La nonviolenza richiede un gruppo ben preparato. E questo un punto cruciale
del metodo, e Gandhi ne era estremamente preoccupato; alcune azioni si
svolsero male, appunto per la insufficiente preparazione e disciplina, per
linfiltrarsi di elementi disordinati e non maturi ad una tale lotta. Una
lotta nonviolenta poggia principalmente non sulla quantità, ma sulla
qualità, sulla forza dellanima (che può essere anche in donne e ragazzi),
sulla padronanza di sé, sullo spirito di sacrificio, insomma sul valore
morale di ciascun combattente. Scrive Gandhi:
Là dove lordine del giorno è di non contare che su se stesso, là dove
nessuno deve guardare al suo vicino per lattesa di un soccorso, là dove non
ci sono né capi né seguaci, o dove tutti sono capi e tutti seguaci, la morte
di un combattente, per eminente che sia, non produce allentamento della
lotta, ma, al contrario, la intensifica
Nel caso in cui uno dei nostri capi
sia arrestato, noi non dobbiamo opporci al suo arresto, né scatenare
disordini. La nostra causa non sarà perduta, per il fatto che il governo
abbia arrestato i nostri capi; ma sarà perduta certamente se noi perdiamo la
testa e commettiamo violenze
Bisogna imparare la virtù di una disciplina di
ferro, non imposta dal di fuori, ma sorta naturalmente dal di dentro
La
resistenza nonviolenta non può avanzare di un passo senza il coraggio.
Possono avanzare nel cammino fino al raggiungimento dello scopo soltanto
coloro che sono liberi di ogni paura per i loro beni, per il loro onore male
inteso, per i loro parenti, per il governo, per le violenze, per la
morte
Ogni lotta per la giustizia passa per la prova di cinque tappe:
lindifferenza, il ridicolo, la calunnia, la repressione, il rispetto.
(
)
Modi di comportamento:
1. La costante gentilezza e pronta lealtà verso tutti; la gentilezza è
unespressione della vita nonviolenta, come una volta leremitismo era una
posizione della vita religiosa; gentilezza vuol dire anche tono generalmente
calmo e chiaro della voce;
2. La cura della pulizia personale, degli abiti, delle cose circostanti;
essa suscita rispetto verso sé stessi e rispetto negli altri verso il
nonviolento, mentre è facile destare violenza contro chi è sporco, puzza,
non si lava ed è trascurato nel vestito e nelle sue cose;
3. Un buon umore e spesso lo humour (
). Insomma il nonviolento lascia
ridere gli altri su di sé, e si associa spesso a loro;
4. Lattenzione a mantenersi in buona salute e capaci di resistere agli
sforzi, mediante la sobrietà, regole igieniche, cure, è utile al nonviolento
per possedere una riserva denergia per affrontare prove straordinarie.
(tratto da Aldo Capitini, Le tecniche della nonviolenza, Feltrinelli 1967)
Lascio ad ognuno/a la ricerca delle analogie con ciò che è capitato il 28
sera.
In particolare direi due cose sul caso in cui un ciclista venga colpito da
una macchina o venga fermato dalla polizia o dai vigili per essere multato
per intralcio al traffico. Sono convinto che fare mucchio intorno in questi
casi non sia saggio e va contro il pensiero Gandhiano. Secondo me il gruppo
deve continuare, la solidarietà la tira fuori quando cè da testimoniare
lincidente. Accanto al colpito dovrebbero rimanere al massimo 3-4 amici,
sia per assistere linfortunato che ha avuto sicuramente una grossa ferita
psicologica anche se non si è fatto nulla e prevenirne reazioni. Chi subisce
un incidente in bici viene ferito dalla violenza, e questa violenza quasi
inoculata in lui deve essere buttata fuori in qualche modo. Io sono ritenuto
un tipo pacifico, eppure quando una volta una macchina mi ha piegato la
ruota posteriore ad un incrocio ho smadonnato e volevo fare a pezzettini
lautomobilista. Che era pure una bella ragazza Stessa scarica dadrenalina
alla prima CM quando sullisola pedonale di via del Corso uno scooterone mi
ha speronato. Volevo reagire violentemente. Me la sono cavata facendo uno
sprint che mi ha tolto questi pensieri. Ecco, un buon antidoto alla violenza
è la bici, pedalare con un po di fatica. anche per questo bisogna pedalare
un po più veloci. Io in bici a Roma ho una media di quasi 20 km/h, in
pianura vado a 25 circa, in salita intorno ai 15 e in discesa verso i 35. Io
dico che non tutti sono in grado di reggere questo ritmo, però un patto tipo
20 km/h in pianura, 10 in salita e 30 in discesa? è molto tranquillo,
limportante è che chi sta dietro non dica rallentate!, semmai dietro ci
devono stare quelli che spingonoil gruppo, e chi non ce la fa ad andare a
10 allora non sa pedalare e quindi non è un ciclista e quindi cosa ci fa
alla CM? Poi cè un fatto di dimensioni del gruppo. Credo che non siamo
ancora massa critica, troppo poche le bici: dovrebbero essere almeno 300 per
metter il cuore in pace agli automobilisti e rassegnarli a non sorpassare.
Invece adesso vedono alcuni ciclisti e poi il vuoto: grazie che vogliono
superarci! Io credo che, a parte strade strette, ora come ora possiamo solo
fare una massa visibile. Ovvero, se il problema principale è il fatidico
Non lho vista, mi dispiace detto dal motorizzato al ciclista investito,
andare in gruppo crea visibilità e ci si può aiutare a vicenda, anche senza
bloccare tutta la carreggiata. Ho notato che al centro della massa si pedala
senza rischi perché protetti ai lati. Questo incoraggerebbe molte persone a
usare la bici! Le critical mass di visibilità potrebbero essere fatte
anche di giorno, tutti i giorni, ovunque: basta dare la coincidenza giusta.
In pratica, se non ci fanno le piste, per difenderci ci muoviamo in gruppo.
Se uno viene contravvenzionato, accettare tutto senza problemi. E il
massimo che possono farci sono 60 euro di multa circa. Che per di più sono
relative ad infrazioni molto difficili da contestare e molto facili da farsi
annullare con ricorso. Se vogliamo essere solidali, facciamo la colletta per
gli eventuali 1-2 ciclisti multati o quelli che hanno subito danni alla
bici. Ma non fermiamo il gruppo. Facciamo sì che serva 1 pattuglia per ogni
ciclista. E difficile che inviino 100 pattuglie, solo così potrebbero
azzerare il gruppo.
Scusate la lunghezza del testo
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