Author: luisa rizzo Date: Subject: [Lecce-sf] Regina Pacis
da Liberazione del 28 agosto 2002
-------------------------------------------------
Viaggio nel Salento, dove approdano le carrette del mare e i bagnanti
prendono il sole a un passo dal centro di "accoglienza" Regina Pacis
di Stefano Galieni
Il piazzale è ampio: un automezzo dei carabinieri e intorno alcune
automobili private.
L'uomo in costume da bagno si avvicina ad un agente di guardia e chiede:
"Posso parcheggiare qui?". Una donna si asciuga il sudore dal viso mentre
tenta di trattenere un bambino già pronto con maschera e pinne. "Parcheggi
pure, tanto c'è posto". Risponde l'agente improvvisato posteggiatore. Del
resto il piazzale assolato è l'unico posto rimasto libero. Sotto le mura
dell'edificio guardato a vista dai carabinieri le automobili posteggiate
formano una lunga ininterrotta cornice sin dalle prime ore del mattino.
San Foca, sul lungomare salentino: qui le alte scogliere che caratterizzano
buona parte della costa, lasciano posto ad una spiaggia bianca. L'acqua è
bassa e limpida, di un turchese che fa dimenticare i tropici, tanti
ombrelloni in fila, ordinati e aperti, i villeggianti oziano godendosi
finalmente giornate di sole. Solo un'ombra si staglia alle spalle dello
stabilimento balneare Solero, un'ombra incombente. Un edificio alto e
massiccio la cui funzione è resa ancora più esplicita dalle barriere di filo
spinato che ricoprono il muro di cinta. Il cortile interno è quasi deserto,
solo alcuni bambini che giocano, il cancello si apre per un istante, escono
due ragazze. Su di loro gli sguardi tutt'altro che indifferenti degli agenti
di guardia e di alcuni operai che nel frattempo stanno incollando le ultime
maioliche al muretto del cortile. I lavori di restauro sono quasi finiti, ma
il bianco e il celeste delle pareti, la brillantezza delle mattonelle
intonate col mare non riescono ad attenuare l'effetto inquietante
dell'edificio.
La famigliola ha parcheggiato l'automobile e si avvia verso la spiaggia,
l'uomo spiega con forte accento emiliano: "Mi hanno detto che lì dentro c'è
un centro di accoglienza per immigrati. A me pare più che altro un carcere".
E un carcere in effetti lo è il Centro Regina Pacis anche se la
denominazione burocratica "Centro di permanenza temporanea" tenta, come la
tinta alle pareti, di attenuarne il significato. Uno dei 12 centri sparsi
per l'Italia in cui i cittadini stranieri privi di documenti di
identificazione possono esser segregati per un mese (due quando entrerà in
vigore la Bossi Fini) prima di essere per lo più rimpatriati.
Ma il Regina Pacis è speciale, le tante ombre e le poche luci della sua
storia si intrecciano con la figura di colui che lo gestisce con piglio
manageriale. Don Cesare Lodeserto è un personaggio che pare uscire dalla
letteratura, a parlarci sembra di avere a che fare con uno dei più strenui
difensori dei diritti dei migranti, anzi sembra dovuto alla sua presenza e
al suo impegno se le condizioni di vita nel centro sono sopportabili. Certo
buona parte dei reclusi farebbe volentieri a meno di tanta generosità ma
l'alternativa è il rimpatrio o centri come quelli siciliani ancora più
invivibili. La biografia di questo strano sacerdote è attraversata da
vicende a dir poco ambigue. Anni fa dichiarò di essere sfuggito
miracolosamente ad un sequestro, lo scorso anno si ritrovò sul tavolo un
avviso di garanzia, l'accusa era di aver sottratto 200 milioni di vecchie
lire alla diocesi. Il vescovo, quel Mons. Ruppi che oggi riempie le cronache
locali per il sostegno offerto allo smantellamento delle strutture sanitarie
pubbliche effettuato dal governatore della Regione Fitto, ha scagionato
Lodeserto dall'accusa infamante dovuta, a suo dire, ad un malinteso.
Il business delle rette
E don Cesare continua ad essere l'indiscusso signore del Regina Pacis, amato
temuto, da qualcuno anche odiato, pochi mesi fa ha subito anche un tentativo
di accoltellamento. Tra le tante perplessità una certezza, attorno al vai e
vieni di immigrati aprire un centro si è rivelato un ottimo business, per
ogni persona che passa lo Stato paga una retta, in più ci sono aiuti,
donazioni, interventi di ristrutturazione e di ampliamento. Il centro di San
Foca è diverso dagli altri: insieme ai "temporaneamente reclusi" ci sono
ragazze sfuggite alla prostituzione che hanno la possibilità di uscire e
lavorare nei ristoranti dei paesini limitrofi, detenuti, sempre stranieri
che beneficiano di misure alternative alla pena, uomini e donne che nel
centro hanno trovato lavoro e adesso ci vivono stabilmente.
Ma questo ai bagnanti fuori non è dato saperlo: il bagnino del "Solero" non
nasconde il fastidio per la vicinanza con il centro: "Stavamo quasi per
chiudere perchè i turisti avevano paura e non venivano più. Non è possibile
che in una zona che vive grazie alle sue spiagge si scoraggi i villeggianti
in questo modo. Volevamo vendere lo stabilimento ma l'acquirente quando si è
reso conto della situazione ha rinunciato all'acquisto. Quest'anno va un po'
meglio, ci si comincia a fare l'abitudine. Certo che non si può deturpare il
paesaggio con quella sconcezza". Il bagnino ce l'ha con il campetto di
calcio che arriva quasi sulla spiaggia, circondato da un reticolato alto
quattro metri, sembra più un pollaio che un luogo di svago. Fra i bagnanti
prevale l'indifferenza: quasi tutti dimostrano di sapere che "lì dentro ci
stanno gli extracomunitari", qualcuno pensa che la reclusione derivi da un
reato che non esiste, la clandestinità, ma che nell'immaginario comune è
ormai sinonimo di devianza.
La signora ignora
Una signora sprofondata nella sdraio mostra insofferenza: "perchè non li
rimandano a casa loro? Invece vivono a spese nostre". La signora ignora come
vivono, perchè sono arrivati, ignora le stanza con i letti a castello che
arrivano a contenere 24, 30 persone, non vede i bambini che giocano fra le
sbarre. Ma ignorare è quasi inevitabile, se si prova a chiedere notizie
rispetto ai reclusi, semplicemente conoscere il loro numero, pare di violare
un segreto fondamentale per la sicurezza del paese. Don Cesare non c'è, un
suo collaboratore consiglia di parlare con l'ufficio immigrazione della
questura dove rimandano al capo di gabinetto che deve prima chiedere
autorizzazione al ministero. Ma questo non basta, bisogna chiamare la
Prefettura dove chi può fornire le informazioni precise non è al momento
raggiungibile. Funzionari cortesi e comprensivi si scusano per
l'inconveniente ma non riescono ad allontanare il dubbio che dietro questo
rimpallarsi continuo, dietro tanta discrezione si nasconda la volontà di
allontanare l'attenzione da luoghi come il Regina Pacis. Le voci si
rincorrono: forse sono arrivati alcuni degli scampati al sovraffollamento di
Lampedusa, forse la ristrutturazione in corso è anticipazione di un
ampliamento dei posti disponibili. Perchè di posti ne serviranno.