia, accompagnata da scontri verbali che hanno precedenti solo al tempo degli accordi di Oslo. Effi Eitan, il Ministro delle Infrastrutture del partito nazionalista religioso, ha chiamato il Ministro della Difesa «Fuad» Ben Eliezer, del partito laburista, «stupido e bugiardo», e ha detto che è lui a dover essere sgomberato, e non i settler.

La risposta è stata parimenti sprezzante. Sharon in queste ore era impegnato negli ultimi tocchi allo sgombero di Hevron da tenersi in queste ore, nella consegna di due milioni di shekel (ciascuno del valore di circa venti centesimi di euro) all'Autorità nazionale palestinese e nello sgombero delle colonie illegali, oltre che occupato a definire l'atteggiamento da tenere con William Burns, l'inviato di Bush in arrivo in questi giorni, che giunge con un piano di graduali concessioni territoriali sostenuto da iniziative economiche.

E’ su questo sfondo che si sono stagliate le scene di violenza dei settler contro i soldati: il dolore si è mescolato con l'esasperazione, la propria causa con l'illusione pericolosissima di essere i depositari della verità. I capi di Moetzet Yesha hanno proibito qualsiasi gesto di insubordinazione nell'esercito, e anche ogni reazione violenta. Ma anche se in queste ore la situazione si è calmata, quello che si è visto parla della sanguinosa rottura che anche dopo due anni di guerra permane nella società israeliana: un gruppo di duecento ragazze, strette insieme, hanno fatto scudo con i loro corpi a una capanna di metallo dalle cui finestre si affacciavano gli adulti, ammassati gli uni sugli altri, finché la polizia e i soldati hanno trascinato via una a una le dimostranti, a volte usando fino a sette uomini in divisa per persona, così da evitare violenza fisica troppo ravvicinata.

I tetti erano fitti di dimostranti e di soldati che cercavano di buttarli di sotto. Le lamiere divelte e lasciate per terra, tagliate e sradicate con cesoie e catene, sono state dopo poche ore rimesse in piedi, per essere buttate giù di nuovo. Un gruppo fitto di giovani buttati l'uno sull'altro dagli scontri si è messo a cantare da terra l'inno israeliano, ha Tikva. Alcuni soldati si sono sentiti male. Uno, impallidito, ha vomitato in preda a un terribile shock.

Alcuni dei giovani, di cui i capi del Moetzet Yesha seguitano a ripetere che si tratta di infiltrati, hanno tagliato le gomme dei veicoli dei soldati e li hanno presi a sassate. Altri scontri violenti tra le forze dell'ordine e i settler sono avvenuti nel corso degli ultimi giorni fra i coloni e gli attivisti di «Pace Adesso», che si erano uniti, con intento evidentemente politico, ai palestinesi che raccolgono le olive nella zona di Yzhar e Itamar in Samaria. Sono volate urla e persino spari.