Nuovi percorsi per l'anarchismo
di Thomas S. Martin
tratto dalla rivista Libertaria 
http://www.libertaria.it
 * * * *
 
   Il mondo futuro, qualsiasi forma dovesse prendere, non sarà frutto di una 
netta rottura con il passato; la storia dopotutto è dialettica. 
   I nuovi sistemi si strutturano allinterno dei vecchi. Possiamo presumere 
che la critica anarchica, rivolta agli errori strutturali della civiltà 
occidentale, sopravviverà sotto altra forma. 
   Questo saggio azzarderà alcune previsioni sulle configurazioni che questa 
critica potrebbe assumere. Dato che il cambiamento è ancora allinizio e 
prevedere il futuro è pratica notoriamente incerta, ciò che segue potrebbe 
essere errato. Ma in qualche modo si deve pur iniziare. 
   Propongo che gli anarchici comincino a ripensare alcune delle loro idee 
alla luce delle correnti e delle ricerche contemporanee nel campo della 
fisica post-einsteiniana e della teoria dei sistemi. Negli ultimi ventanni 
molto è stato scritto su queste discipline limite. Buona parte è spazzatura 
New Age, o, allaltro estremo, è accessibile solo agli specialisti. Ma molti 
elementi di questa ricerca sono direttamente rilevanti per il pensiero 
radicale. Quello che la fisica  e la teoria dei sistemi suggeriscono sulla 
natura della realtà è totalmente estraneo allesperienza quotidiana del 
pensiero occidentale e per questo non dovremmo sorprenderci se risultasse 
priva di senso. Probabilmente parte di essa lo è. Ma è fuori di dubbio che la 
visione del mondo occidentale, condivisa anche dallanarchismo, sia basata su 
una serie di premesse palesemente false. Il fatto è che i fisici e i 
cosmologi ci stanno trascinando, volenti o nolenti, verso una frontiera che 
pochi di noi sono disposti a superare. Come è noto, il libro di Thomas Kuhn 
La struttura delle rivoluzioni scientifiche descrive i «cambiamenti di 
paradigma», ovvero quelle periodiche  trasformazioni nel modo di rapportarsi 
al mondo che scandiscono la storia, creando nuove premesse fondamentali che 
sono «incommensurabili» con le vecchie. Il termine paradigma viene usato da 
tutti, e il fatto che se ne siano impadroniti i capitalisti delle 
multinazionali per descrivere il prossimo passo della loro conquista globale 
è particolarmente irritante. Ciò nonostante, il termine sembra essere 
appropriato, e i «radicali» dovrebbero riappropriarsene. A dire la verità 
Kuhn descrive cambiamenti secondari: la caduta dellimpero romano, il 
collasso delle teorie medioevali, la cosiddetta rivoluzione scientifica del 
diciassettesimo secolo. Sono stati mutamenti profondi, ma non fondamentali. 
Hanno tutti avuto luogo entro il contesto di base della cultura occidentale, 
così come è stato costruito in Mesopotamia alcune migliaia di anni fa. Nel 
linguaggio dei sistemi essi sono stati «confermativi» piuttosto 
che «innovativi», cioè non hanno indebolito la visione del mondo su cui si 
reggevano, ma lhanno piuttosto potenziata. Quello che osserviamo oggi, 
invece, è forse linizio del primo cambiamento sostanziale di paradigma dai 
tempi della rivoluzione neolitica. Non sono esistiti molti paradigmi 
fondamentali nella storia  umana. Quello cinese è più resistente e stabile 
del nostro. Il paradigma olistico-animistico condiviso dalle popolazioni 
indigene di tutto il mondo può ancora essere daiuto, se non lo distruggeremo 
prima. I paradigmi sono sistemi dinamici della coscienza umana, sono 
inerentemente conservatori e autosufficienti; una volta certi che uno di essi 
funziona, non lo abbandoniamo più. La nostra sanità mentale e la nostra 
sopravvivenza, infatti, si basano sulla verità del nostro particolare 
paradigma. Ecco perché i paradigmi sono così difficili da rimuovere, anche se 
sono chiaramente nocivi. Le crisi del ventesimo secolo e in particolare gli 
impulsi ecocidi del tardo capitalismo, hanno spinto il paradigma occidentale 
verso la sua fine. Tutto è in procinto di crollare, compreso lanarchismo. Se 
riusciamo a sopravvivere e a modellare un nuovo paradigma, lanarchismo come 
lo conosciamo sembrerà antiquato e inutile come la scrittura cuneiforme. 
     
Anarchismo, 
teoria dei sistemi e nuova fisica 
Il  primo passo verso un atteggiamento mentale post-occidentale è lo studio 
della fisica come si presenta dopo gli sviluppi inaspettati di Albert 
Einstein. Più di un osservatore ha notato che la fisica, la religione, la 
psicologia e anche la linguistica stanno convergendo verso una spiegazione 
generale delluniverso che assomiglierà poco al modello che tutti noi 
studiamo a scuola, la visione del mondo creata secoli fa da quella profana 
trinità di Francis Bacon, René Descartes e Isaac Newton. I nuovi ingredienti 
sono lolismo e la filosofia del processo, sviluppate da Henry Bergson, 
Alfred Whitehead e da molti altri; la meccanica quantistica con i suoi 
misteriosi paradossi, lindeterminazione di Werner Heisenberg e i principi di 
esclusione di Wolfgang Pauli; pochi altri modelli tanto radicali da sfidare 
le classificazioni: in particolare le ricerche di Gregory Bateson, Rupert 
Sheldrake, e Ilya Prigogine. Alcuni anarchici ne hanno già intravisto le 
implicazioni. Murray Bookchin si distingue tra la massa principalmente perché 
sottolinea i potenziali anti-libertari nelle opere di scienziati non molto 
interessati alla teoria politica. Non è necessario soffermarsi qui su una 
discussione approfondita della meccanica quantistica, della teoria dei 
sistemi o dei loro rapporti. Le loro implicazioni radicali si possono 
riscontrare nel lavoro di Fritjof Capra, Morris Berman, Timothy Ferris e 
altri. Possiamo quindi andare al dunque: le recenti teorie di David Bohm e di 
Geoffrey Chew e le loro implicazioni per un anarchismo post-occidentale. 
     
Lidea che la realtà possa essere ridotta a un «campo» di qualche tipo (nel 
quale gli oggetti sono modellati  dallambiente esterno, e a loro volta lo 
rimodellano) non è nuova, ma David Bohm ha suggerito un campo «olografico» in 
cui ogni  settore contiene il complesso del campo stesso. 
La nostra idea (presa dalla matematica classica) che tutto possa essere 
localizzato in un «punto» dello spazio e del tempo diviene priva di senso. 
Secondo Bohm lordine e il caos che percepiamo nel regno della fisica sono 
epifenomeni dell«ordine implicito», una struttura che è il fondamento di 
tutte le strutture e tutti i sistemi e che non è direttamente accessibile 
alle nostre menti. Lordine implicito, trascendente e olografico, include 
tutti i potenziali oggetti ed eventi. E soprattutto è vero, mentre il 
nostro «mondo reale» è solo leffetto di superficie di quella realtà: gli 
oggetti sono astrazioni, sono «sottototalità relativamente indipendenti», 
come vortici in una corrente. La coppia di errori più grandi e pericolosi che 
lanarchismo condivide con altre filosofie occidentali sono quelli che per 
comodità chiamerò «dicotomia», ovvero lo smembramento del mondo in parti che 
esistono solo nella nostra mente, e la «reificazione», cioè credere che 
queste parti siano fondamentalmente reali. Il nostro modo di vedere entità 
separate dove ci sono solo unità inscindibili è la causa dei tanti problemi 
della civiltà occidentale e potrebbe invero rivelarsi la fine per noi tutti. 
     
La «teoria bootstrap» di Chew è così rivoluzionaria da poter essere 
considerata al di là della linea paradigmatica, non come lultimo modello 
occidentale di fisica, ma come il primo post-occidentale. Si basa 
sulla «teoria S-matrix», un modello matematico delluniverso proposto per la  
prima volta da Heisenberg nel 1943 per spiegare la forte interazione degli 
adroni a livello subatomico. La «teoria S-matrix» suggerisce che i modelli di 
movimento delle particelle non siano veramente essenziali: essi hanno origine 
dalla tendenza di quelle particelle a comportarsi in un certo modo. Secondo 
Chew lunica possibile spiegazione del successo della «teoria S-matrix» è che 
la materia non esiste per nulla e che luniverso è una «serie di eventi 
dinamici e intercorrelati. Nessuna proprietà delle diverse parti di questa 
trama è essenziale, esse derivano tutte dalle proprietà delle altre parti. È 
la coerenza globale delle loro reciproche interrelazioni a determinare la 
struttura dellintera rete». In questo modello tutte le leggi, fisiche, 
chimiche o storiche, sono costruzioni puramente umane, che la nostra mente 
impone alla realtà che va al di là della nostra comprensione. Le strutture e 
i processi sono «coerenti» in sé e tra loro, ma non lo sono rispetto a un 
qualche principio fondamentale che si ponga «fuori» dai processi stessi. 
Lipotesi «bootstrap» fa crollare lintero progetto della filosofia 
occidentale, il cui obiettivo è di  rivelare i principi ultimi che regolano 
il funzionamento delle cose: si tratta di una ricerca che oggi ci appare come 
un tuffo in un pozzo senza fondo. Invece di perdere il nostro tempo a cercare 
postulati fondamentali, dovremmo seguire lesempio dei mistici, che ricercano 
una intuizione diretta piuttosto che  una comprensione razionale. Questa 
intuizione deve essere adottata dallanarchismo post-occidentale per 
comprendere direttamente e intuitivamente quale ruolo abbiamo nel mondo. La 
nuova fisica si accorda con le opinioni «primitive» delle popolazioni 
indigene meglio di quanto faccia con ciò che esce da un qualsiasi seminario 
universitario o da un acceleratore di particelle. Lo sciamano dei Pueblo, 
nella sua polverosa kiva, sul funzionamento del mondo sapeva molto di più di 
Robert Oppenheimer rinchiuso nel suo laboratorio di Los Alamos. Lossessione 
occidentale di ammazzare, espropriare, convertire e nascondere le popolazioni 
indigene è ora più facile da comprendere. Loro conoscevano la verità, mentre 
noi ci ostinavamo a vivere nella menzogna: non riuscivamo a guardarli in 
faccia. Il mondo post-occidentale, qualunque forma assumerà, dovrà accostarsi 
umilmente, supplicando, al selvaggio dipinto, al mangiatore di mescal che una 
volta disprezzava. Gli anarchici giustamente disdegnano le «filosofie» New 
Age e le considerano chiacchiera confusa e superficiale dettata 
dallegocentrismo del tardocapitalismo. Ma non dobbiamo gettar via il bambino 
con lacqua sporca. Le popolazioni indigene hanno veramente qualcosa di 
profondo da insegnarci. 
     
Tutte queste diverse idee si uniscono in modo affascinante nella teoria dei 
sistemi, prodotta dal contributo di cibernetica, fisica dei quanti, teoria 
del caos, e molte altre discipline. La teoria dei sistemi non è cosa nuova, 
ma è stata accettata molto lentamente per ragioni più politiche che 
scientifiche. Un «sistema» è un aggregrato di elementi correlati, la cui 
identità non è data dalla natura dei componenti, ma da quella delle loro 
relazioni dinamiche. Inoltre la teoria assume che nessun elemento del sistema 
sia autonomo; tutti sono «oloni» (il termine è di Arthur Koestler), ovvero 
sono fenomeni che sono simultaneamente parte del tutto. È un altro modo di 
dire che il tutto è maggiore della somma delle sue parti, un concetto molto 
antico. Molti anarchici obietteranno che la teoria dei sistemi è pregiudicata 
dalla sua abitudine a descrivere le interconnessioni in termini di gerarchia. 
Il punto è centrato, sebbene sia basato sulla fusione tra due fenomeni 
abbastanza dissimili che portano lo stesso nome. Una gerarchia sociale o 
politica è una creazione umana fittizia, che fa violenza allordine naturale 
delle cose. Le gerarchie dei sistemi sono naturali per definizione, ma 
probabilmente sarebbe meglio pensarle come trame, come reti. Possono essere 
visualizzate come orizzontali, piuttosto che verticali, eliminando i valori 
impliciti di termini quali alto o basso, senza compromettere la sostanza 
della teoria stessa. Dalle origini della teoria dei sistemi, giudicata 
meccanica e cibernetica, sorge unaltra valida obiezione. Il linguaggio dei 
sistemi tende ancora a trattare i fenomeni sociali e culturali come se questi 
si comportassero come strutture chimiche o fisiche. Questo richiama alla 
mente il riduzionismo e il meccanicismo a cui ci si dovrebbe opporre. 
Sfortunatamente la teoria dei sistemi è in gran parte un prodotto della 
ricerca bellica della seconda guerra mondiale. Fu inventata, come i computer  
e la teoria dei giochi, per facilitare leliminazione di un numero sempre 
maggiore di persone. Lidea sta perdendo questa connotazione tipica dei suoi 
inizi, ma nella mente popolare la parola «sistema» ha ancora una connotazione 
scientifica e capitalistica. Entrambe queste critiche possono essere superate 
con unaccurata attenzione alla terminologia e con la consapevolezza che la 
teoria dei sistemi, come molto altro, possa essere utilizzata per scopi buoni 
o cattivi. 
     
La teoria dei sistemi iniziò a prendere forma negli anni Venti, quando i 
fisici provarono la falsità della visione newtoniana delluniverso, quale 
collezione di oggetti separati tra loro. Linaugurazione dell«era dei 
quanti» fu la prima incrinatura nei fondamenti del paradigma occidentale. 
Filosofi, matematici, biologi e molti altri scienziati dovettero 
riconsiderare la loro idea del mondo come una grande macchina che poteva 
essere compresa con lanalisi delle sue varie parti costituenti. Mentre si 
giungeva a una più profonda verità, ciò che prima era dogma divenne 
mero «meccanicismo» e «riduzionismo»: i fenomeni devono essere intesi come 
degli insiemi dinamici; quando li si riduce alle loro parti costituenti non 
possiamo ottenere un loro quadro accurato. Tutte le scienze tradizionali sono 
allora state considerate utili solo per descrivere la struttura dei fenomeni; 
per spiegare la loro funzione occorreva invece una nuova metodologia. Si 
dovette sostituire «il mondo come macchina» con «il mondo come sistema». 
Da questo iniziale cambiamento si sviluppò un gruppo di nuove discipline che 
non riuscirono a inserirsi nelle vecchie categorie: la semiotica, 
le varie forme di strutturalismo, la teoria dei giochi e della decisione, la 
cibernetica, la logica fuzzy e cose del genere. 
     
Gli eterni quesiti filosofici, come il problema mente-corpo, loggettività, 
la contrapposizione tra il determinismo e il libero arbitrio e quella tra il 
meccanicismo e lorganicismo, cessarono di avere significato. Abbiamo 
cominciato a capire che quando manca una risposta soddisfacente, 
probabilmente cè qualcosa che non va nella domanda. Senza dilungarsi oltre, 
è ora ovvio che la nostra intera concezione del mondo è basata su una 
risposta stupendamente falsa alla domanda «cosè la realtà?». Come ha fatto 
la filosofia occidentale, che si basa su una tecnologia e una scienza 
vincente e omnicomprensiva, a cadere in un errore tanto grave? E come 
potevano le popolazioni indigene primitive, con i loro sciamani che ballavano 
intorno al fuoco e indossavano stupide maschere, essere così nel vero sul 
funzionamento della fisica e della cosmologia? La risposta non è difficile o 
arcana. Unappropriata comprensione della natura delluniverso, dei suoi 
sistemi, della sua indeterminatezza, del suo olismo, è un processo di 
adattamento, che si evolve seguendo i successi della razza umana. Se i nostri 
antenati non lavessero capito, non saremmo mai scesi dagli alberi. 
Analogamente, la nostra civiltà moderna ha stabilito le sue gerarchie e ha 
imparato a controllare la natura (incluse le persone) precisamente perché 
alcuni uomini hanno dimenticato ciò che levoluzione aveva loro insegnato. 
Grazie alleccezionale flessibilità delle nostre menti (e delle nostre mani), 
siamo stati in grado di continuare questopera di aberrazione per molte 
migliaia di anni. Ma nella fisica come nellevoluzione tutto deve avere una 
controparte, ci vuole un riequilibrio della bilancia. La sintropia si paga 
con un incremento dellentropia. Si è chiesto un prestito, e ora bisogna 
pagare  le rate. 
Il prezzo potrebbe essere altissimo: lannientamento della nostra specie. La 
prima rata è già stata pagata sotto  la forma dei sistemi totalitari del 
nostro secolo, con le loro politiche di genocidio ed ecocidio, senza parlare 
delle guerre più distruttive della storia umana, nonché dellattuale tasso di 
estinzione delle specie, senza precedenti nel passato. Gli anarchici non 
hanno adeguatamente affrontato il significato della storia del ventesimo 
secolo. Servendosi delle nuove metodologie di comprensione del mondo, si 
dovrebbe tuttavia capire, se si vuole andare avanti, che cosa sostenere o 
rifiutare. La visione occidentale del mondo ci ha lasciato molti bagagli 
inutili e ad alcuni siamo molto legati. Ciò nonostante, dovremo abbandonarli. 
     
Dicotomia e reificazione 
Che cosa dovrebbero esattamente ripensare gli anarchici alla luce della nuova 
fisica e della teoria dei sistemi? La lista è già molto lunga e promette di 
allungarsi ulteriormente. Qui considereremo solo due delle illusioni 
occidentali che dovrebbero essere corrette: la dicotomia e la reificazione. 
Sono connesse luna con laltra e penso siano le più importanti. Il 
termine «dicotomia» ha origine da una parola greca che significa «tagliare in 
due», e ora è spesso usata per indicare la costruzione di false barriere che 
separano due o più cose in realtà unite. La dicotomia occidentale più 
pericolosa, già identificata dagli ecologi sociali, è quella tra physis 
(natura, realtà fisica) e nomos (legge, ordine stabilito dagli uomini). Il 
pensiero occidentale separa gli esseri umani (almeno i migliori) dal resto 
della natura. Questa convenzione risale probabilmente allinvenzione 
dellagricoltura e allincivilimento, ma non fu descritta in termini 
filosofici o teoretici fino al tardo periodo presocratico in Grecia. 
NellAntigone di Sofocle, il tema centrale analizza il conflitto tra la legge 
umana e le pretese degli dei. Il sofista Antifone, a volte considerato un 
proto-anarchico, dichiara che linteresse personale è la legge base della 
natura. Le leggi della società richiedono invece di sottomettersi al bene 
della comunità, e sono quindi contro natura. Platone si occupò di questa 
interessante dicotomia nella Repubblica e in altri dialoghi, rendendola la 
caratteristica centrale e permanente della filosofia occidentale. 
Non si è sicuri su chi utilizzò per primo i termini physis e nomos in 
opposizione luno allaltro. Tutti i filosofi delletà classica si 
pronunciarono però sullargomento. Una serie di regole (nomos) si applica a 
noi, laltra (physis) al resto del cosmo. Questo è un buon esempio di quello 
che i Greci usavano chiamare hubris (arroganza), anche se non ne capivano 
lironia. La dicotomia presocratica tra physis e nomos fu probabilmente il 
primo e il più forte cambiamento confermativo allinterno del paradigma 
occidentale. Separandosi dal mondo, la cultura occidentale si arrogò il 
diritto di comandare, manipolare, sfruttare e forse anche distruggere quel 
mondo. Nella scienza tutto questo produsse luniverso a orologeria di Newton. 
Il risultato finale fu la famosa osservazione Oppenheimer: «Al diavolo la 
vostra etica. Questa è grande fisica». Nella religione produsse la 
distinzione fatta  da Agostino tra leterea Città di Dio e la fogna nota come 
Città dellUomo. Dio è considerato esterno alluniverso, anche se prima di 
andarsene concesse ad Adamo ed Eva (che erano logicamente europei bianchi) di 
fare quello che volevano. Sino a poco tempo fa nessun serio sistema etico 
aveva discusso questa dicotomia di base. Anche gli anarchici classici 
ritenevano che luomo dovesse conquistare la natura. Il biocentrismo (o 
meglio lecocentrismo) dellecologia profonda è il primo segno che 
lopposizione tra physis e nomos sta  venendo meno. 
     
Se sosteniamo che tutte le dicotomie sono false, da ciò consegue 
immediatamente che ne ritroviamo una in tutti i paradossi e in tutte le 
contraddizioni. Se diciamo «tutte le dicotomie», concludiamo con il suo 
contrario (olismo, unità?) e questa è di per sé una dicotomia. E «falso» 
presuppone «vero»: eccone unaltra. Non è difficile capire perché nascano 
tutte queste incongruenze. La struttura della logica e della ragione 
occidentale, implicita nelle nostre lingue indoeuropee (specialmente greco e 
latino) ci rende incapaci di parlare di qualcosa o di pensarla senza 
utilizzare dicotomie. Questa struttura logica è uno dei primi componenti del 
nostro paradigma culturale, forse è anzi la sua pietra di fondazione. È quasi 
del tutto impossibile cercare di operare senza usarla. Fino a ora solo i 
fisici quantistici, i mistici e alcuni filosofi che hanno utilizzato un modo 
di ragionare dialettico sono riusciti a farlo, ma anche loro non riescono a 
convertire i loro pensieri in un linguaggio comprensibile a tutti. Chi scrive 
non è così vanitoso  da pensare di riuscire a fare di meglio. 
     
La difficoltà dellimpresa non può però essere addotta come scusa. Si 
dovrebbe rigettare questa dicotomia e tutto ciò che vi è connesso. Si 
potrebbe scegliere di essere filosofi puri, e quindi considerare la questione 
da un punto di vista cosmologico; ma potrebbe essere meglio lasciare da parte 
per il momento questa possibilità per concentrare lattenzione sul nostro 
pianeta e le nostre specie. Abbiamo una sola ecosfera ed è questa la cosa più 
importante. Il sistema sociale o politico che non riesce a riconoscerlo non 
può essere considerato genuinamente libertario. Tutte le dicotomie sono 
false, inclusa  quella tra la dicotomia e lolismo. Qui lanarchismo ha un 
vantaggio: è inerentemente dialettico, si oppone ai confini e alle barriere 
ed è flessibile. Come in tutte le filosofie occidentali, cè una certa 
tendenza al dogmatismo, ma gli anarchici almeno ne riconoscono i pericoli. Si 
deve iniziare a considerare seriamente quello che intendeva Lev Tolstoj 
quando sostenne che la regola aurea era lunica legge di cui lumanità avesse 
bisogno. Ascoltare ciò che Pëtr Kropotkin aveva da dire sui vantaggi della 
cooperazione sulla competizione e ciò che Bookchin afferma sullunità degli 
uomini con la natura. Gli anarchici hanno già assorbito molto dallecologia, 
dal femminismo e dalle tradizioni non-occidentali: questa tendenza deve 
continuare. Quello che non hanno ancora fatto è guardare ai nuovi sviluppi 
nelle scienze matematiche e nel regno della psicologia. Senza cadere nelle 
trappole della New Age o dellecofascismo. La strategia sta nel tener ben a 
mente tutte le falsità di tutte le dicotomie. La cosa successiva da fare è 
mettere in discussione il progetto centrale di reificazione degli 
occidentali: cosa più difficile da un punto di vista teorico. Il mondo è 
fatto di processi, non di cose: a questo deve adattarsi la strategia 
anarchica. Suggerisco che il punto dal quale partire sia una completa analisi 
anarchica del linguaggio. 
Si dovrebbe sapere di più sulle lingue non-occidentali, su come esse 
organizzano la realtà nelle menti di coloro che le parlano. Non voglio dire 
che lanarchismo salverà il mondo imparando il nootka, ma è essenziale essere 
consapevoli del ruolo primario delle lingue per la conoscenza e la coscienza. 
Non si cambierà il mondo senza cambiare il modo in cui la gente pensa, e 
questo non succederà senza mutare la lingua in cui essi pensano. Al livello 
più semplice molto lavoro è già stato fatto: ora comprendiamo la 
discriminazione tra i sessi implicita nella lingua inglese e nelle sue 
cugine. Sappiamo che la connotazione negativa della parola «nero» ha 
contribuito al razzismo. Sullaltro versante, Noam Chomsky ha studiato la 
grammatica comune a tutte le espressioni linguistiche; non è un caso che il 
maggior filosofo del linguaggio del mondo sia anche anarchico. Ma ci sono 
molte altre strade da esplorare. Letimologia è relativamente accessibile a 
tutti. Un esempio: la parola consciousness (coscienza) ha una grande varietà 
di usi contraddittori, sia nella lingua di tutti i giorni sia in quella 
tecnica. La radice viene dal latino scire (conoscere), che non aiuta molto 
finché non andiamo a riguardare lindoeuropeo skei- (tagliare, 
dividere).Questo verbo riguarda oggetti che sono stati tagliati da un corpo 
più grande. Lirlandese scìan (coltello) è un cugino, come lo sono anche 
schism (scisma), schizoid (schizoide), shed (spartiacque), shield (scudo), 
sheaf (fascio) e anche shit (merda). Se skei- ha attinenza con sek-, come 
pensano i paleolinguisti, allora altri cugini sono scythe (falce), sword 
(spada), skin (pelle) e una grande famiglia di parole latine che derivano da 
secare, come anche sassone, ovvero «un guerriero con un coltello». La 
connessione profonda e inconscia  tra conoscere e tagliare è di grande 
importanza per il pensiero occidentale. Fin dallinizio conoscere qualcosa 
significa separarlo dalla massa indifferenziata della realtà, tagliarlo, 
isolarlo, strapparlo dal posto che occupa nellordine olistico. Data questa 
inconscia connotazione di «conoscere», come poteva la nostra cultura evitare 
la dicotomia e la reificazione? 
     
In breve, si potrebbe bandire la reificazione se acquistassimo più coscienza 
del potere e della grande fluidità del linguaggio. Dobbiamo essere in grado 
di guardare la nostra tazza di caffè e capire che la sua oggettività separata 
è in gran parte un prodotto del nome reificante che utilizziamo per 
descriverla. 
Forse una delle ragioni primarie dellinsuccesso dellanarchismo 
nellattrarre lattenzione del mondo è la sua inappropriata comprensione 
della reificazione. Lideologia si oppone allo sfruttamento e al dominio, al 
mettere letichetta del prezzo su tutto, alla generalizzazione e allo 
stereotipo. Sostiene la cooperazione e linterconnessione, il rispetto e 
laccettazione. Ma è sostanzialmente  incapace di giustificare perché 
sostiene questi valori. Se lo scopo è mettere fine al dominio di una persona 
sullaltra, o degli uomini sulla natura, bisognerebbe dimostrare la fallacia 
della reificazione. Scegliamo una manciata di processi dal grande flusso e 
gli diamo un nome: così facendo creiamo lAltro. Lerrore della reificazione 
sta nellindicare un «quello», un «lui», una «lei» come se fossero Altro da 
Noi. È questo il fondamento di ogni ideologia, di ogni dicotomia e di ogni 
credenza nel fatto che «Noi non siamo Loro». E questa è anche la 
giustificazione per tutte le forme di dominio. 
     
I DIRITTI DELLECOSISTEMA 
Quali sono le implicazioni per un anarchismo inteso come un progetto vivo e 
dinamico? Anche nei suoi stadi contemporanei, il paradigma post-occidentale 
implica alcune difficili concessioni. La prima, la più dolorosa, è il 
concetto di autonomia individuale, insieme a tutti i suoi corollari. Quelli 
che una volta erano considerati diritti individuali dovranno essere 
riconosciuti come diritti dellecosistema. Noi li possediamo non perché siamo 
degli individui, ma perché facciamo parte delluniverso olistico. Confronto 
ad altri sistemi sviluppati dal liberalismo o dal socialismo ottocenteschi, 
lanarchismo è più preparato per affrontare questo cambiamento. Altre 
ideologie si focalizzano sullautonomia individuale o sulla comunità 
indifferenziata; solo lanarchismo si avvicina al modello che permette 
lesistenza di un individuo libero allinterno di una autentica comunità. È 
possibile migliorare questo modello, sia nella teoria sia nella pratica, 
incorporandovi i concetti post-occidentali. Per ora gli approcci più 
promettenti sono quelli di filosofi come Kenneth Goodpaster, Christopher 
Stone, Tom Regan e Peter Singer, che si interessano in primo luogo 
ai «diritti» degli animali e di altre entità non umane. Lidea che gli 
individui abbiano dei diritti inalienabili è chiaramente un concetto umano, 
incomprensibile e irrilevante per le vacche, le lumache di mare e le petunie. 
Allo stesso tempo è chiaro che tutti gli esseri viventi condividono con noi 
certi interessi quali la sopravvivenza, la riproduzione, la libertà dal 
dolore, e che gli anarchici fondano la definizione di diritti proprio su 
questi interessi. Lenigma che ne segue non trova soluzioni allinterno dei 
confini del pensiero occidentale. Quindi ci si deve rivolgere altrove per 
trovare risposte radicalmente nuove. Non si può sapere cosa se ne conseguirà, 
ma gli anarchici faranno meglio a starci molto attenti. 
     
In secondo luogo, si deve rendere lanarchismo sia post-ideologico sia post-
occidentale. Si potrebbe cominciare dallabbondanza di letteratura esistente 
su cosa significa essere post-ideologici. La maggior parte di essa  deriva 
dal decostruzionismo ed è perciò piuttosto oscura e pretenziosa, ma forse si 
è sulla strada giusta. Si potrebbero anche considerare i principi del 
bioregionalismo, della risoluzione di mediazione e conflitto, delle 
cooperative, della politica dellidentità, della medicina olistica, e persino 
quelli degli hackers, nonché di altri concetti del genere orientati a 
migliorare la qualità della vita quotidiana senza laiuto del governo. 
Comunque la strategia antideologica più promettente ha profonde radici nella 
storia dellanarchismo. È il principio della grandezza della comunità. Se 
pensiamo alle società umane (siano esse cooperative alimentari di quartiere o 
imperi) come a sistemi in equilibrio dinamico, diviene evidente che il modo 
in cui sono organizzate ha meno importanza, per la loro sopravvivenza a lungo 
termine, della loro dimensione. Gli «zappatori» e William Godwin capirono 
questo principio e così fecero la maggior parte degli anarchici classici. 
Anche oggi si dà molta importanza alla grandezza ideale di una comune, di una 
collettività, insomma dellunità base della società anarchica. Cosa direste 
se doveste intervenire in un dibattito e il gruppo fosse troppo ampio? Una 
delle regole di base della società occidentale è che «grande è bello» e gli 
anarchici lhanno respinta molti anni fa. Ma lanarchismo è pur sempre 
unideologia e ha sempre affrontato il problema della dimensione come un 
problema ideologico. Ovvero, ci si preoccupa più di sapere se lunità 
politica è capitalista, marxista o fascista, che di sapere se è grande o 
piccola. 
     
Nel mondo post-occidentale potremo trovare comunità di nazisti, di satanisti, 
di repubblicani: ma che pericolo ci sarà se nessuno verrà costretto a farne 
parte e se esse saranno troppo piccole e decentrate per minacciare tutti gli 
altri? Hakim Bey (Peter Lamborn Wilson) ha persino affermato che la monarchia 
non è necessariamente incompatibile con lanarchismo. Questo genere di 
elaborazioni sicuramente allarmerà molti anarchici, ma bisogna essere di 
ampie vedute. 
La teoria dei sistemi è un valido aiuto. Tutti i sistemi sono correlati e 
interconnessi con altri, in una rete complessa che si estende dallecologia 
di una pozza dacqua alle più lontane frontiere delluniverso. I sistemi 
individuali primari tendono comunque a essere molto semplici. Se hanno pochi 
elementi non durano molto; se ne hanno troppi crollano sotto il loro stesso 
peso, producendo spesso danni gravi. Una dimensione ideale che crea le  
maggiori possibilità di stabilità e di longevità esiste. I sistemi sono 
destabilizzati dalla presenza di «attrattori caotici», ovvero elementi non  
previsti che non si armonizzano con il resto del sistema e tendono a fargli 
perdere equilibrio. Un numero sufficiente di questi attrattori possono 
distruggere tutto il sistema. Più questo è grande e più è propenso alla 
distruzione. Lodierna disintegrazione della civiltà occidentale è un esempio 
calzante. Questo non è un argomento contro la diversità e in favore 
delluniformità. Infatti, più un sistema è diversificato e più è stabile: 
questa intuizione è il grande contributo della scienza ecologica alla teoria 
politica. Stiamo parlando di quantità, non di qualità. La generazione di 
anarchici successiva dovrà risolvere questo insieme di idee piuttosto 
complicato. Quelli di oggi non ci riescono perché non possono pensare senza 
utilizzare dicotomie e reificazioni, ma forse quelli che verranno potranno 
fare di meglio. 
     
In terzo luogo, bisogna prendere seriamente in considerazione lidea di 
uguaglianza. Questo significa opporsi a tutti i movimenti o le tattiche che 
separano o alienano le persone luna dallaltra: il razzismo, la 
discriminazione sessuale, il bigottismo in tutte le sue forme, lo sciovinismo 
sia maschile sia femminile, ogni situazione elitaria, dai bagni dei dirigenti 
alle confraternite dei college. Anche la distinzione tra anarchici e non 
anarchici è un errore. I governi e le élite di potere sanno che svanirebbero 
come la rugiada in una mattina destate se utti allimprovviso cominciassero 
a pensarsi uguali. «Dividi per dominare» è la regola numero uno del bigino 
dellestablishment. Si devono distinguere e quindi combattere tutte le 
distinzioni di classe, ed evitare ciò che artificiosamente separa una persona 
dallaltra. Chiedete a un proprietario di una Cadillac perché guida una 
macchina così costosa e pretenziosa in un mondo di povertà e di risorse 
energetiche in diminuzione, e la risposta probabilmente sarà per «comodità» 
e «affidabilità», come la pubblicità lha istruito a fare. La sfida sta nel 
riuscire a rivelare a tutti le vere motivazioni che stanno dietro alle cose. 
Andare ad Harvard è fantastico, ma non si deve pensare di essere «migliori» 
di una matricola di una università minore. Leggete Thorstein Veblen quando 
parla della «classe agiata». Il suo stile è un po rigido e il suo spirito è 
troppo sottile per molti, ma ha ragione. Sicuramente devono essere poste 
molte altre questioni. Come potrà lanarchismo post-occidentale incorporare 
la teoria dei sistemi nella sua pratica educativa, nella sessualità, 
nellarte e nella musica, nellazione diretta, nelleffettiva democrazia, 
negli stati di coscienza alternativi? Tutto ciò potrà essere attuato se 
lanarchismo accetterà il compito di spiegare perché la natura della realtà 
e della coscienza non permette loppressione  di un essere umano sullaltro. 
La sua prassi sarà di definire  le relazioni umane in modo da assicurare la 
cooperazione, la produttività e la crescita senza lesercizio del dominio. 
Per raggiungere questo scopo lanarchismo dovrà adattarsi a nuove discipline 
(non solo allecologia, ma anche alla fisica e alla psicologia), e integrarle 
al suo interno. 
     
I sistemi complessi e dinamici funzionano meglio quando il coro canta 
allunisono. Questo non significa un grigio conformismo, come sarebbe sotto 
il gerarchico e meccanicistico paradigma occidentale, ma implica piuttosto 
una dialettica vigorosa di idee in movimento. Per questo gli anarchici devono 
sostenere lo sfaldamento delle tradizionali frontiere fra le discipline 
intellettuali; questo sta già avvenendo e gli anarchici sono rimasti 
indietro. Lanarchismo del futuro sarà, come immaginò Kropotkin, una  
completa e coerente visione ecologia e scientifica del mondo, non solo 
unideologia politica. Devono essere gli anarchici, e non i fisici e gli 
ecologi, a stabilire ciò che questo significa.